Il perduto amore. Fracchia Umberto
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Название: Il perduto amore

Автор: Fracchia Umberto

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ dove Clauss mi mandava. Alla porta di quella casa non c'era un campanello. Bussai, una vecchia mi venne ad aprire ed entrai in un salotto alle cui finestre pendevano pesanti cortine di velluto. La casa, dentro, aveva piuttosto l'aspetto di una bottega; tutto era gualcito e in disordine. In un angolo stava un pianoforte aperto con un quaderno di musica sul leggio. Da una stanza vicina giungeva il parlottare di più persone. Io udivo distintamente le loro voci, che erano di due donne e d'un uomo, e vedevo chiaramente, malgrado la penombra, le cose che mi stavano intorno. Non mi sentivo affatto turbato: anzi avevo una grande lucidità di sensi e un'assoluta padronanza di me stesso. Provai a muovermi; andai verso le finestre, dischiusi un poco le tende, vidi altre finestre, di fronte, e due teste di fanciulli che sporgevano da un davanzale, e una portava una maschera da arlecchino. Poi mi avvicinai al pianoforte, sfogliai il quaderno di musica, lessi due o tre parole tedesche e una frase italiana – lento, con passione – e rimisi ogni cosa al suo posto. Poi, ancora, m'avventurai in un angolo per guardar da vicino il ritratto di una donna giovane, molto giovane e bionda, che mi sorrise. Contento e soddisfatto di tante prodezze, ritornai in mezzo al salotto ed attesi. Finalmente il chiacchierìo nella stanza vicina tacque, la porta si aprì e Daria entrò.

      – Daria! – esclamai subito inchinandomi, senza pensare che quel nome non conveniva nè a me nè a lei, in quel momento. – È Carlo Clauss che mi manda… Egli vorrebbe…

      M'arrestai confuso. Daria era rimasta ferma nel vano dell'uscio e mi guardava. Quello sguardo mi sgomentò.

      – Clauss? – sibilò ridendo ironicamente. – Avrà sempre dei servitori ai suoi ordini, questo signore? E anche voi siete del numero?

      Si volse, sporse il capo nell'altra stanza e chiamò:

      – Kate! Ave! Ave!

      S'udì, in quello spaventoso silenzio, il rumore di un paio di ciabatte e di due tacchi di legno. Una vecchia strega e una ragazzina di quindici anni, tutta vestita di rosso, con i polpacci e le ginocchia scoperte e un gran nastro rosso nei riccioli, bocca rossa, occhi bianchissimi e immensi, s'affacciarono dietro le sue spalle e mi guardarono. La vecchia guardò piuttosto il soffitto, rovesciando le pupille che erano velate di bianco, mentre tutto il suo viso color di cera e orribilmente liscio si torceva nello sforzo di attrarre un po' di luce in quei due poveri lumi spenti.

      – Soave! Guardalo! – esclamò Daria: – è uno di quelli di ieri sera! Kate, cerca di vederlo, perchè ne vale la pena! È uno dei tanti sguatteri di Clauss. Bella gente! Eccoli come son fatti! Che grandissimi signori! Guarda che portamento, che chic, che cravattino, che pettinatura, che profumo, che faccia da moccioso! Questi sono i padroni dell'Alhambra, i conquistatori di donne!

      Mi danzava quasi intorno, con tanti inchini, e smorfie, e sorrisi beffardi, mentre con gli occhi pareva mi volesse divorare e graffiarmi con le sue piccole unghie rosse. Poi come un turbine si precipitò sulla porta, la chiuse sulle facce attonite della vecchia e della bambina, e mi domandò:

      – Che cosa può volere ancora da me il signor Clauss? Vuole che io cada si suoi piedi, trafitta? Perchè non può vivere senza di me? Forse perchè se non l'amo si uccide?

      – No, no! – gridai. – Clauss non vi ama e non chiede nulla di simile.

      Ella allora uscì dal vano dell'uscio, ridendo ancora, ma più umanamente, e venne fino a me, mi porse la mano, come se con quel gesto intendesse cancellare tutto il passato, ed ambedue ci sedemmo l'uno di fronte all'altra in un angolo.

      – Se è così, – mi disse, – eccomi pronta ad ascoltarvi. Ma come sapete voi che Clauss non mi ama? Lui stesso ve lo ha detto?

      – Sì, – risposi, – lui stesso…

      – Ed è questa la vostra ambasciata? Soltanto questa?

      Ella sembrava divenuta umile, docile, mansueta; ancora un poco ironica, ma piena di dolcezza. Parlava senza levar gli occhi da terra, e la sua voce aveva una soave musicalità: era calda e modulata, come un flauto. Vedendola così diversa, così mite e benevola, io mi sentivo a poco a poco mancare la baldanza di cui m'ero compiaciuto tanto con me stesso. Già incominciavo ad avere idee confuse e un tremito nervoso dentro, non so dove. Anch'io abbassai gli occhi. Ella, ora, taceva, certo in attesa che io parlassi. Ebbi il pensiero di alzarmi e di fuggire. Ma non mi mossi e cercai invece, faticosamente, qualche parola insignificante che mi salvasse. Stando così, a capo chino, vedevo soltanto il lembo della sua veste che era azzurra, di velo, un pizzo candido, molto lavorato (mi ricordo, questa immagine è molto precisa) e la punta dei suoi scarpini, che erano ricamati d'argento. Poi i miei occhi si smarrivano sul tappeto, disegnato a grandi rose porpuree. Finalmente, dopo molto cercare dissi:

      – No, signora, non è tutto…

      Il suono della mia voce mi stupì. Io non sapevo di avere una voce così sottile, sottile e stonata; una voce così ridicola.

      – Che c'è dunque ancora? – domandò Daria.

      Sollevai il capo. Ella mi guardava, ora, con occhi un po' inquieti. Pure continuava a sorridere, e la sua bocca rossa, molto molto rossa, sorridendo si curvava ad arco. Sembrava che volesse dirmi con quello sguardo e quel sorriso:

      – Che può esserci ancora? Vedo bene che sei un buon ragazzo. Soltanto hai una cravatta orrenda, veramente brutta e volgare.

      – Ecco, – soggiunsi: – Clauss desidera che voi veniate a cena da lui questa sera. Egli si pente di avervi offesa. Forse non lo credete? Eppure parlandomi di voi, oggi, e di quanto è accaduto, Clauss piangeva… Vi giuro, – esclamai con maggior forza, senza sapere nemmeno di mentire, – vi giuro che piangeva dirottamente!..

      – Ah! – continuai con l'impeto di un insensato, – voi non potete immaginare quanto egli soffra, e come sia degno della vostra pietà. Bisogna conoscerlo, e amarlo (sì, amarlo, anche, un poco, un poco almeno), per comprendere ciò che si cela sotto l'impassibilità del suo volto… Non si giudicano gli uomini dalla faccia, non si possono giudicare. Quell'impassibilità è una maschera, signora, niente altro che una maschera, una tristissima maschera. Chi indovinerebbe in lui un uomo che deve morire?

      – Ah! Ah! Tutti dobbiamo morire, – interruppe Daria. – Non è un'eccezione!

      – No! Non tutti. V'ingannate. Non tutti dobbiamo morire! – M'arrestai spaventato delle mie parole e mi sforzai di ridere.

      – Dico, voglio dire, perdonatemi, che non tutti hanno i giorni contati, – continuai. – Abbiamo forse tutti i nostri giorni contati? Ebbene: Clauss ha i giorni contati. Niente può salvarlo. Oh! signora, è triste vedere un uomo morire, ascoltarlo mentre rassegnato, eppure accorato, vi dice: – Fra poco morirò, me ne andrò per sempre. Immaginate una realtà più angosciosa, un addio più commovente? Che differenza esiste fra lui, Carlo Clauss, e un uomo condannato a salire il patibolo, all'alba di un giorno stabilito, in quell'ora precisa, allo scoccare di quel minuto, non un istante prima, non un istante più tardi? Mi è stato detto che un uomo, sul punto di essere giustiziato, chiedesse in grazia che gli fosse portato un fiore, un fiore rustico, una di quelle piccole violacciocche che hanno un po' il profumo del reseda. Ebbene, quando alfine gli fu portata, nella cella della sua prigione, ed egli l'ebbe odorata a lungo, più volte, la sua faccia si illuminò di beatitudine, e disse: – Ora sbrigatevi. Ora sono felice. È una morte storica, un esempio! Sì, signora, si legge in un'antologia. Così Clauss…

      – Basta, basta, per carità! – esclamò Daria posando una mano sulla mia bocca. – Mi farete morire di crepacuore!

      Quella mano tepida, molle, molle e carezzevole, posava sulla mia bocca. Io sentivo che era tepida e profumata, e che indugiava СКАЧАТЬ