La sorte. Federico De Roberto
Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу La sorte - Federico De Roberto страница 5

Название: La sorte

Автор: Federico De Roberto

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

Серия:

isbn: 4064066069452

isbn:

СКАЧАТЬ voglia di ballare, e intanto che una delle Valdieri tempestava sul pianoforte, la principessa continuava a giuocar grosso, chiusa nello stanzino con padre Agatino e i compagni.

      — Balla con D'Errando! — ingiungeva in un orecchio alla figliuola la Giordano.

      — Se non m'invita!

      Ma la signora Giacomina se la prendeva col tenente Costanzo, non rispondeva ai suoi saluti, gli voltava le spalle, per fargli intendere che Antonietta non era pane pei suoi denti. Le sue figliuole dovevano maritarsi con dei titolati o dei nobili: per questo lei chiudeva un occhio se il marchesino Bellia scherzava con Angiolina, se il baronello Pace le parlava piano in un angolo, se ballava sempre con lei.

      Dopo una di quelle serate, la principessa si levava tardi, con la testa addolorata, la lingua amara, una sfinitezza in tutta la persona. Un giorno, inaspettata, arrivò donna Cecilia Morlieri.

      — Cecilia! Come sei buona d'esser venuta! — e la principessa fece uno sforzo per alzarsi dalla poltrona.

      — Che cos'hai?... Ti senti male?

      — Molto... la testa!...

      — Ma come vuoi star bene, chiusa in questa scatola!

      Donna Cecilia apriva le imposte, spalancava le persiane, faceva irrompere l'aria e la luce, trascinava l'amica in giardino. Esse percorrevano di su e di giù i viali, lentamente, parlando a voce bassa; la principessa si appoggiava al braccio della compagna; a un tratto si fermò, protestando:

      — Ma che giuocare!... Così, un poco, per isvago!... Questo non si chiama giuocare!...

      — Ed hai perduto?

      — No, nulla.... — rispondeva arrossendo. — Una cosa da nulla...

      E, appena rientrate, la principessa chiese:

      — È venuto nessuno?

      — Sono di là, con padre Agatino — rispose la cameriera.

      — Se hai da fare, Sabina, senza cerimonie!...

      — Figurati! Niente.

      Però era distratta, non le dava ascolto, parlava a sproposito, si alzava, inquieta, andava da una stanza all'altra, finchè non suonava l'ora del pranzo. A tavola, avevano già preso posto padre Agatino, il canonico Giusti, il parroco.

      — Siamo in sagrestia? — mormorò donna Cecilia, nel vedere tutte quelle tonache nere.

      E scorgendo le faccie rosse di coloro, e gli sguardi e i segni scambiati con la principessa, un risolino le increspò le labbra sottili.

      — Ho capito.

      Il cugino don Ferdinando, in un angolo, mangiava a due palmenti, silenziosamente, con compunzione, impazientandosi soltanto se la Fanny tardava a recar le portate, intanto che la principessa assaggiava appena le vivande.

      — L'aria di campagna non mi ha conferito! Non so più che cosa tentare.

      A sera, come padre Agatino e i compagni erano spariti, lei non ebbe più la forza di resistere.

      — Permetti, cara Cecilia: io mi ritiro. Ho un dolor di capo da non reggere. Buona notte.

      Donna Cecilia scrollava le spalle vedendola allontanarsi.

      — Il lupo perde il pelo e non il vizio!

       Indice

      Tornata in città, la principessa trovava che la villeggiatura le era costata un po' cara. Allora rinnovava i propositi di mutar vita, di non giuocar più, di non ricevere più nessuno, tranne qualche amico, gl'intimi, quelli che non avrebbe assolutamente potuto mandar via. Poichè faceva caldo, la sera veniva infatti poca gente; il cavaliere Fornari, padre Agatino, il professore, il pretore Restivi, il marchese e qualcun altro, tanto da combinare un piccolo tavolino di bazzica, a cinque lire la partita, per ammazzare un'oretta.

      Il cavaliere Fornari, più ingrassato di prima, aveva sempre una sete inestinguibile, e ad ogni ripresa del giuoco tracannava enormi bicchieri d'acqua ghiacciata, soffiando, sudando come un orciuolo, ripigliando le sue eterne lamentazioni:

      — Lasciatemi stare! Ho dovuto mandar via quell'infame del cuoco che mi avvelenava. Non è più possibile trovare chi vi sappia scaldar due fila di vermicelli: o crudi o disfatti, o insipidi o in salamoia!...

      Il dottore veniva al suo solito a portar notizie.

      — Don Camillo Morlieri è in fin di vita.

      — Davvero? Donna Cecilia dovrà esserne molto angustiata!

      — Don Camillo ha una bella fortuna!

      — Aveva — correggeva il marchese. — Sono vigne, e il vino è per terra. Non vi è che lo zolfo, ora. Chi ha zolfare è ricco.

      — Hanno figliuoli? — chiedeva il professore Quartini.

      — Che!... di dove cascate? — gli davano sulla voce. — Non sapete che si sono divisi il domani del matrimonio?

      — Una testa famosa, quella donna!

      La principessa faceva un segno d'assentimento:

      — Non ne parlate!

      — Don Camillo non vuol lasciarle neanche un soldo; non è vero, pretore?

      Il pretore Restivi, sentendosi chiamare, borbottava qualche parola senza senso, e riappoggiava la testa dall'altro lato della poltrona.

      — Non si può avere un momento di quiete!

      I veri tormenti ricominciavano per lui al sopravvenire dell'inverno e, con esso, della solita folla che la principessa, malgrado i suoi giuramenti, tornava ad accogliere. Con tutte le sale illuminate e piene di gente, non era più possibile trovare un posto dove non esser molestati, e il pretore invidiava il cameriere che, sul lucido cassettone dell'anticamera, sonnacchiava tranquillamente. Egli finiva col pigliar sonno in mezzo al frastuono delle conversazioni, che cessava come per incanto in una silenziosa risata ai primi accordi del suo profondo russare.

      Donna Cecilia era spesso della compagnia. Suo marito non aveva voluto morire neanche quella volta, ed ella se ne stava in un angolo a sentire i lamenti dei giuocatori, o le accuse che tutta quella gente, per un verso o per un altro, rivolgeva alla fortuna. Lei non diceva nulla, non si lagnava della sua miseria, arrischiava due soldi al giuoco, e salutava ogni volta con un senso di sodisfazione le sue stanzette dalle vôlte basse come un mezzanino, dalle imposte tarlate, dalle finestre anguste sporgenti sulla corte, esposte alle esalazioni della stalla del proprietario. E prima di andare a letto, ogni sera, apriva il cassetto secreto del suo vecchio armadio a forma di lira, ne traeva il portafogli riposto nell'angolo più profondo e cavava con mano tremante una carta gualcita, dai caratteri ingialliti dal tempo. «Lascio ogni mio avere, tutto incluso e nulla escluso, alla mia cara moglie Cecilia Morlieri Spadafora. — Camillo Morlieri.» E come il rigo seguente portava la data, 16 Gennaio 1845, donna Cecilia СКАЧАТЬ