La sorte. Federico De Roberto
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Название: La sorte

Автор: Federico De Roberto

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

Серия:

isbn: 4064066069452

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СКАЧАТЬ Principessa, non giuocate?

      — Come fare, con tutta questa gente...

      — Un giro soltanto!

      Lei non sapeva resistere alla tentazione, perdeva, tornava in salotto tutta turbata, restava un istante per scomparire nuovamente e ritornare a pigliar posto al tavolo della tombola, nascondendo male la sua contrarietà.

      — Non capisco come possiate divertirvi a questo giuoco! — diceva a donna Cecilia Morlieri, mettendosele a fianco.

      — Il più bel giuoco è quello a cui si vince!

      Come donna Cecilia era in istrettezze, da tanto che s'era divisa dal marito, comperava una sola cartella per volta, non arrischiava mai più di due soldi e lasciava il suo posto appena aveva una vincita, anche minima.

      — Il bel giuoco dura poco!

      Dall'altro lato del tavolo Giorgio Furleo e la signorina Marco giuocavano in società, ogni sera, da parecchi anni.

      — Come sono seccanti! — diceva la baronessa de Fiorio alla vicina, in modo che tutti la sentivano.

      — È una cosa che sta malissimo, e se le mie figliuole si permettessero altrettanto, io le piglierei a scapaccioni, dinanzi a chiunque! — rispondeva la Giordano, per fare intendere che le sue ragazze avevano tutt'altra educazione.

      Intanto, esse erano circondate da tutti i giovanotti della società. Angiolina, la più piccola, benchè sembrasse ancora una bambina, teneva fronte ai più arditi; Antonietta rispondeva alle occhiate del tenente Costanzo, di nascosto, perchè sua madre non lo trovava un partito abbastanza vantaggioso.

      — Se ti vedo ancora attorno quel pezzente!... Uno che non si sa come nasce!...

      E andava a mettersi accanto alla marchesa Sanfilippo, alla contessa Vita, alle signore titolate, per prendersela colla padrona di casa:

      — Già, la colpa è tutta della principessa. Che rispetto volete che s'abbia, quando si danno certi esempi!... Lei non vive che per il giuoco, il cugino mangia alle sue spalle, chi va e chi viene!...

      — Grazie! — diceva il cavaliere Fornari al cameriere, allontanando il vassoio col gesto. — In fatto di liquori, non mi contento che della mia sciartrosa. Oggi, sotto un cartellino fiammante, vi danno un po' d'acqua inzuccherata...

      E si voltava a criticare la composizione dei menus del Grande Albergo con Filippo Mordina, un povero diavolo sul cui viso magro e patito si leggeva la fame.

      — Non pensa che a mangiare e a bere! — faceva osservare il professor Quartini al pretore Restivi. — Ma il pretore Restivi, rincantucciato nell'angolo del divano, con la testa reclinata sulla spalliera, dava al suo interlocutore uno sguardo spento, fra le palpebre socchiuse, poi le richiudeva nuovamente e ripigliava il sonno interrotto. Dall'altro lato del divano, don Felice Giordano sonnacchiava anche lui, quando sua moglie veniva a destarlo bruscamente, sul punto di andar via:

      — Che modo è questo di stare in società? Dove hai imparato l'educazione?...

      A poco a poco la gente se ne andava e le sale restavano vuote, illuminate a giorno, nella notte alta. Nella stanza dei giuocatori le candele finivano di consumarsi, con una fiamma lunga, rossastra, illuminante le faccie gialle o infocate. La principessa trangugiava la terza o la quarta tazza di caffè. Al profondo russare del Restivi rispondeva in cadenza, come un'eco, il ronfo leggiero, inquieto, del cameriere nell'anticamera.

       Indice

      Alla luce del giorno, i guasti prodotti nella casa della principessa apparivano da ogni parte. Sui divani, sulle poltrone, il grasso delle capellature aveva messo delle macchie nerastre nel rosso cupo, nel giallo, nell'azzurro delle stoffe, i cui piccoli strappi andavano allargandosi, scoprendo qua e là la ruvida tela; i tappeti erano costellati di sputacchiature, cosparsi di mozziconi di sigari calpestati, di fiammiferi spenti, di ogni sorta di residui; le dorature delle porte si discrostavano; le tende cadevano a lembi; le seggiole zoppicavano; nell'anticamera i mattoni rotti, distaccati, risuonavano sotto i passi: una rovina lenta e continua.

      — Un giorno o l'altro bisognerà rifare ogni cosa!

      E chiusa nella sua camera, insieme coll'amministratore, una bella mattina la principessa si occupava finalmente dei suoi affari.

      — Avete fatto i conti della Falconara?

      — Principessa, non ho avuto tempo. Sa che il mio romanzo è cominciato a pubblicarsi nell'appendice dell'Imparziale?

      — E le cambiali?

      Ma don Peppino, col capo alla letteratura, non sapeva mai la situazione precisa della casa, e chiamava Agostino Giarrusso, il contabile, per esserne informato.

      — Le cambiali di Strignoni scadono il mese venturo; quelle della Banca l'altro mese. Si farà un estratto dell'appendice: la principessa deve promettermi di leggerlo, assolutamente!

      — Sentite, ho bisogno di denari.

      Allora don Peppino lasciò da parte il romanzo.

      — Denari? Dove vuole ch'io li prenda? La proprietà è tutta ipotecata, i creditori non si possono tenere a bada, le terre deperiscono per mancanza di migliorie...

      — Ma l'anno scorso...

      — L'anno scorso? Sa di quanto è cresciuto il passivo, in quest'anno? Di trenta mila lire...

      Sotto l'impressione di quelle cifre, la principessa si disturbava, sinceramente contristata dello sperpero della sua fortuna.

      — Come si fa, un rimedio...

      A un tratto, risuonò il campanello.

      — Padre don Agatino — annunziò la cameriera.

      Allora la principessa non resse più.

      — Fate, fate voi, don Peppino. Vi do carta bianca. Mi raccomando, trovatemi denaro. Scusate, mi aspettano...

      — Vendiamo? — proponeva don Peppino trattenendola.

      — Sì, sì; fate voi...

      — E senta... verrà alla Filodrammatica? Ci sarà una cosuccia mia: La moglie del vedovo, una farsa brillantissima...

      Padre Agatino, appena vide comparire la principessa, agitò in aria un fogliolino di carta giallastra.

      — Questa volta non può fallire; tre numeri d'oro!

      — Sentiamo, sentiamo — disse l'altra, cupidamente ansiosa.

      — Otto, quarantadue e sessanta!

      La principessa chiamò il duca di Santa Cita perchè andasse a giuocarle i numeri.

      — Quant'è la posta?

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