Forse che sì forse che no. Gabriele D'Annunzio
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Название: Forse che sì forse che no

Автор: Gabriele D'Annunzio

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

Серия:

isbn: 4064066070687

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СКАЧАТЬ sguardo impose l'attesa, promise: «Dopo»; e fu per lui come l'ondeggiare delle lunghe fiamme in cima alle aste delle mète aeree.

      — E il fascio di cartelline? — chiese Vana.

      — Sono le polizzette del gioco di ventura — rispose Aldo — quelle che si traggono dall'urna cieca della sorte.

       — Bianche?

      — Sì, bianche.

      — Cedimi questa impresa, Isabella — disse Vana.

      — O non piuttosto quella delle Pause? — disse Aldo.

      — Che è l'impresa delle Pause?

      — Quella dei segni musicali su la rigata, che vedi là; ed era la più cara a Isabella.

      — Tu che decifri le intavolature, la sai lèggere?

      L'adolescente si volse e balzò a sedere sul largo davanzale per essere più presso alla cornice ove poggiava il cielo dell'imbotte scolpito ad anelli a rosoni a legacci, ne' cui fondi eran ripetute tutte le imprese fuorché quella delle Pause ricorrente sola nel fregio vaghissimo.

      — Se non sbaglio, c'è la chiave di contralto; e poi ci sono i segni dei quattro tempi; e poi i segni di tre pause di valore decrescente: due, una, mezza; e poi un sospiro del valore di una minima; e poi le tre pause in ordine inverso; e infine il segno del ritornello doppio.

      Tutti i volti erano in su, pensosi; tutti gli occhi chiari scrutavano il cartiglio.

      — È la notazione del silenzio — fece Vana.

      — La canzone che non canterai, Morìccica — fece il fratello ancor seduto sul davanzale, stendendo verso di lei la mano e toccandole la spalla. — Che strana impresa, e come profonda! Isa, tu l'avevi cara più d'ogni altra, tanto che alla Corte di Ferrara per le feste in onore di Lucrezia Borgia comparisti vestita di una camóra «recamata di quella invenzione di tempi e di pause».

      — M'è sempre cara — fece l'incantatrice. — È il valore di quel che non dissi non dico non dirò mai.

      Sorrideva col viso in profilo, metà nella luce e metà nell'ombra.

      — Riassumo da oggi l'impresa delle Pause — ella soggiunse. — Ora andiamo.

      Si volse per passare nel camerino attiguo.

      — Ma come non l'abbiamo veduta? — fece con un grido di meraviglia, e s'arrestò.

      Una piccola porta di marmo era dinanzi a lei, una porta gemmea, trattata anch'essa con ceselli da orafo come quella d'un ciborio, a cui i dischi di nero antico alternati coi tondi candidi in basso rilievo davan qualcosa di funebre quasi che s'aprisse sopra il sepolcro d'una delle «pute» mantovane, forse di Livia, forse di Delia, morta di baci. Un fregio di grifi sovrastava all'architrave; i fondi dei riquadri brillavano di pagliuzze d'oro come incrostati di venturina; e la figura avvolta d'un peplo piegoso, in atto di tenere il flauto di Pan, era la Musica ed era Isabella. Ma chi era, nel basso rilievo sottoposto, la donna ignuda avente sul capo i chiusi volumi, sotto il piede un teschio umano?

      — Ecco un'allegoria oscura come l'impresa delle Pause — disse Aldo inginocchiandosi per indagare l'imagine. — Tu stessa l'ispirasti a Tullo Lombardo?

      Ella si chinava con le due mani su le spalle di lui a guardare.

      — Ti somiglia — soggiunse sottovoce il fratello.

      — È vero — ella assentì sommessa.

      Ed entrambi rimanevano intenti, s'indugiavano. La sorda gelosia rimorse il cuore del taciturno.

      La figura scolpita a guisa di un cammeo aveva anch'essa le lunghe gambe lisce e l'un ginocchio molto proteso innanzi nell'atto d'incedere con quella maniera espedita che dava tanta pieghevolezza al passo della giovine signora e distendendo la stretta gonna palesava nel gioco alterno il disegno della coscia fino all'anca e l'inflessione del grembo sparente.

      — Aldo, Aldo, scacciala!

      Ella si raddrizzò, si schermì, sentendo il ronzìo dell'ape presso la sua gota. Con un balzo varcò la soglia; e i suoi piccoli gridi sonavano sotto il cielo d'oro, ché l'ape la perseguitava importuna; e le sue mani s'agitavano alla difesa puerile.

       — Ahi! M'ha punta!

      In uno di quei gesti scomposti la pecchia provocata l'aveva punta alla mano manca, nel polpaccio del pollice.

      — Mi fa male! Bisogna suggere forte, Aldo!

      Aldo non rideva più. Ella gli tendeva la mano supina, ed egli pose le labbra su la puntura per medicarla.

      — Sì, così.

      Egli suggeva più forte.

      — Basta!

      Ella rideva d'un riso che a Paolo sconvolto pareva l'eco attenuata di quello già udito lungo il canale delle ninfee dopo il passaggio del carro carico di tronchi.

      — Basta. Non mi duole quasi più. Mi brucia un poco soltanto.

      L'occhio di Vana era cattivo. La sorella empieva della sua ilarità tutta la stanza, trascorrendo intorno con una grazia di movimenti così forte ch'ella sembrava emanare da sé quella stellante ricchezza d'azzurro e d'oro come il pavone apre la sua rota sidèrea.

      — Riconosco, riconosco. Non avevo in questi armadii le mie più belle vesti? Non erano tappezzati di velluto crèmisi i miei stipi?

      Ella aveva scoperto in un angolo del nudo legno un frammento del prezioso drappo.

      — Non li ho lasciati qui i miei broccati, i miei rasi, i miei tabì?

       — Isabella! Isabella!

      Aldo leggeva il nome nelle targhette che allacciava il meandro d'ulivo.

      — Eri anche allora la più elegante dama d'Italia — disse egli adulando la giovine donna come soleva. — Oggi hai per rivali Luisa Merati, Ottavia Santeverino, Doretta Ladinì; allora gareggiavi con Beatrice Sforza, con Renata d'Este, con Lucrezia Borgia. Allora la marchesa di Cotrone ti mandava a chiedere per modello una sbèrnia, come oggi Giacinta Cesi ti manda a chiedere un mantello. Che erano al confronto i grandi corredi d'Ippolita Sforza, di Bianca Maria Sforza e di Leonora d'Aragona? Ma quella Beatrice era veramente la spina del tuo cuore. S'era fatti ottanta quattro vestiti nuovi in due anni! Tu l'anno scorso per le quattro stagioni te ne facesti novantatre. E la Borgia, quando andò sposa ad Alfonso aveva con sé duecento camicie meravigliose! Tu superasti e l'una e l'altra. Chiedevi ai tuoi corrispondenti milanesi e ferraresi notizie minutissime delle due duchesse, in vestiario e in biancheria, per non restar mai indietro. Anche allora tu eri una inventrice di fogge nuove. Tu inventavi le mode. Portasti a Roma quella della carrozza. Avevi il desiderio smanioso delle novità eleganti. Ti raccomandavi ai tuoi fornitori perché cercassero «di cavar de sotto terra qualche cosetta galantissima». Anche allora amavi gli smeraldi, ed eri riuscita a possedere il più bello dell'epoca. A Venezia, a Milano, a Ferrara avevi mediatori con orefici. Non ti contentavi d'aver le più belle gioie ma le volevi squisitamente legate: anelli, collane, cinture, bottoni, braccialetti, catene, frange, sigilli. Il tuo orefice prediletto fu quell'ebreo convertito, di nome Ercole de' Fedeli, che fece lavori di niello e di cesello incomparabili, tra cui СКАЧАТЬ