Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi. Francesco Domenico Guerrazzi
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Название: Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi

Автор: Francesco Domenico Guerrazzi

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

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isbn: 4064066088026

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СКАЧАТЬ il Governo. Esaminasse, e vedesse quello che in sua coscienza era da farsi.[44] Il Magistrato esaminò e referì: non correre tempi propizii per questa sorta accuse; la difesa avrebbe saputo togliere di mezzo ogni ombra d'imputabilità: non persuadergli la coscienza d'instituire processo. Davanti alla coscienza del Magistrato tacqui: però con profondo sconforto notai, che il tempo governava cose che non avrebbero dovuto governare ragioni di tempo. A Lucca parimente non omisi provocare l'azione dei Magistrati contro i delitti della stampa, ma il Prefetto avvisava: «Il Pubblico Ministero non crede incriminabili gli articoli della Riforma, e così l'Autorità Governativa non può agire contro essa!» — Heu Hector quantum mutatus ab illo! A reprimere le sfrenatezze della stampa, occorrevano due mezzi legali, e vennero praticati: i Tribunali; e assolverono, trovando i tempi poco favorevoli a simili accuse: il richiamo dei Direttori dei Giornali; e dissero avere vinta la mano dagli scrittori. Io, e il Processo lo attesta, esortai qualche Direttore a smettere la veemente polemica, offerendomi pronto a fargli toccare con mano come il suo Giornale proseguisse uno scopo ad ottenersi impossibile. Il Prefetto di Firenze ai Direttori di Giornali di varia opinione raccomandava reciproca cortesia e temperanza.[45] Ad ogni evento vi erano leggi repressive; eranvi Magistrati a posta per invigilare; nè l'Autorità governativa può, nè deve, senza sconvolgere ogni diritto ordine di reggimento, mescersi da per tutto: in siffatte faccende il Governo attende soccorso dalla Magistratura, non glielo partecipa. Avvertasi per ultimo se complice o impotente repressore di violenze fossi io! — Arrestati alcuni prevenuti di guasti alle campagne dei signori Bartolomei, così ordinava col Dispaccio telegrafico del 16 novembre 1848: «Bene, benissimo: adesso procedura immediata: si sospenda ogni altro negozio al Tribunale: pena la indignazione sovrana se i Magistrati, nel più breve tempo possibile, non terminano questo negozio: impieghino giorno e notte; si dia pubblicità alla discussione: prenda parola il Procuratore Regio; energia, o fra un mese la Toscana diventa un mucchio di cenere.» Grave fatto fu quello dello Arcivescovado; ma simili successi, come inopinati e improvvisi, male possonsi prevenire. Bene si possono, anzi si devono castigare. È colpa mia, se gli Ufficiali non sapevano, o aborrivano dal proprio dovere? Le inquisizioni furono ordinate; perchè non proseguite? Il Governo ha da fare tutto? Può provvedere a tutto? Di tutte le paure, di tutte l'esitanze, di tutte le negligenze ha da essere becco emissario il mio Ministero? — Il Monitore del 23 gennaio 1849 così manifestava l'animo suo vituperando il fatto: «Pochi facinorosi e un branco di ragazzi tentarono violare la santità dello asilo (dello Arcivescovo), con generale reprobazione di tutti i buoni Fiorentini, dei quali non pochi si adoperarono onde desistessero dallo spingere più oltre le violenze. Il Governo non può nè deve tollerare qualunque trascorso che tenda a turbare la pubblica tranquillità o infrangere l'autorità delle leggi. Sono già state prese le misure opportune, e la Giustizia sta in traccia dei colpevoli, che saranno puniti con tutto il rigore.»[46] L'Accusa poteva rammentarsi che mercè le mie premurose istanze l'Arcivescovo fu richiamato in Firenze, che egli a me si affidò, e che io, con sommo studio, correndo pericolo grande, attesa la malvagità dei tempi, lo assicurai nello esercizio liberissimo delle sue funzioni ecclesiastiche. La opposizione del Roberti a presentarsi a Firenze, era ella cosa da rammentarsi nemmeno? Dat veniam corvis, vexat censura columbas! E nonostante, col Dispaccio telegrafico del 13 novembre 1848, ore 6, fu mandato: «Se Roberti (Giorgio) vuole dimettersi, accettisi la dimissione.» E nel 18 detto: «Roberti obbedisca e venga a Firenze; se disobbedisce, si cassi dai ruoli.» Roberti obbedì. Le violenze contro i signori Bartolomei ed Henderson furono con alacre operosità represse. «Sono state prese le opportune disposizioni perchè non si rinnuovino violenze a carico dei proprietarii della sega a vapore.» (Dispaccio telegrafico dell'8 novembre.) — «Ma avvertasi, che nulla accadde di violento; vi furono solo minaccie.» (Dispaccio telegrafico Isolani del 7 novembre.) — Rispettivamente ai sigg. Bartolomei, ecco come io ordinava a ore 4, min. 55, del giorno 11 novembre col telegrafo: «Si proteggano ancora i Bartolomei. Appunto perchè mi hanno fatto male, debbono essere protetti. Se fosse diversamente, ridonderebbe in infamia per noi.» — Alle ore 6, min. 43, del medesimo giorno, mi rispondeva il telegrafo: «La dimostrazione contro i Bartolomei era incominciata col suono di un tamburo; l'ottimo Petracchi l'ha dissipata.» — Perchè mi appone l'Accusa disordini che furono prevenuti? Nel giorno 13 novembre, a ore 6 pom., per via telegrafica comando al Governatore di Livorno: «Si proceda subito allo arresto dei violatori delle proprietà Bartolomei; subito, fossero anche miei fratelli.» Perchè mi appone l'Accusa disordini che così acremente repressi? — Più benigni a me dell'Accusa i pretesi ingiuriati, della ottima mente loro mi dettero poi prove tali, che a me duole non poterle riportare in questo Scritto, però che onorino la umana natura e riposino l'animo stanco dalla vista di tante iniquità.[47]

      Non so se io debba continuare nella storia delle sommosse accadute durante il mio Ministero e degli sforzi operati per sedarle, perchè io vedo con paura che tutto mi si ritorce contro. L'Accusa, intorno ai fatti riportati fin qui, mi dichiara complice, o impotente per vizio di origine; riguardo ad altri fatti che mi riusciva impedire, l'Accusa ne trae argomento a ragionare nella seguente maniera: poichè l'Accusato potè impedire molte intemperanze, segno è certo che alle altre che accaddero egli non volle. Così non salva tenere nè lasciare; così perde ugualmente fermarmi e fuggire. Se non riesco resistere, sono complice; se riesco, sono reo per non essere riuscito di più. Un cammello può portare il carico di mille libbre; ma perchè non ne portava due mila, sia condannato a morte. Tale è la legge dell'Accusa: — fiera legge invero!

       Ma la Storia non giudica così, e tale registra splendido elogio del Lafayette, a cui pure non venne fatto riparare tutto quello ch'ei volle: «Lafayette adoravano le milizie, quantunque il vincolo della vittoria non le legasse a lui; pacato uomo egli era, e ricco di partiti in mezzo ai furori popolari; — però, malgrado la sua operosa vigilanza, non sempre giunse a capo di vincere i tumulti delle moltitudini, imperciocchè, per quanto sia spedita la forza, non può trovarsi presente da per tutto contro un Popolo da per tutto sollevato: — spesso lottava contro le fazioni senza fiducia, ma con la costanza del cittadino, il quale non deve disertare mai la cosa pubblica, quando anche disperi di poterla salvare!»[48]

      Una frase scoperta dal Decreto del 10 giugno 1850 viene accolta con amore e accarezzata dal Decreto del 7 gennaio 1851: il Ministero fu complice, o impotente. Ora come in suprema accusa possono queste due parole congiungersi in virtù dell'alternativa? Immenso è lo spazio che passa dall'uno stato all'altro. Nella misura della imputazione, alla impotenza corrisponde venia e favore; alla complicità, odio e castigo.

      O Ministri, che adesso reggete le sorti toscane, e che, credendo in me l'uomo soltanto flagellato, di me non curate; attendete e avvertite, che con l'uomo va a stracci la prerogativa ministeriale. La via di Palazzo Vecchio per me insegna, che può diventare quella del Calvario, e di ora innanzi metterà ribrezzo percorrerla, perchè se un Tribunale potrà intorno al Ministro caduto aggrappare non solo i proprii fatti, ma anche gli altrui, e di tutti chiedere al medesimo ragione, e, nulla intendendo delle necessità politiche, lo porrà nelle consuete condizioni della vita di uomo che può volere e disvolere a suo senno: — se di pratiche dilicate, condotte con opportuno mistero, egli pretenderà prove luminosissime e chiarissime; — se il concetto di atti operati con la discretezza imposta dai tempi, ed anche con dissimulazione, presumerà dimostrato con riscontri, e dirò quasi con istrumenti e chirografi univoci e non equivoci; — se di più, questo Tribunale andrà a pescare gli elementi dell'Accusa nelle parole della Tribuna, e nei Giornali, che ne sono l'eco; — se l'ora della lotta penserà che sia l'ora della Giustizia, e le furie dei Partiti pacate consigliere del giudicare, quale Ministro mai, quale Ministero si salverà?

      L'Accusa me incolpa, per essermi limitato a rinviare gli avvenimenti più scandalosi alle ordinarie vie di giustizia. Io temo comprendere troppo, o troppo poco. O dove aveva a rinviarli io? Forse come Mario reduce a Roma, col negare o col rendere il saluto, dovevo indicare ai satelliti i cittadini da trucidarsi? Agendo come l'Accusa rimprovera, io adempiva al mio dovere; lo hanno tutti ugualmente adempito? O piuttosto talora con pusillanime oscitanza, tal altra con quello zelo serotino e importuno (che fu il terrore del Talleyrand) non abbandonarono o imbarazzarono il Governo?[49]

      Ma СКАЧАТЬ