Название: La conquista di Roma
Автор: Matilde Serao
Издательство: Bookwire
Жанр: Языкознание
isbn: 4064066070885
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«Faccia pure i suoi affari, signora,» disse il deputato, in cui la natural diffidenza del provinciale rinasceva. «Nel caso, Le farò sapere qualche cosa».
«Aspetterò un suo biglietto, allora? Debbo mandare a ritirarlo alla Camera?» ribattè quella, ridiventata melliflua.
«Non s'incomodi, manderò io».
La sora Virginia inchinò il capo e gli tese una manina, come una gran signora. Ancora, per le scale, egli restava sbalordito e stanco di quel chiacchiericcio: e già gli sembrava di aver visitato dieci case. Aveva due altri indirizzi sul pezzetto di carta e gli veniva meno la voglia di recarvisi. Fu proprio per una reazione di volontà che si fece condurre, in carrozza, in Via del Gambero, 37, poichè non ancora conosceva le vie. La strada aveva l'aria misteriosa delle parallele al Corso, le vie scorciatoie che scelgono gli uomini frettolosi e le donne preoccupate: dal grande palazzo Raggi, che ha un cortile come una piazza, un portone sul Corso e l'altro sul Gambero, ogni tanto se ne vedeva sfilare qualcuna, che sfuggiva la folla e gl'incontri pericolosi, scantonava rapidamente, senza guardarsi indietro. Nel portoncino n. 37, dall'aria decente, vi era un casotto di legno con vetri, che prendeva luce dalla sala. Una donnetta ne uscì, incontro al deputato.
«Non si affitta, qui, al terzo piano, un quartino?»
«Sissignore; vuol vederlo?»
«Vorrei vederlo».
La donnetta rientrò nel suo casotto, scelse una chiave da un mazzo e s'avviò, ammiccando con un par di occhietti bigi dalle palpebre rosse e gonfie. Era evidentemente la portinaia: portava un vestito di lana verdognola, smesso, stinto, guarnito con una certa pompa di raso verde: un perucchino di raso cupo, con un treccione finto sulla nuca e una sfioccatura a frangia sulla fronte: salendo, le calze di seta rosse si vedevano, smorte. E nella floscezza scialba delle guance di un biancore punteggiato di lentiggini, nel pallore violetto di una bocca dal disegno infantile, s'indovinava un viso che una volta era stato rotondo, roseo e che si era a un tratto appassito, vuotato, come quello di una pupattola a cui è sfuggita la crusca da un bucherello. La scala era larga e girava ampiamente, caso raro negli edifizi romani: sopra ogni pianerottolo, tre porte corrispondevano. Al primo piano, a destra, l'onorevole Sangiorgio lesse: Barone di Sangarzia, deputato al Parlamento, nulla sulla porta di mezzo, e a sinistra: Anna Scartozzi, sarta. Al secondo piano a destra: Marchese di Tuttavilla, deputato al Parlamento, nulla sulla porta di mezzo, e a sinistra: Ditta di commissioni e rappresentanze.
«Anche questi due deputati hanno dei quartini mobiliati?»
«Nossignore; hanno mobiliato del loro; ma il quartino è simile,» rispose la portinaia, mettendo la chiave nella toppa della porta a destra: anche al terzo piano, non vi era alcuna leggenda sulla porta di mezzo, e a quella di sinistra: Cav. Paolo Galasso, dentista.
Il quartino che dava sulla strada era pieno di luce, e i mobili, quasi nuovi, pretendevano alla eleganza. Un vaso di maiolica per fiori posava sopra un tavolino: vi era un caminetto, un vero e buon caminetto, l'estremo lusso delle case borghesi romane. «Qui si può accendere il fuoco e dopo pranzo d'inverno, è un piacere,» disse la portinaia. «Il caminetto ci è in tutti i piani: che anzi il deputato del primo piano lo fa accendere dalla mattina, una gran fiammata tutto il giorno».
«Ma non va alla Camera?» domandò Sangiorgio, cedendo al pettegolezzo.
«Non sempre, non sempre,» rispose, con sorriso malizioso che le aggrinzò tutto il floscio viso, la portinaia.
«E quanto si paga, qui?» interruppe Sangiorgio, seccamente.
«Centotrenta lire al mese.»
«E a chi?»
«A me.»
«Affittate voi?»
«Sissignore.»
«Mi sembra caro».
«Nossignore, Lei s'informi dei prezzi, poichè è forestiero, e vedrà che non è caro, nel centro di Roma, a un passo dal Corso. Non faccio per vantarmi, ma il quartino è messo con molto gusto: ne ho sempre capito io...»
E la portinaia si arruffò la frangetta del parrucchino sulla fronte. Il deputato si strinse nelle spalle.
«È caro,» insistette.
«Non ci è obbligo, sa, di pigliarlo; ma che Lei vuole un quartino libero, con la porta sulle scale, mobiliato e senza noie, chè qui ognuno bada ai fatti suoi, col caminetto, è un lusso che non si trova altrove; che Lei vuole tutto questo in Via del Gambero per meno di centottanta lire, caro signore, Le assicuro che non è possibile. Il deputato del primo piano ci è venuto da quattro anni e vi si trova benissimo, non se ne va più; il deputato del secondo piano ci è venuto, consigliato dall'amico, e ci è rimasto, son già due anni. Qui non si sfitta mai: la sarta del primo piano ha una clientela di signore dell'aristocrazia, che ci è sempre una vettura innanzi alla porta.»
«Va bene, capisco, ma tutte queste cose non mi servono».
«A piacer suo: ma girerà, girerà, vede, e non troverà nulla di buono come questo. Sono sicura che ci ritorna, signor deputato; questo è proprio un posto fatto per Lei».
E scendevano per le scale, mentre saliva una signora, chiusa in una pelliccia di lontra, con un velo marrone che avvolgeva il berrettino di lontra, la testa, il collo, il mento, sotto cui s'annodava con un cappio vistoso. Ella saliva lentamente e presso la porta della sarta si fermò.
«Eccone una,» mormorò la portinaia. «Andrà certo a provare un vestito».
Ma non s'intese rumore di campanello e di giù, alzando gli occhi, l'onorevole Sangiorgio vide quella irriconoscibile figura femminile salire chetamente al secondo piano.
Presto presto, per finirla, egli si fece condurre sempre in carrozza, alla salita di Capo le Case, la via chiara ed allegra, tutta sole, che taglia in mezzo quella dei Due Macelli. Un'aria di signorilità, di tranquillità aristocratica, veniva dalla vicina Piazza di Spagna, da Via Sistina, da Via Propaganda, da Via Condotti, il centro più esotico di Roma. La porta 128 si trovava dirimpetto ad una bottega di biscotti inglesi, di conserve, di liquori, di saponi, ciò che gl'Inglesi chiamano grocery, da cui usciva un sentore pungente e quasi caldo di spezierie: dall'altra parte una bottega di fioraio, piena di portafiori di giunco, di vimini dorati, di tronchi grezzi, che aveva, nella mostra, delle rose invernali, e financo in un vasettino, un ramoscello di mughetto, una primizia delicata. La scaletta era di marmo, netta, illuminata, dall'alto, da una finestra sul tetto. Sopra ogni pianerottolo davano tre porte, di legno biondo, un acero venato, coi pomi lucidissimi di ottone, per bussare. Un servitorello in mezza livrea venne ad aprire, subito, e fece entrare l'onorevole Sangiorgio in un salottino semibuio, dicendo che la signora sarebbe venuta a momenti: l'onorevole sentì un tappeto molle in terra e sedette, tastando un poco, sopra una poltroncina, bassa e soffice. Così, nella penombra, distingueva un tavolino coperto di felpa gialla, d'oro, un portacenere giapponese, un vaso di vetro veneziano. Ma un lieve passo si udì: la signora s'intravedeva, alta, non grassa, ma pienotta, con acconciatura corretta di capelli castagni tutta ondulata dal ferro della pettinatrice e ornata di fornicelle di tartaruga bionda; con un vestito di lana nera, semplice, di una stoffa molle, un goletto alto di tela bianca, chiuso da un ferro di cavallo in oro.
«Vuol favorire?» chiese la signora.
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