La caccia di Zero. Джек Марс
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Название: La caccia di Zero

Автор: Джек Марс

Издательство: Lukeman Literary Management Ltd

Жанр: Шпионские детективы

Серия:

isbn: 9781094312750

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СКАЧАТЬ arrivato in cinque minuti. Un messaggio sullo schermo lo avvisò: Prepararsi al lancio. Lanciò uno sguardo fuori dall’abitacolo e vide, molto più in basso, che stava volando sopra un’ampia area industriale piena di magazzini squadrati e di stabilimenti di produzione, vuoti e bui, illuminata solo da lampioni arancioni.

      Aprì il borsone nero che si era appoggiato in grembo. Dentro trovò due fondine con due pistole. Si sfilò la giacca dentro il minuscolo abitacolo per mettersi l’imbracatura da spalla che reggeva la Glock 22 di dotazione standard. Niente di simile alla Glock 19 altamente tecnologica dal grilletto biometrico di Bixby. Si rimise la giacca e si sollevò la gamba dei jeans per legarsi la fondina da caviglia che conteneva la sua arma di riserva preferita, la Ruger LC9. Era una pistola compatta dalla canna corta, una calibro nove millimetri, con un caricatore da nove colpi che spuntava di appena tre centimetri sotto il calcio.

      Afferrò la barra attaccata alla corda da arrampicata, pronto a sbarcare dal drone non appena avesse raggiunto l’altezza e la velocità di sicurezza. Stava per sfilarsi le cuffie dalle orecchie quando sentì la voce di Watson.

      “Zero.”

      “Ci sono quasi. Mancano solo due minuti…”

      “Abbiamo appena ricevuto un’altra foto, Kent,” lo interruppe l’altro agente. “L’ha mandata al cellulare di tua figlia.”

      Il panico gli torse lo stomaco. “Una foto delle ragazze?”

      “Sono sedute su un letto,” confermò lui. “Sembra sia di un motel.”

      “Puoi rintracciare il numero che l’ha inviata?” chiese speranzoso Reid.

      “Mi dispiace, l’ha già abbandonato.”

      La sua speranza svanì. Rais era intelligente; fino a quel momento aveva mandato solo foto di posti dove era stato, non dove era ancora. Se l’agente Zero aveva qualche speranza di raggiungerlo, l’assassino voleva che fosse solo ai suoi termini. Per tutto il viaggio in quadricottero, Reid era stato nervosamente ottimista sulla pista del motel, ansioso al pensiero che avesse battuto Rais al suo stesso gioco.

      Ma se aveva mandato una foto… c’erano buone possibilità che se ne fossero già andati di lì.

      No. Non puoi pensarla così. Vuole che lo trovi. Ha scelto un motel nel bel mezzo del nulla proprio per questo motivo. Ti sta provocando. Sono lì. Devono esserlo.

      “Stavano bene? Sembravano… sono ferite?”

      “Sembravano a posto,” gli garantì Watson. “Turbate. Spaventate. Ma a posto.”

      Il messaggio sullo schermo cambiò, lampeggiando in rosso: Sbarcare. Sbarcare.

      A prescindere dalla foto o dai suoi dubbi, era arrivato. Doveva vedere con i suoi occhi. “Devo andare.”

      “Fai in fretta,” gli disse l’altro agente. “Uno dei miei sta chiamando la CIA con una falsa pista e una descrizione che combacia con quella di Rais e delle tue figlie.”

      “Grazie, John.” Si sfilò le cuffie, si accertò di avere una presa salda sulla barra della corda e si lanciò fuori dal quadricottero.

      La discesa controllata di quindici metri fino a terra fu più veloce di quanto avesse previsto e gli tolse il fiato. Il brivido familiare, la scarica di adrenalina, gli attraversò le vene mentre il vento gli fischiava nelle orecchie. Piegò leggermente le ginocchia al momento dell’atterraggio e arrivò sull’asfalto piegato su di sé.

      Non appena ebbe lasciato la barra, la corda ritornò dentro il quadricottero e il drone sparì nella notte con un ronzio, tornando da qualunque posto fosse venuto.

      Reid si guardò attorno. Era nel parcheggio di un magazzino di fronte a uno squallido motel, illuminato fiocamente da qualche lampadina gialla. Un cartello dipinto a mano rivolto verso la strada diceva che era nel posto giusto.

      Controllò a destra e a sinistra e poi attraversò di corsa la strada vuota. Era silenzioso lì, in maniera inquietante. C’erano tre auto nel parcheggio, sparpagliate davanti alle stanze rivolte verso di lui. Una era chiaramente il SUV bianco che era stato rubato nella rivendita di macchine usate nel Maryland.

      Era di fronte alla stanza con il numero nove in bronzo appeso alla porta.

      Le luci all’interno erano spente; non sembrava abitata in quel momento. Nonostante ciò, lasciò cadere la sua borsa appena fuori dalla porta e rimase attentamente in ascolto per tre secondi.

      Non udì nulla, quindi estrasse la Glock dalla fondina alla spalla e sfondò la porta con un calcio.

      Lo stipite esplose con facilità al contatto con il suo piede e Reid entrò, puntando la pistola nell’oscurità. Non si muoveva niente tra le ombre. Non si sentiva un suono, nessuno gridò per la sorpresa né si gettò a prendere un’arma.

      Tastò il muro con la mano sinistra alla ricerca di un interruttore, e poi lo accese. Nella Stanza 9 c’era un tappeto arancione e una carta da parati gialla arricciata agli angoli. Era stata pulita di recente, per quanto qualcosa all’interno dello Starlight Motel potesse definirsi ‘pulito’. Il letto era stato rifatto in fretta e furia e l’aria puzzava di economico disinfettante spray.

      Ma era vuota. Gli sprofondò il cuore sotto i piedi. Lì non c’era nessuno. Non c’era Sara, né Maya, né l’assassino che le aveva rapite.

      Reid avanzò con attenzione, controllando la stanza. Vicino alla porta c’era una poltrona verde. La stoffa sulla seduta e sullo schienale era leggermente scolorita, formando l’impronta di una persona che doveva esservi stata seduta di recente. Vi si inginocchiò accanto, seguendo l’impronta con le punte guantate delle dita.

      Qualcuno è rimasto seduto qui per ore. Un uomo alto un metro e ottanta per ottanta chili di peso.

      Era lui. Era seduto qui, vicino all’unico ingresso, accanto alla finestra.

      Reid rinfilò la pistola nella fondina e tirò indietro le coperte. Le lenzuola erano macchiate, non erano state cambiate. Le studiò con attenzione, sollevando ogni cuscino, facendo in modo da non smuovere potenziali prove.

      Trovò due capelli biondi, lunghi fili senza le radici. Erano caduti naturalmente. Trovò anche un singolo filo moro. Erano qui insieme, su questo letto, mentre lui stava lì seduto e le guardava. Ma perché? Perché Rais le aveva portate lì? Perché si erano fermati? Era solo un’altra manovra nel suo gioco del gatto con il topo, o stava aspettando qualcosa?

      Forse stava aspettando me. Ci ho messo troppo a seguire gli indizi. Se ne sono già andati.

      Se Watson aveva già mandato la falsa segnalazione, la polizia sarebbe arrivata al motel tra pochi minuti, e Strickland doveva già essere su un elicottero. Ma Reid si rifiutava di andarsene senza una pista con cui avanzare, o sarebbe stato tutto inutile, solo l’ennesimo vicolo cieco.

      Corse nell’ufficio del motel.

      Lì il tappeto era verde e ruvido sotto i suoi stivali, e gli ricordava l’erba artificiale. Il posto puzzava di fumo di sigaretta. Dietro il bancone c’era una soglia buia, da cui Reid sentiva provenire un suono a volume basso, forse una radio o una televisione.

      Suonò la campanella sul bancone, e uno squillo stonato risuonò nell’ufficio silenzioso.

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