Arena Uno: Mercanti Di Schiavi . Морган Райс
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Читать онлайн книгу Arena Uno: Mercanti Di Schiavi - Морган Райс страница 13

СКАЧАТЬ di riposare. Sarò di ritorno in poche ore. Promesso. E poi stanotte, ci andremo insieme. E sai qual’è la parte migliore?”.

      Ancora piangendo, si volta lentamente verso di me, e infine scuote la testa.

      “A partire da stanotte, saremo lassù assieme, sane e salve, e avremo il fuoco ogni notte, e tutto il cibo che vuoi. E posso cacciare e pescare e fare tutto quello che ci serve proprio là, davanti al cottage. Non dovrò lasciarti mai più sola di nuovo.

      “E può venire anche Sasha?” chiede tra le lacrime.

      “Anche Sasha” le rispondo. Promesso. Ti prego, fidati di me. Tornerò per te. Non ti abbandonerei mai”.

      “Lo giuri?” domanda.

      Faccio appello a tutta la solennità che ho e la guardo dritto negli occhi.

      “Lo giuro”, rispondo.

      Il pianto di Bree diminuisce fino a cessare del tutto; sembra soddisfatta.

      Mi piange il cuore, ma mi chino alla svelta, le stampo un bacio sulla fronte, poi mi alzo, attraverso la stanza, ed esco dalla porta. So che se rimango un solo secondo in più, non mi deciderò mai ad andarmene.

      La porta sbatte dietro di me, e io non riesco a scrollarmi di dosso la nauseante impressione che non rivedrò più mia sorella.

      TRE

      Salgo per la montagna, immersa nell’intensa luce mattutina che riflette sulla neve. È tutto completamente bianco. Il sole splende forte, e la luce è così abbagliate che ci vedo a stento. Farei qualsiasi cosa per un paio di occhiali da sole o un berretto da baseball.

      Oggi il vento è clemente, più tiepido di ieri, e mentre salgo, sento la neve sciogliersi attorno a me, sgocciolare in piccoli ruscelli e cadere in massa dai rami di pino. La neve è anche più soffice, e camminare è più facile.

      Mi volto nuovamente per controllare, ispeziono la vallata che si estende sotto di me, e noto che con il sole della mattina le strade sono tornate a essere parzialmente visibili. Mi preoccupa, ma subito mi rimprovero: non devo lasciarmi disturbare dai presagi. Devo essere più forte. Più razionale, come papà.

      Ho il cappuccio addosso, ma mentre abbasso la testa al vento, che più salgo e più soffia forte, penso che avrei dovuto mettermi la sciarpa nuova. Chiudo le mani, le sfrego – quanto vorrei anche i guanti – e raddoppio la velocità. Sono decisa ad arrivare lì in fretta, perlustrare il cottage, cercare il cervo, e tornare di corsa giù da Bree. Forse recupererò anche qualche altro barattolo di marmellata; il che tirerà Bree su di morale.

      Seguo le mie tracce di ieri, ancora visibili nella neve che si scioglie, e questa volta l’escursione è più semplice. Nel giro di circa venti minuti, ho aggirato l’altopiano e sono di nuovo dove mi trovavo il giorno prima.

      Sono sicura di essere nello stesso posto di ieri, ma come cerco il cottage e non riesco a trovarlo. È così ben nascosto che, pur sapendo dove guardare, non riesco comunque a vederlo. Inizio a chiedermi se sono nel posto giusto. Proseguo, seguendo le mie impronte, fino a quando arrivo nel punto esatto in cui mi trovavo il giorno prima. Allungo il collo, e finalmente, la vedo. Sono stupita di quanto sia ben nascosta, e ancora più stimolata a vivere qua.

      Rimango ferma e mi metto in ascolto. Tutto tace. Si sente solo la neve che gocciola. Esamino con attenzione la neve, alla ricerca di un qualsiasi segno di impronte in entrata o in uscita (a parte le mie) lasciate ieri. Non trovo niente.

      Cammino fino alla porta, resto davanti alla casa e faccio un giro a 360: scruto il bosco in tutte le direzioni, controllo gli alberi, cerco anche un minimo segnale di qualcosa che non va, qualsiasi cosa riveli che c'è stato qualcun altro. Rimango ferma per almeno un minuto, in ascolto. Non c’è niente. Assolutamente niente.

      Alla fine, sono soddisfatta, sollevata dal fatto che questo posto è per davvero nostro, e solo nostro.

      Tiro la pesante porta, piena zeppa di neve, e un’intensa luce inonda l’interno. Abbasso la testa ed entro, e mi sembra di vederla per la prima volta alla luce. È piccola e confortevole come la ricordavo. Noto che ha una pavimentazione in grandi assi di vero legno, che sembra avere almeno cent’anni. È tranquillo qua dentro. E le piccole finestre aperte su ciascun lato lasciano entrare un bel po’ di luce.

      Osservo la stanza alla luce, cercando qualsiasi cosa possa essermi sfuggita – ma non trovo niente. Guardo in giù e trovo la maniglia della botola; mi metto in ginocchio e tiro forte per aprirla. Si solleva in un vortice di polvere che fluttua nella luce del sole.

      Scendo la scala, e stavolta, con tutta la luce che viene riflessa, vedo molto meglio quello che c’è qua sotto. Ci saranno centinaia di barattoli. Riconosco molti altri barattoli di marmellata di lamponi, ne afferro due, e me ne metto uno in ogni tasca. Bree impazzirà. E anche Sasha.

      Faccio una veloce scansione degli altri barattoli, e scorgo ogni sorta di provviste: sottaceti, pomodori, olive, crauti. Vedo anche un sacco di marmellate diverse, almeno una dozzina di barattoli per ciascuna. Ce ne sono ancora di più, dietro, ma non ho tempo di guardare con attenzione. Il pensiero di Bree si sta facendo sempre più invadente.

      Risalgo la scala, chiudo la porta della botola ed esco dal cottage, chiudendo bene la porta d’ingresso dietro di me. Resto ferma e controllo nuovamente l’ambiente circostante, tenendomi pronta nell'eventualità che qualcuno possa avermi visto. Temo ancora che sia tutto troppo bello per essere vero. Ma ancora una volta, non c’è niente. Forse sono diventata troppo apprensiva.

      Procedo verso il posto in cui avevo visto il cervo, una trentina di metri da qui. Come lo raggiungo, tiro fuori il coltello da caccia di papà e me lo tengo di lato. So che è difficile rivederlo, ma forse quest’animale, come me, è un essere abitudinario. Non posso mai essere abbastanza veloce da inseguirlo, né abbastanza svelta per saltargli addosso – e non ho una pistola o qualche vera arma da caccia. Ma una possibilità ce l'ho, ed è il mio coltello. Sono sempre andata orgogliosa della mia abilità di centrare il bersaglio da trenta metri. Tirare il coltello era l’unica delle mie capacità che sembrava impressionare papà – o almeno l'impressionava abbastanza da non provare mai a correggermi o migliorarmi. Al contrario, se ne prendeva merito, dicendo che il talento mi veniva da lui. Anche se in realtà non lanciava un coltello bene neanche la metà di quanto facevo io.

      Mi metto in ginocchio nel punto in cui ero prima. Mi nascondo dietro un albero, con lo sguardo verso l’altipiano e il coltello in mano, e aspetto. Intanto prego. Sento solo il suono della neve.

      In testa ripasso quello che farò se vedo il cervo: mi alzo lentamente, prendo la mira e lancio il coltello. Prima penso di puntare l’occhio, ma poi decido di mirare alla gola: se lo manco di pochi pollici, ci sarà la possibilità di colpirlo da qualche altra parte. Se le mie mani non sono troppo gelate, e se sono precisa, immagino che forse, forse, riesco a ferirlo. Ma mi rendo conto che sono tutti dei grossi “se”.

      I minuti passano. Dieci, venti, trenta…. Il vento va morendo, poi riappare a raffiche, e mentre lo fa, sento leggeri fiocchi di neve dagli alberi soffiano sulla mia faccia. Più il tempo passa, e il freddo aumenta, più m’intirizzisco, e inizio a pensare se non sia stata una cattiva idea. Ma sento un’altra tagliente fitta per la fame, e so che devo provarci. Avrò bisogno di tutte le proteine possibili se voglio cambiare casa – soprattutto se devo spingere la motocicletta in salita.

      Dopo quasi un’ora di attesa, sono completamente congelata. Non so se arrendermi o dirigermi giù per la montagna. Magari dovrei ritentare con la pesca.

      Decido di alzarmi e fare un giro per riattivare la circolazione degli arti e recuperare СКАЧАТЬ