Novelle umoristiche. Albertazzi Adolfo
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Название: Novelle umoristiche

Автор: Albertazzi Adolfo

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ Terpalli boffonchiava): «Grazie! Vedrò… potendo.»

      La fidanzata rideva sino alle lagrime e le sembrava vedere quella faccia nuda e tonda simile a quella d'un comico, e il lungo soprabito, e gl'inchini…

      – E figuratevi come è diventato rosso a udire chi sono i vostri parenti. Ah ah! signori!.. signoroni!

      – E il regalo? – domandò la mamma.

      – L'ha proposto lui!

      – Lui?

      – Lui? Che cosa?

      – Eh! dopo mia lunga tiritera… per non cascare in cose di troppo costo… ha offerto… un lume!

      La Gigia battè le mani.

      – Io invece mi son fatto coraggio e gli ho domandato un «servizio da caffè».

      – Bravo! – esclamò la Gigia. – È meglio! molto meglio!

      Ma la madre scosse il capo.

      – No. Era meglio il lume.

      – Scusi – ribattè Gustavo – ; ieri sera non diceva anche lei che il «servizio da caffè» ci sarebbe necessario? Chi deve pensare a regalarcelo?

      – Una bella lampada nel salottino ci vuole: l'ho detto sempre – insisteva la vecchia. – Adesso è fatta…

      – La compreremo.

      No e sì. Comprerebbero piuttosto due candelabri. Sì e no. Ma l'orologio avvertì Gustavo che era trascorsa l'ora, perchè aveva perduto tempo con lo zio.

      – Addio, Gigia; addio, mamma…

      E via.

      … Povero e bravo Terpalli! La buona volontà, la nativa tendenza ai protocolli e ai libri mastri, la mano calligrafica e il bisogno gli consentivano poco più di mezz'ora ogni giorno e di un'ora ogni sera agli amorosi colloqui con la sposa e con la suocera. Oggidì quanti giovani potrebbero enumerarsi che stiano dalle nove alle quindici in un ufficio comunale; poi dalle sedici alle diciotto e quindi dalle venti alle ventidue in un ufficio privato, ove senz'astio, tranquillamente, sommare rendite e spese d'un conte milionario? A un uomo che si sottoponga a così disumano lavoro e che non scorga al suo termine una oasi o un giardino fiorito, non la gloria, non la ricchezza, ma sempre cammini con passo uguale per una pianura uguale sempre, per un deserto lungo una vita intera, a un tal uomo non basta il conforto di fumare qualche sigaro. Troppo poco! Era destino che Gustavo Terpalli si ammogliasse. E, per economia, egli smise anche il vizio di fumare; e guai per lui se non fosse incappato in una donnina savia: Ma in fatto di mogli la fortuna, che in altri generi talvolta sembra parziale per i birbanti, è imparziale e davvero cieca con tutti. Terpalli aveva potuto chiamarsi fortunato e restare un onesto ragazzo quand'era venuto ad alloggiare in casa d'una umile vedova, la cui soave figliola sentiva volare il tempo senza speranze di nozze e di vita.

      Proprio la ragazza adatta a lui! Egli era magrolino e timido d'animo come di baffi, che radi radi sotto il naso acquistavano un po' più di vigore solo agli angoli della bocca; e la Gigia era piccolotta e grassoccia, molto timida fuori di casa, e con un po' di peluria anche lei agli angoli delle labbra. Finchè, un bel giorno, alla dimanda della vedova: – Perchè non prende moglie, signor Terpalli? – , egli aveva risposto guardando alla figliola:

      – Ci penso spesso, all'ufficio. E lei? (Non osava dire «signorina».)

      La ragazza era arrossita sino alla gola ridendo commossa, eccitata dal suo stesso pensiero che le occhiate patetiche e fuggevoli del giovane, nei dì addietro, non dissimulassero un inganno; e, poverina, per trarsi d'impaccio e giustificare quel riso disse una stupidaggine:

      – Se ci penso… all'ufficio?

      Parve una canzonatura; per cui Terpalli, un po' permaloso, aveva scosse le spalle e tenuto il broncio quasi una settimana. Dopo, si pacificarono con nuove occhiate; e poi la dimanda alla madre, e l'assenso.

      Ed era una consolazione a vederli, quei ragazzi; così di rado la fortuna aiuta con indulgenza e prontezza due cuori a intendersi e ad appagarsi pienamente l'uno dell'altro. Che se l'amore buono è interpretazione, chiaroveggenza reciproca, presentimento e consentimento, è telepatia, l'amore della Gigia e di Gustavo Terpalli era un perfetto amore. Pensava l'uno durante le ore d'ufficio:

      «Cosa farà adesso?.. Adesso ripulisce i miei panni; aiuta la mamma a spolverare». Oppure: «Cuce per il corredo; discorre con la sarta». Oppure: «Attende al desinare… Batte il prezzemolo… Ohi ohi!: affacciatasi per caso, un momento, alla finestra, un giovanotto la guarda…; e lei, via!; scappa. È un angelo!»

      E l'altra pensava:

      «Cosa farà?.. Mette lettere a protocollo; registra un atto; esaurisce una pratica; sbriga un importuno… Oh Dio! Scrive per il conte, di nascosto, tanta ha voglia di spicciarsi stasera… Ma se lo sorprende il capufficio?.. Ecco, ecco: lo sorprende, lo sgrida!..» – E accadde che un giorno Gustavo si sforzasse a contener l'ira a cui l'aveva acceso il capufficio, perchè la Gigia lo quetasse e l'esortasse a non infrangere mai più, per amor suo, alcuna regola; ed accadde che con la mite cattiveria delle ragazze ingenue e buone la Gigia un giorno raccontasse a Gustavo:

      – Oggi, sai, mi sono affacciata un momento alla finestra, e passava un bel giovinotto… – Per gioco si bisticciavano, talora, quei figlioli: e la mamma li lasciava fare guatandoli felice.

      Non mancavano tuttavia i gravi pensieri; le spese per allestire la nuova casa. A provvederla di solo quanto era necessario, e non superfluo, non sarebbero bastati a Terpalli i risparmi di due anni, se la mamma non gli fosse venuta in soccorso con tutto il suo avere; e per le cose superflue – di assoluta necessità, una volta provviste le altre – lasciarono l'incarico al caso nella consuetudine dei doni nuziali. Uno specchio per il salotto; una lampada da appendere, o due candelabri; uno o due vasi giapponesi, di quelli in cui si gettano, sparsi, fiori e penne; un bell'«album» da ritratti e un cofano, alla moda, per i biglietti, eran tutte cose che premevano. Seguivano, soltanto desiderabili, sei posate in luogo di quelle comuni ereditate dalla mamma; e forse d'un «servizio da caffè» non avrebbero potuto fare a meno neppure se Gustavo non si fosse imbattuto in quell'ipocrita dello zio Tarabusi.

      II

      Questi, subito, quasi avesse fretta di levarsi un peso d'addosso, mandò un «servizio» di sei tazze, poh! abbastanza fine: Ginori di seconda qualità.

      – Di terza, di terza! – mormorò la mamma, meno paga e sempre astiosa con l'ipocrita e avaro donatore. Ma – A caval donato… – aggiungeva per suo stesso conforto.

      Quanto agli altri regali desiderati e attesi: nessuno; e quale rabbia allorchè una prozia e una cugina, su la cui intelligenza s'era fatto assegnamento, inviarono la prima un ombrello di raso paonazzo e la seconda un astuccio per guanti! Stupide! La Gigia era forse una donna più da passeggio che da casa? Chi regalerebbe ora il cofano, i candelabri o il lume, lo specchio e l'album? Forse la zia paterna, ch'era ricca assai, manderebbe alla sposa le posate? Forse lo zio paterno manderebbe i vasi giapponesi?

      … – Vostro zio? – domandava Terpalli ogni volta che rincasava, facendo quattro gradini alla volta.

      Sì! Lo zio materno – a loro che avevano rinunciato al viaggio di nozze – regalò… una borsa da viaggio!

      … – La zia?

      Un monile bello, assai bello, regalò la СКАЧАТЬ