Alla conquista di un impero. Emilio Salgari
Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу Alla conquista di un impero - Emilio Salgari страница 13

Название: Alla conquista di un impero

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

Серия:

isbn:

isbn:

СКАЧАТЬ questo tonfo nel fiume lo hai udito?

      – È il figlio primogenito del bramino, che si è gettato nel fiume, dopo d’aver indossato i suoi più bei vestiti, prima di farsi tagliare accuratamente la barba, se ne ha, ed i capelli.

      – Se io fossi il viceré dell’India farei rinchiudere in un ospedale di pazzi tutti i bramini del reame. Parola di Yanez.

      – Queste cerimonie sono dettate dai libri sacri.

      – Scritti quando quei sacerdoti erano pieni di bâng. —

      La grossa barca in quel momento era giunta dinanzi al minuscolo seno, e Bindar aveva lasciata cadere l’ancora, arrestandola ad una quindicina di passi dalla riva.

      Quindici o venti persone si erano radunate intorno ad una specie di palanchino formato di bambù intrecciati, su cui riposava un cadavere, che aveva indosso un ampio dootèe di seta gialla.

      Dovevano essere tutti parenti ed amici del morto, però si vedevano in mezzo a loro alcuni pourohita ossia sacerdoti bramini accompagnati da tre o quattro gouron, specie di sagrestani incaricati dalla pulizia delle pagode e dei bassi servizi del culto.

      Tutti avevano delle torce, sicché Yanez ed i suoi compagni potevano osservare benissimo quanto quegli uomini stavano per compiere.

      Il primogenito del morto era uscito dal fiume, si era fatto già radere in fretta e si era accostato al genitore, seguìto dalla madre alla quale i parenti avevano levato il thaly, quel gioiello che è l’insegna delle donne sposate e tagliati i capelli, che non doveva più mai lasciarsi crescere durante tutta la sua vedovanza.

      Il primo gettò sul cadavere una manata di fiori, poi fece alzare la barella e la fece trasportare alcuni passi più lontano, dove era una buca lunga due metri e larga uno, circondata da pezzi di legna e da sterco disseccato di mucca e fece deporre vicino un vaso di terra entro cui bruciavano dei carboni.

      Il morto fu privato della sua bella veste e dei gioielli, per non perdere inutilmente l’una e gli altri, poi il primogenito mise sul petto nudo del bramino un pezzo di sterco acceso, vi versò sopra un po’ di burro sciolto e mise in bocca al cadavere una mezza rupia e alcuni granelli di riso che prima aveva bagnati con un po’ di saliva e si ritrasse, pronunciando una preghiera.

      I parenti s’accostarono a loro volta, accumulando sul bramino le legne e le mattonelle di sterco.

      – È finita la cerimonia? – chiese Yanez a Tremal-Naik.

      – Aspetta un momento. Il figlio deve ancora compiere qualche cosa. —

      Il giovane infatti aveva preso un vaso di terra pieno d’acqua e l’aveva spaccato con violenza sulla testa del defunto.

      – Ah! birbante! – esclamò il portoghese.

      – Perché? Ora almeno è sicuro che suo padre è veramente morto.

      – Se fosse stato ancora agonizzante l’avrebbe accoppato egualmente. —

      I parenti avevano fatto circolo accostando le torce al rogo.

      Una gran fiamma si sprigionò subito rompendo bruscamente le tenebre e avvolgendo, con rapidità incredibile, il cadavere, che era tutto cosparso di burro.

      Fra il crepitare del legname ben imbevuto di materie resinose ed il salmodiare del pourohita e dei suoi aiutanti, si udivano le urla disperate del figlio e della vedova, ed ai bagliori delle fiamme si vedevano i parenti a rotolarsi per terra ed a picchiarsi il petto con pugni tremendi.

      – Quegli stupidi vogliono sfondarsi le costole, – diceva Yanez. – Non mi stupirei che domani fossero tutti a letto. —

      Quella fiammata gigantesca non durò che un quarto d’ora, poi quando il cadavere fu consumato, i parenti con pale di ferro raccolsero la cenere e le ossa e le gettarono nel fiume, quindi si allontanarono tutti in silenzio, scomparendo ben presto sotto gli alberi, che coprivano buona parte dell’isolotto.

      – Possiamo sbarcare ora? – chiese Sandokan rivolgendosi a Bindar, che era rimasto sempre silenzioso.

      – Sì, sahib, – rispose l’indiano. – A quest’ora i gurum della pagoda devono dormire profondamente.

      – Andiamo dunque. Sono impaziente di condurre a termine questa avventura notturna.

      – E di menare possibilmente le mani, è vero, fratellino? – disse Yanez.

      – Sì, se si può, – rispose la Tigre della Malesia. – Le mie braccia cominciano ad irrugginirsi. —

      Allentarono la fune dell’ancora e con pochi colpi di remo spinsero la bangle verso la riva.

      – Che due uomini rimangano a guardia della barca, – disse Yanez. – Dobbiamo assicurarci la ritirata. —

      Raccolsero le armi e scesero silenziosamente a terra, cacciandosi sotto un bosco, formato quasi esclusivamente di palmizi tara e d’immensi gruppi di bambù.

      Bindar si era messo alla testa del drappello, fiancheggiato da Yanez, il quale voleva sorvegliarlo personalmente, non avendo, checché avesse detto a Sandokan, una completa fiducia di quell’indiano, che da soli pochi giorni conosceva.

      La pagoda non era lontana più di due tiri di carabina, quindi in una ventina di minuti e anche meno, il drappello poteva giungervi.

      Tutti però si avanzavano con estrema prudenza onde non farsi scorgere. Era molto improbabile che a quell’ora così inoltrata qualche indiano passeggiasse per quelle boscaglie, nondimeno si tenevano in guardia.

      Attraversata la zona dei palmizi e dei bambù, si trovarono improvvisamente dinanzi ad una vasta radura, interrotta solamente da gruppi di piccole piante.

      Nel mezzo giganteggiava la pagoda di Karia.

      Come abbiamo detto, quel tempio, veneratissimo da tutti gli assamesi, perché conteneva la famosa pietra di Salagraman col capello di Visnù, si componeva d’una enorme piramide tronca; colle pareti abbellite da sculture che si succedevano senza interruzione dalla base alla cima e che rappresentavano in dimensioni più o meno grandiose, le ventuno incarnazioni del dio indiano.

      Quindi, pesci colossali, testuggini, cinghiali, leoni, giganti, nani, cavalli, ecc.

      Solo dinanzi alla porta d’entrata si rizzava una torre piramidale più piccola, il cobrom, coronato da una cupola e colle muraglie pure adorne di figure per la maggior parte poco pulite, rappresentanti la vita, le vittorie e le disgrazie delle diverse divinità.

      Ad una altezza di venti piedi s’apriva una finestra sul cui davanzale ardeva una lampada.

      – È per di là che dovremo entrare, sahib, – disse Bindar volgendosi verso Yanez, che aveva corrugata la fronte, scorgendo quel lume.

      – Temevo che qualcuno vegliasse nella pagoda, – rispose il portoghese.

      – Non avere alcun timore: è uso mettere una lampada sulla prima finestra del cobrom.

      Se fosse un giorno festivo, ve ne sarebbero quattro invece d’una.

      – Dove troveremo la pietra di Salagraman? Nella pagoda o in questa specie di torre?

      – Nella pagoda di certo. —

      Yanez СКАЧАТЬ