Alla conquista di un impero. Emilio Salgari
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Название: Alla conquista di un impero

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ style="font-size:15px;">      – Il primo ministro di S. A. Sindhia, principe regnante dell’Assam, – rispose Yanez. – Toh! Tu giungi proprio in buon punto. Sapresti tu, Tremal-Naik, far parlare quell’uomo che si ostina a non dirmi la verità?

      Voi indiani siete dei grandi maestri.

      – Non vuol parlare? – disse Tremal-Naik, squadrando il disgraziato che pareva tremasse. – Hanno fatto cantare anche me gli inglesi, quando ero coi thugs.

      Kammamuri però è più destro di me in tali faccende. Ti preme, Yanez?

      – Sì.

      – Hai ricorso alle minacce?

      – Ma senza buon esito.

      – Ha cenato quel signore?

      – Sì.

      – È quasi mattina, può quindi fare uno spuntino, o una semplice tiffine senza birra però.

      È vero che l’accetterete in nostra compagnia?

      – Chiamalo Eccellenza, – disse Yanez maliziosamente.

      – Ah! Scusate, Eccellenza, – disse Tremal-Naik con accento un po’ ironico. – Mi ero scordato che voi siete il primo ministro del rajah. Accettate dunque una fiffine?

      – Io di solito non mangio la prima colazione che alle dieci del mattino, – rispose il ministro a denti stretti.

      – Voi, Eccellenza, adotterete le abitudini dei miei amici. Sono partito ieri mattina da Calcutta, ho mangiato malissimo lungo la via ferroviaria, peggio ancora nel vostro paese, quindi ho una fame da tigre.

      Amici, lasciate che vada ad ordinare a Kammamuri una succolenta colazione. Suppongo che i viveri non mancheranno in questa vecchia pagoda.

      – Qui regna l’abbondanza, – rispose Yanez.

      – Vieni con me, allora. Kammamuri è un cuoco abilissimo. —

      Si presero a braccetto e uscirono insieme, lasciando soli il disgraziato ministro del rajah e Sandokan.

      Questi aveva riacceso il suo cibuc e, dopo essersi sdraiato, si era rimesso a fumare silenziosamente, spiando attentamente il prigioniero.

      Kaksa Pharaum si era lasciato cadere su una sedia, prendendosi il capo fra le mani. Pareva completamente annichilito da quel succedersi di avvenimenti imprevisti.

      I due personaggi stettero parecchi minuti silenziosi, l’uno continuando a fumare e l’altro a meditare sui tristi casi della vita, poi il pirata, staccando dalle labbra la pipa, disse:

      – Vuoi un consiglio, Eccellenza? —

      Kaksa Pharaum aveva alzata vivamente la testa, fissando i suoi piccoli occhi sul formidabile pirata.

      – Che cosa vuoi, sahib? – chiese, battendo i denti.

      – Devi dire, se vuoi evitare maggiori guai, quello che desidera sapere il mio amico.

      Bada, Eccellenza! È un uomo terribile, che non indietreggerà dinanzi a nessun mezzo feroce.

      Io sono la Tigre della Malesia: egli è la Tigre bianca.

      Quale sarà il più implacabile? Ah! Io non te lo saprei dire.

      – Ma ho già detto che io ignoro dove si trova la pietra di Salagraman.

      – Il sigaro che il mio amico ti ha fatto fumare ti ha annebbiato un po’ troppo il cervello, – rispose Sandokan. – È necessaria una buona colazione. Vedrai, Eccellenza, come la memoria diventerà limpida. —

      Tornò a rovesciarsi sul divano e si rimise a fumare con tutta calma.

      Un silenzio profondo regnava nel salotto. Si sarebbe detto che all’infuori di quei due personaggi nessuno abitava la vecchia pagoda sotterranea.

      Kaksa Pharaum, più che mai spaventato, era tornato ad accasciarsi sulla sua sedia, col capo fra le mani. La Tigre della Malesia non fiatava, anzi si studiava di non fare alcun rumore colle labbra.

      I suoi occhi però pieni di fuoco, non si staccavano un solo momento dal ministro. Si comprendeva che stava in guardia.

      Trascorse una mezz’ora, poi la porta tornò ad aprirsi ed un altro indiano entrò, tenendo fra le mani un piatto fumante che conteneva dei pesci annegati in una salsa nerastra.

      Era un uomo presso la quarantina, piuttosto alto di statura e membruto, tutto vestito di bianco, col viso molto abbronzato che aveva dei riflessi dell’ottone e che aveva agli orecchi dei pendenti d’oro che gli davano un non so che di grazioso e di strano.

      – Ah! – esclamò Sandokan, deponendo la pipa. – Sei tu, Kammamuri? Ben felice di vederti, sempre in salute e sempre fedele al tuo padrone.

      – I maharatti muoiono al servizio del loro signore, – rispose l’indiano. – Salute a te, invincibile Tigre della Malesia. —

      Altri quattro uomini erano entrati, portando altri tondi pieni di cibi diversi, bottiglie di birra e salviette.

      Kammamuri depose il suo tondo dinanzi al ministro, mentre entravano Yanez e Tremal-Naik.

      La Tigre della Malesia si era alzata per sedersi di fronte al prigioniero, il quale guardava con terrore or l’uno ed ora gli altri, senza però pronunciare una sillaba.

      – Perdonate, Eccellenza, se la colazione che io vi offro è ben inferiore alla cena che vi ho mangiata, ma siamo un po’ discosti dal centro della città ed i negozi non sono ancora aperti.

      Fate onore al nostro modesto pasto e rasserenatevi. Avete una cera da funerale.

      – Io non ho fame, mylord, – balbettò il disgraziato.

      – Mandate giù pochi bocconi per tenerci compagnia.

      – E se mi rifiutassi?

      – In tal caso vi costringerei colla forza. Non si fa l’offesa d’un rifiuto ad un mylord.

      La nostra cucina d’altronde non è meno buona della vostra: assaggiate e vi persuaderete. Poi riprenderemo il nostro discorso. —

      Come abbiamo detto, Kammamuri aveva posto dinanzi al ministro il primo tondo che aveva portato e che conteneva dei pesci che nuotavano entro una salsa nerastra, costringendolo in tal modo ad inghiottire solo quell’intingolo.

      Il povero diavolo, vedendo fisso sopra di sé e minacciosi gli occhi di Yanez, si decise finalmente a mangiare quantunque non avesse affatto appetito.

      Gli altri non avevano tardato ad imitarlo, vuotando rapidamente i piatti che avevano dinanzi e che non sembravano contenere un intingolo diverso, almeno apparentemente.

      Kaksa Pharaum aveva con grandi sforzi inghiottiti alcuni bocconi, quando lasciò cadere bruscamente la forchetta guardando il portoghese con smarrimento.

      – Che cosa avete, Eccellenza? – chiese Yanez, fingendo con gran stupore.

      – Che mi sento bruciare le viscere, – rispose Kaksa Pharaum che era diventato smorto.

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