La Marfisa bizzarra. Gozzi Carlo
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Читать онлайн книгу La Marfisa bizzarra - Gozzi Carlo страница 4

Название: La Marfisa bizzarra

Автор: Gozzi Carlo

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

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isbn: 4064066073022

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      I paladin leggeano i frontispizi e qua e lá di volo sei parole; poi commettevan mille malefizi, intuonando:—Il tal libro cosí vuole.— Se v'era alcuno ch'abborrisse i vizi, e dicesse:—Non déssi e non si puole,— gridavan:—Chi se' tu c'hai tanto ardire i paladin di Francia di smentire?—

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      E minacciavan di bando e galera; ond'era forza rispettarli alfine. Dunque la pace, l'ozio e la carriera de' libri nuovi, fuor d'ogni confine non sol de' paladini avean la schiera corrotta, ma le genti parigine: dal re Carlo sin quasi al mulattiere, lascivo era e goloso e poltroniere.

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      Lecita in chi poteva usar la forza era la truffa, era la ruberia. Ogni peccato avea buona la scorza, e con nuove ragion si ricopria. Fanciulli ed ebbri, andando a poggia e ad orza, udiensi disputare per la via ch'era il ner bianco e che il quadro era tondo e che goder si debba a questo mondo.

      21

      Gli abati in cotta e i santi monachetti, che contra al mal dal pulpito gridavano, sudando, trangosciando, e che a' scorretti mille maledizion dal ciel mandavano, erano uditi come gli organetti; e quando le persone fuori andavano, un dicea:—Disse male,—un:—Disse bene, ma predica all'antica e non conviene.—

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      E chi diceva:—E' canta l'astinenza, ma so che i buon boccon non gli disprezza— Poscia ridean con poca riverenza, e ognun restava nella sua mattezza. Alle orazioni ed alla penitenza diceano pregiudizi e leggerezza, o ipocrisie per guadagnare i schiocchi, o cose da mal sani e da pitocchi.

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      Rinaldo (perché aveva poca entrata, piacendogli le donne e la bassetta e il vin, che ne beeva una fregata, sicch'ogni dí sembrava una civetta) a Montalban fatto avea ritirata, facendo vender senza la bolletta acquavite, tabacco ed olio e sale e vin contro la legge imperiale.

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      S'erano i gabellier molto provati a condur pe' trasporti la sbirraglia; Rinaldo avea sbanditi e disperati che facevan co' sassi la battaglia: onde se n'eran sempre ritornati senza poter oprar cosa che vaglia. Carlo chiudeva un occhio e gli era amico pe' buon servigi suoi del tempo antico.

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      Cosí Rinaldo un util grande avea e s'aiutava i vizi a mantenere; ma il troppo vino, ch'ogni dí bevea, l'inebbriava, ed era un dispiacere; perché Clarice sua talor volea fargli l'ammonizion ch'era dovere, ed egli bestemmiava come un cane e le dicea parole assai villane.

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      E minacciava un divorzio di fare, poi la mandava alla rocca ed all'ago. La poveretta lo lasciava stare, e in un canton facea di pianto un lago. Ed egli si metteva a berteggiare. —Cosí, ben mio—dicea,—quel pianto pago;— e colle fanti in sul viso di lei faceva cose ch'io non le direi.

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      Il duca Namo nella sua vecchiaia avaro ed usuraio s'era fatto. Ogni dí fitta teneva l'occhiaia in su' processi per fare un bel tratto; perché investia di scudi le migliaia, e alfin temeva qualche scaccomatto o dalle doti o da' fideicommissi; onde avea gli occhi in sulle carte fissi.

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      Poi tanti dubbi e cavilli trovava co' poveretti che bisogno aviéno, che sin per venti il cento comperava. E usava un altro piacevol veleno, che per il censo mai non molestava, tanto che il foglio d'annate era pieno, e poi tra il capitale e l'usufrutto, «salvum me facche», e' si toglieva tutto.

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      Prestava a' giuocator spesso danari a un per dieci il giorno di vantaggio; e i figli di famiglia aveva cari, che avesser vizi assai ma non coraggio, perché voleva il pegno e scritti chiari; poi gl'inseguiva col viso selvaggio, e alfin sí vago il conto avea tenuto, ch'avean pagato e il pegno anche perduto.

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      Astolfo, dopo il costume novello, era a Parigi inventor delle mode. Or le calze riforma, ora il cappello, ora le brache, e guadagna gran lode; e tagli or lunghi or corti al giubberello, i capelli or in borsa or con le code, le fibbie or di metallo ed or di brilli, ovate, tonde e quadre, e mille grilli.

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      E perché gli piacevano le dame, ei fu inventor de' cavalier serventi. A vincer cori aveva mille trame, perch'era un damerin de' diligenti. Né si curava di freddo o di fame, per le servite, o di piogge o di venti, ed ogni stravaganza sofferiva, anzi lodava, anzi pur benediva.

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      Spesso con esse alla lor tavoletta si ritrovava e mai non stava fermo. Or tien lo specchio, or fiorellin rassetta, e le guatava che pareva infermo. E poi diceva piano:—Oh benedetta! oh occhi! oh bocca! omè, non ho piú schermo, so dir ch'io ardo sin nella midolla.— Poi sospirava e fiutava un'ampolla.

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      Ed aveva anche pronte, non so come, le lagrimette quando credea bene. Certo in far all'amor valea due Rome e por sapeva a tutte le catene. Addosso si può dir ch'avea le some di zaccarelle, o almen le tasche piene di spille e nèi e pomate e confetti, essenze e diavolon ne' bossoletti.

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      E sapea dibucciare e mele e pere e melarancie dolci, e in spicchi farle, poi rivestirle che pareano intere, e gentile alle dame presentarle. In mille forme lor dava piacere, ché l'arte ha sin ne' cori a tasteggiarle, e conforme a' cervei sa porre il zolfo, tal che tutte voleano il duca Astolfo.

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      Avino, Avolio, Ottone e Berlinghieri seguiano le sue fogge e i suoi vestigi, e politi serventi cavalieri passavan fra le dame di Parigi. Ma Namo, il padre, mettea lor pensieri di ragion mille, oscuri e neri e bigi, perch'era avaro e dava poco il mese, e le mode valevan di gran spese.

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      Anzi patian da quello gran rabbuffi: spesso d'emanciparli gli minaccia. —Che cosa son que' cappellin? que' ciuffi? que' pennacchin?—gridava rosso in faccia. —A che vi servon le frangie, i camuffi? Di farmi impoverir qui si procaccia; cervelli bugi, frasche, fumo e vento, vi diserederò nel testamento.—

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      Essi, che questa cosa pur temeano, ma il bel costume non volean lasciarlo, merci a credenza e danari toglieano, dicendo:—Pagheremo al sotterrarlo.— E da' mercanti un avvantaggio aveano ne' libri, e si credea di poter farlo: che ciò che valea trenta mettean cento; e nondimeno ognuno era contento.

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      Re Salomon, quantunque d'anni grave, voleva anch'esso corteggiar le donne. Nel luogo delle gote avea due cave ed era di struttura un ipsilonne. Pur s'ingegnava a ragionar soave ed alle dame diceva:—Colonne, e un giorno feci e dissi, e son terribile;— e si facea da qualcosa al possibile.

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      E perch'egli era sordacchione affatto, le dame, stanche di sue scempierie, gli diceano:—Siam secche, vecchio matto, vecchio bavoso—ed altre leggiadrie; e poi ridean tutte quante del tratto. Ei credea delle sue galanterie ridesser, donde anch'egli ismascellava, sicché ognuno le risa raddoppiava.

      40

      Il marchese Olivier faceva il saggio, ed i serventi correggeva СКАЧАТЬ