Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni. Massimo d' Azeglio
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Название: Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni

Автор: Massimo d' Azeglio

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

Серия:

isbn: 4064066070090

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СКАЧАТЬ il quale fra gli altri impegni aveva assunto quello di stabilire in Firenze il dominio de’ Medici[9].

      Quest’infelice città vide addensarsi il nembo sospeso sul suo capo; e quando il re Francesco ebbe poco dopo firmata anch’esso la pace di Cambrai abbandonando, ad eterna sua vergogna, tutti i suoi alleati[10]; conobbero i Fiorentini che non dovean porre oramai speranza di salute che in Dio, nella giustizia della loro causa, ed in loro stessi.

      Ma per potere usar le proprie forze avrebber dovuto esser tra loro d’un volere medesimo.

      Invece, le parti de’ Piagnoni e de’ Palleschi[11] inconciliabili per odj vecchi, e per fresche ingiurie tenean divisa la città.

      Quelli tra cittadini che eran saliti in riputazione, ed arricchitisi all’ombra della casa Medici, uomini la più parte di buon tempo, amanti de’ piaceri e dello sfarzo; ed anco molti tra i popolani e gli operai cui il largo spendere di quella famiglia facea far grossi guadagni, ne avean veduta con dolore la cacciata, eran presti ad afferrar l’occasione per farla ritornare, e la loro parte, nominandosi dallo stemma Mediceo (sei palle rosse in campo d’oro) era detta Pallesca. Costoro non si curavano della libertà ed amavano meglio il viver lieto, e la licenza di costumi di che godevano sotto il reggimento de’ Medici.

      I loro avversarj allievi, per dir così, di fra Girolamo Savonarola, e seguaci della sua stretta dottrina, professavano somma austerità di vita, orrore per gli spassi e pei divertimenti ancorchè leciti, e favorivano la democrazia nel senso più esteso. L’abito d’aver sempre alla bocca massime di morale e precetti d’austerità, e di deplorare continuamente le sfrenatezze del vivere mondano, fu cagione che venisser detti Piagnoni.

      Se poi questo zelo per la religione e la libertà fosse sincero in ognuno, o se a molti servisse per mascherare disegni violenti ed ambiziosi, non assumeremo deciderlo. Poichè in ogni tempo i capi di parte hanno scritto sulla loro bandiera «Noi vogliamo religione, libertà, giustizia per tutti» e così hanno trovato chi li seguisse: che invece ad avervi scritto ciò che spesso era vero «Noi vogliamo religione che serva a noi, libertà a noi soli, e giustizia a modo nostro» non avrebber trovato; e quantunque una tal riflessione paja ovvia, gran parte de’ guai del mondo e accaduta appunto dal non averla avvertita.

      Il contrasto tra queste due parti era però tutt’altro che palese. I Piagnoni tenevano la città, ed ai Palleschi pareva far molto a potervi stare nascondendo con ogni studio i loro pensieri: ed ottenevano a forza d’ipocrisia di non esser taglieggiati, posti al tormento per ogni piccolo sospetto, e mandati al bargello, o al patibolo.

      Ma per questa oppressione, crescendo in loro l’odio contro la parte nemica, supplirono alla forza coll’astuzia; e le pratiche segrete onde rimettere i Medici si mantennero sempre, e partorirono alla fine la rovina della repubblica.

      Tra queste due opposte parti, come accade sempre ne’ tempi di rivoluzione, ve n’era poi una terza detta de’ Neutrali che avea desiderj più moderati. Quantunque anch’essa volesse il viver libero, avrebbe però inclinato a cercar accordo col papa, e veder se, ammettendo che i Medici tornassero come privati cittadini, si fosse potuto fuggir la guerra ed al tempo stesso salvar lo stato. Di questa setta detta anco degli Ottimati, perchè ad essa aderivano molti di costoro più ricchi e perciò più paurosi, era capo Niccolò Capponi. Essa, come vedremo, fu alla fine cagione della perdita della libertà.

      Si sparse frattanto per tutta Italia la nuova essere Carlo V sbarcato a Genova con grande apparecchio: e se tutti ne rimasero commossi, i Fiorentini se ne sbigottirono più degli altri; ma ripreso animo a poco a poco pei conforti del gonfaloniere Carducci e di più altri cittadini della setta de’ Piagnoni tra quali erano principali Niccolò Guicciardini, Giovanni Battista Cei, Bernardo da Castiglione, Jacopo Gherardi e Luigi Soderini; risolsero far quelle provvisioni che potevan maggiori, ed infine voler morire piuttosto che perder la libertà.

      La parte de’ Neutrali riuscì però a vincere il partito che fossero mandati ambasciatori a Cesare: vennero scelti Tommaso Soderini, Matteo Strozzi, Raffaello Girolami, Niccolò Capponi, i quali prestamente corsero a Genova.

      La risposta dell’Imperatore, quantunque porta assai ammorevolmente, fu breve ed assoluta; poichè egli era fermo di voler soddisfare in tutto a Clemente VII. Le parole furono «Che si rendesse l’onore al Papa» la sostanza «Che Firenze divenisse roba di casa Medici.»

      Il gran cancelliere poi usò cogli oratori modi e parole più rigide. Cavò fuori le solite pretensioni; Firenze esser feudo dell’imperio, ed i Fiorentini entrando in lega col re Francesco aver perduto e dritti e privilegi e libertà; esser ora grande umanità dell’Imperatore l’indursi a perdonar la loro perfidia ed ingratitudine al solo patto che rimettessero i Medici.

      Gli ambasciatori risposero quattro parole a modo: «Firenze essere stata sempre libera e di sua ragione» e rotta la pratica partirono.

      Lo svanire dell’ultime speranze d’evitar la guerra, invece d’abbatter l’animo de’ Fiorentini, lo sollevò. Con una generosità ed un ardore de’ quali ha pochi esempi la storia, e che meritavano miglior fortuna, risolsero difendersi fino agli estremi senza curarsi nè de’ tradimenti di Francia, nè dello sdegno di Clemente, nè dell’immane temerità di voler soli stare contro tutta la potenza di Carlo V.

      È cosa che stringe il cuore, veder tanta moltitudine di cittadini, insieme colle donne e persin co’ fanciulli, risolver tutti con tanto ardire di volger il viso alla fortuna, affrontar con tanta prontezza d’animo i rischi d’una lotta cotanto impari, i disagi, la fame, le ferite, la morte, piuttosto che soffrire un’ingiustizia, e pensar poi a qual fine doveva riuscir tanta virtù.

      Non sappiamo resistere al desiderio di far conoscere minutamente al lettore i modi che tennero per mandare ad effetto il generoso proposito, e ci teniamo sicuri ch’egli non ce ne sappia il malgrado.

       Indice

      Primieramente per partito vinto fu condotta divotamente in Firenze la Vergine Maria dell’Impruneta e la tavola di S. Maria Primerana di Fiesole che collocarono in S. Maria del Fiore nella cappella di S. Zanobi.

      Poi soldarono molti capitani nuovi, massimamente di quelli delle bande nere[12], accrescendo le compagnie, onde fatta una rassegna generale si trovarono soltanto in Firenze, senza contare il contado, meglio di ottomila fanti pagati sotto sei colonnelli, e circa ottanta capitani, de’ quali ve n’erano diciassette Fiorentini.

      In oltre i quattro quartieri ne’ quali si divideva Firenze, cioè S. Spirito, S. Croce, S. Giovanni e S. Maria Novella avean ciascuno quattro gonfaloni, sotto i quali era scritta la gioventù in modo che veniva a formare sedici bande di quattrocento in circa per banda, ognuna delle quali eleggeva colle più fave nere capitano, luogotenente, banderajo, sergente, e capi squadra. Queste bande armate di picche, corsaletti ed archibusi, ben ordinate ed ottimamente in arnese, eran composte d’uomini tutti dai diciassette ai 40 anni. Dovean ragunarsi una volta al mese ognuna su una piazza del proprio quartiere, ove facevano evoluzioni, e tiravano al bersaglio cogli archibusi, ed esercitandosi così in tutti gli uffici della milizia giunsero ben presto a potere stare a paragone delle fanterie pagate. Di più, era istituito che ogni anno quattro di quei giovani facessero in una delle principali chiese un’orazione ciascheduno, che trattasse della libertà[13]. Non piacque a Dio che quest’istituzione avesse lunga vita.

      Oltre questi, che eran tutti soldati a piede, Amico d’Arsoli e Jacopo Bichi sanese stavano a servigi del Comune co’ loro cavalli che in tutto non sommavano a quattrocento.

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