Название: Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni
Автор: Massimo d' Azeglio
Издательство: Bookwire
Жанр: Языкознание
isbn: 4064066070090
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De’ ragnateli poi e della polvere non se ne parla.
Raccozzò ogni cosa alla meglio e portò il tutto nella sua cella: aiutandosi con olio e con un pezzo di legno dolce si diede a giocar di schiena finchè dopo un’ora buona di lavoro ebbe scoperto che la ruggine non avea tanto danneggiate quell’armi da renderle inservibili.
Tornato alla stalla ove il cavallo s’era un poco ristorato dallo stento, lo sciolse dalla mangiatoja, e lo trasse in una piccol’aja che era tra la casa e l’orto. Dopo avergli infilata la briglia, con un salto si trovò su, e così a bardosso cominciò a provare a farlo muovere in volta. La povera bestia trovandosi satolla, e non le era accaduto da un pezzo, avea ripreso spirito, e si maneggiava ancora meglio che il cavaliere non avrebbe pensato.
Questi saltò a terra molto contento e confortandosi che un migliore scotto per qualche giorno l’avrebbe finita di risuscitare, ritornò nella sua cella.
Per non perder tempo (chè ad ogni minuto si sentiva crescer la smania) dispose d’uscir tosto per cercare ove potesse venir adoperato. Si rassettò i capelli e la barba, scosse la tonaca, e tiratosi in sugli occhi il cappuccio, si trovò presto sulla piazza S. Marco avviato verso il Renajo de’ Serristori (passato il ponte Rubaconte, ora detto alle Grazie) ove abitava il signor Malatesta Baglioni capitan generale de’ Fiorentini.
Il tempo ch’egli impiegherà per istrada non crediamo inutile (prima d’entrare in altro) impiegarlo a por sottocchio al lettore a qual termine si trovasse allora Firenze, ed a ricordargli le congiunture politiche, che ve l’avevan condotta.
Dai primi anni del secolo XVI l’Europa si trovava sconvolta.
Tre uomini ai quali era dato trarsi dietro la moltitudine coll’autorità del grado, colla potenza dell’armi, o con quella dell’ingegno, Carlo V, Francesco I e Martino Lutero, parve in quel tempo facessero a chi di loro poteva metter più sottosopra l’umanità.
I due primi divenuti nemici, dacchè cessarono di essere rivali nelle loro pretensioni alla corona Imperiale ottenuta da Carlo, mossero l’un contro l’altro, e durarono finchè vissero in un’alternativa continua di guerre lunghe, atroci, macchiate di frode e di crudeltà, e di brevi paci accordate vilmente, ed oltraggiosamente turbate.
Il terzo, povero frate Agostiniano armato di dottrina, d’ingegno, d’audacia ad ogni prova, potente de’ mali umori che gli abusi della giurisdizione ecclesiastica avean generati tra popoli della Germania destò quell’incendio, che dovea consumare il cattolicismo nella metà dell’Europa.
L’ambizione, l’amore di gloria vana e avventurosa, ed il fanatismo di religione, che erano le passioni dominanti di questi tre uomini, divennero le passioni di tutti nel secolo XVI, al principiar del quale l’umana società entrò per una strada nuova, che dovea battere senza guardarsi indietro sino a tutto il XVIII.
I re che fin allora avean condotte a stento guerre brevi e locali coll’ajuto di vassalli mal domi obbligati a seguirli soltanto per un tempo limitato, trovarono danari aumentando le gravezze, per pagar soldati i quali non lasciavan mai le bandiere e stavano a posta del principe dove e quanto pareva a lui. Furono allora posti i fondamenti di quel sistema d’eserciti numerosi e stanziali, e di tasse sempre maggiori; sistema che uscito d’ogni termine ragionevole, partorì all’età nostra gravissime difficoltà.
La politica per tener dietro a questo nuovo stato, dove pel passato era quasi interamente circoscritta entro i limiti d’ogni nazione, si dilatò, e concepì il disegno di stabilire l’equilibrio Europeo, pel quale i governi venuti a potenza maggiore e più compatta si sostennero a vicenda sodando in certo modo gli uni per gli altri.
La religione fondata sin allora sull’autorità, fu scossa dalla dottrina dell’esame individuale, e la fede rovinando si sminuzzò, se ci si concede l’espressione, in altrettante quanti erano i seguaci della riforma. Le forze di questa intromettendosi tra i monarchi rivali ora ne turbarono ora ne ajutarono i disegni, rendendo più complicate le loro gare cui dovettero prender parte più o meno tutti gli stati minori.
Narrare le tante vicende che ne seguirono, non fa per la nostra storia. Basterà toccare rapidamente quelle che ebbero più diretta influenza sui destini de’ Fiorentini.
Dopo il trattato di Madrid col quale Francesco I ricuperò la libertà, si conobbe tosto che le sventure ed i poco generosi trattamenti di Carlo V aveano spenta nel monarca francese quella lealtà cavalleresca che lo avea tante volte indotto a spinger la fiducia sino alla credulità, e la generosità sino all’imprudenza.
Non solo trovò il modo di coonestare il rifiuto di cedere la Borgogna secondo l’accordo, ma si fece capo d’una lega contro Carlo V, detta la lega Santa, cui s’accostarono i principali stati d’Italia che la smisurata potenza dell’Imperatore metteva in sospetto.
S’unirono il Duca Sforza, Clemente VII, ed i Fiorentini, i quali dovettero servire ai disegni d’un Papa di casa Medici padrona allora della città. Ma da una parte il Duca d’Urbino capitano dell’esercito della lega, ricordando le ingiurie sofferte da quella famiglia[8] non v’andò mai di buone gambe, dall’altra il re Francesco, mirando solo ad ottener la libertà de’ suoi figli rimasti in Ispagna per istatichi, si valeva degli sforzi degl’Italiani per avvalorare le sue continue istanze presso la corte di Madrid, rovesciando su di essi tutto il peso della guerra.
I collegati s’avvidero presto della sua dubbia fede, e raffreddandosi pensarono ciascuno ai proprj interessi.
Il Papa cui i Colonnesi intesi con D. Ugo di Moncada vicerè di Napoli, avevano assaltato e costretto a rifuggirsi in Castel S. Angelo, conchiuse un accordo pel quale dovette essere il primo a staccarsi dalla lega, e richiamare le sue genti di Lombardia. Queste cose accadevano nel 1526.
Intanto Carlo V ingrossava in Italia. Le soldatesche calatevi con Giorgio di Fransperg s’erano unite a Borbone, e si movevano alla volta di Roma, il Papa preso allo zimbello d’una tregua conchiusa col vicerè credette poter esser sicuro, e licenziò il suo esercito. Ma i soldati di Borbone senza curarsi della tregua o d’altro, presero Roma e le dettero quel sacco memorando che narrammo nel II capitolo.
I Fiorentini allora tenendo Clemente VII per ispacciato, levarono il rumore e dopo aver cacciati, quasi sotto gli occhi dell’esercito della lega, il Cardinale di Cortona, ed Ippolito ed Alessandro de’ Medici, riformarono la città, e ripresero a reggersi a popolo.
Ma il nuovo stato avea poco saldi fondamenti.
Non faceva per Carlo V che i Fiorentini, costanti da così lungo tempo nell’amicizia di Francia, rimanessero in libertà. Il papa voleva ad ogni costo veder prima di morire la sua famiglia stabilita nella Signoria di Firenze; ed i Veneziani, per quella politica creduta sottile dagli Stati italiani, finchè l’ebber poi vista partorire alla spicciolata la rovina di tutti, desideravano, e forse erano per ajutare copertamente lo strazio de’ Fiorentini. Il solo re Francesco avrebbe potuto e dovuto difenderli, ma presto s’avvidero (e molti se ne sono avveduti in appresso) che i Francesi sapeano mirabilmente trarre altri in impaccio per utile proprio, e lasciar poi che n’uscissero come potevano.
L’Imperatore volendo passar in Italia, e riordinarla a suo modo prima di pensar alle cose della Germania, conobbe aver bisogno che qualche principe italiano tenesse dalla sua. Il papa che da molto tempo faceva istanze per ottener pace venne scelto per alleato da Carlo, il quale desiderava cancellar gli oltraggi fatti soffrire dalle sue soldatesche al capo della chiesa.
Mentre si stavano lentamente discutendo i capitoli della СКАЧАТЬ