Venezia. Ciminiere Ammainate. Alfredo Aiello
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Название: Venezia. Ciminiere Ammainate

Автор: Alfredo Aiello

Издательство: Tektime S.r.l.s.

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isbn: 9788873042457

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СКАЧАТЬ quello di destra, che si manifestava con la pregiudiziale verso ogni forma di partecipazione del Pci al governo del Paese, e quello di sinistra che si esprimeva tradizionalmente, come evidenziato da Angelin, in una contestazione ai vertici del Pci (e del sindacato) in quanto partito riformista, accusato di aver abbandonato la prospettiva rivoluzionaria. Era, quest’ultima, una critica che mirava a creare una frattura tra base e vertici sia nel Pci che nel sindacato, per spingere verso lotte “rivoluzionarie” ampie masse di lavoratori.

      

      

       Non a caso molti, o quasi tutti, i leader della contestazione studentesca del ’68 uscivano dal Pci e passando dall’organizzazione dei gruppi avevano in mente proprio un disegno del genere. (33. Cfr. l’intervento di Asor Rosa A., in Bianchi S., Caminiti L. (a cura di), Settantasette. La rivoluzione che viene, DeriveApprodi, Roma 2004, p. 149).

      

      

      Sempre Angelin ci ricorda che a questi attacchi il Pci rispondeva «senza concedere nulla. Poi i militanti di Potere Operaio “scoprono” il “nemico” che detiene per davvero il potere e ostacola l’avanzamento della classe operaia: la Democrazia Cristiana e la Confindustria. E parecchi di questi militanti, quando Potere Operaio si scioglie, entrano nel Pci». Ma non sarà un passaggio breve, né senza contraddizioni. In quei giovani vi era un nuovo modo di concepire e praticare la lotta al Pci. È un’evoluzione, prodotta da un gruppo di intellettuali che consideravano la loro capacità di analisi politica superiore e che perciò erano convinti che avrebbero sconfitto il gruppo dirigente del Pci. Non tutti puntavano a questo obiettivo. L’intervista a Gianni Pellicani mette in rilievo la scelta consapevole di alcuni intellettuali, dirigenti del movimento studentesco e di Potere Operaio, Massimo Cacciari in particolare, che partivano dalla premessa che il Pci era entrato in crisi di fronte a una ristrutturazione capitalistica conseguente a una ristrutturazione delle lotte. Affermava Cacciari nel 1985:

      

      

       “... La nostra presenza [di Potere Operaio, a Porto Marghera] rimane limitata alle “nuove” fabbriche. È insieme un “segno dei tempi” e la dimostrazione che l’organizzazione complessiva della classe operaia non si “inventa” fuori della storia del movimento operaio. Anche su questi motivi matura la rottura tra Negri e me, nell’estate del 1968... Alcuni idioti hanno recentemente lasciato trasparire l’ipotesi che sia avvenuta sui problemi della “militarizzazione”. Mi spiace deluderli nella loro ricerca di arretrare il più possibile l’origine del terrorismo rosso. Ma la rottura con Negri avviene essenzialmente sul problema del partito”. (34. Calimani R., Pierobon V. (a cura di), Le radici del futuro, Regione del Veneto e Marsilio Editori, 2005, pp. 28-29).

      

      

      Nei contestatori del Pci vi era anche un’idea precisa sulle disuguaglianze sociali, sempre più percepite come elementi di esclusione dalle opportunità di vita. Valevano, insomma, più le norme e i valori esterni ai luoghi di lavoro che le condizioni di lavoro in sé. Ecco perché Toni Negri saluta con piacere da un lato la scomparsa dell’operaio-massa e dall’altro le nuove forme di emarginazione che vedono la luce. In ciò Negri, proprio come André Gorz quasi un decennio dopo, ha colto spazi di manovra politica per i movimenti sociali radicali. In Addio al proletariato, Gorz sostiene, in straordinaria similitudine con Negri, che una « non classe di non operai», che non si identifica né con l’idea dell’«operaio» né con quella del «disoccupato» ma che si inserisce nel settore dell’«occupazione aleatoria, a termine, occasionale, provvisoria e a tempo parziale», è salutata come la forza nuova di una radicale trasformazione sociale (35. Gorz A., Addio al proletariato. Oltre il socialismo, Edizioni Lavoro, Roma 1982, p. 69).

      Con questo retroterra politico emersero anche movimenti di estrema sinistra come Avanguardia Operaia e Lotta Continua che puntavano a rivendicazioni “massimaliste” in aperto antagonismo al Pci e ai sindacati.

      

      

      

      

       Difesa dell’esistente o nuove iniziative industriali? La vertenza Alucentro

      

      

      Nelle crisi aziendali si sono quasi sempre misurate due linee sindacali e politiche nettamente contrastanti. La prima mirava alla difesa dell’esistente ed era rappresentata dallo slogan «Nessun posto di lavoro si tocca». Era una linea che dichiarava l’irreversibilità della crisi qualora, nel polo industriale, si arrivasse sotto una data soglia occupazionale. Praticamente, una chiusura totale a ogni trattativa che presupponesse la riduzione degli occupati. La seconda, invece, era una linea disponibile alla contrattazione, nella convinzione che un’ ideologica “difesa dell’esistente” portasse a un logoramento dei lavoratori e del sindacato senza evitare i contraccolpi negativi sull’occupazione. Si può dire che la prima tendeva ad affrontare la questione politicamente: gli accordi cartacei con le alternative ai licenziamenti non bastano, esse vanno costruite effettivamente e solo dopo si accetterà non i licenziamenti, ma il passaggio da un lavoro a un altro. La seconda, più “morbida”, considerava più efficace mettere le mani nel “piatto” per non correre il pericolo di limitarsi ad affermazioni di principio che non avrebbero né fermato i licenziamenti, né creato nuovi posti di lavoro. Chi può essere costretto a insediare nuove attività produttive? Difficilmente si può costringere un imprenditore privato, più facilmente ciò può essere frutto di un’iniziativa (“assistenziale”) statale. Possiamo osservare queste due linee politiche richiamando la vertenza Alucentro. È anche l’occasione per puntualizzare alcune inesattezze che su questa vicenda sono state scritte. Utilizzerò, a tale proposito, un testo in cui, come dice lo stesso autore nell’Avvertenza,

      

      

       "i personaggi – a partire dal protagonista – che compaiono nel libro sono perlopiù inventati; e inventate sono molte scene che tra essi si svolgono... [per poi specificare ciò n.d.a. ] che ai curatori del volume sta più a cuore: la pubblicazione della vertenza che ha permesso all’ex Cdf [Consiglio di fabbrica, n.d.a.] Alucentro di opporsi all’ennesimo scambio di posti di lavoro con ammortizzatori sociali". (36. Cerasi E., Quando la fabbrica chiude, Marsilio, Venezia 1994).

      

      

      C’è da chiedersi, visto l’importante obiettivo dei curatori, per quale ragione si fa ricorso a personaggi inventati, quando si poteva ricorrere ai protagonisti reali. Personaggi inventati possono facilmente portare a storie inventate, che mirano a imporre un punto di vista. Non si può mettere in discussione (si dovrebbe farlo?) la buona fede, ma la verità che può emergere dal testo di Cerasi non rende giustizia alle capacità del giovane e promettente scrittore. La mia analisi critica si fonda su alcuni assunti. Il primo: non è affatto vero che la storia sindacale di Porto Marghera sia la storia dello “scambio di posti di lavoro con ammortizzatori sociali” come è detto nel romanzo. È un giudizio ingeneroso, ad esempio, contro la storica lotta dei lavoratori della Sava, che con oltre 800 ore di sciopero seppero СКАЧАТЬ