Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8. Giannone Pietro
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СКАЧАТЬ come Cuma, Baja e Miseno, coprissero le sue mura arena ed erba. I spessi tremuoti dell'anno 1538, le orrendissime voragini aperte in quel piano, ch'è tra il Lago Averno e Monte Barbaro, dalle quali furiosamente uscivano pietre, fiamme e gran nubi di fumo e di cenere, spaventarono in maniera i vicini Pozzolani, che abbandonando le lor case, tutti se ne fuggirono, molti per mare e molti per terra colle loro mogli e figliuoli, lasciando desolata quella città. Il che inteso dal Vicerè cavalcò subito a quella volta, e fermatosi sul monte di S. Gennaro, vide la misera città coverta tutta di cenere, che appena si vedeva vestigio di case, per la cui rovina i Pozzolani aveano determinato di abbandonarla affatto. Ma il Vicerè non volle acconsentire, che si desolasse una città tanto antica, ed un tempo cotanto famosa. Fece far bando, che tutti ivi si ripatriassero, con fargli franchi di pagamenti per molti anni; e per dar loro più animo, vi fece edificare un magnifico Palagio, con una forte Torre, e pubbliche fontane. E perchè s'agevolasse il commercio tra' Napoletani e Pozzolani, fece rifar la via, donde si viene a Napoli, ed appianò, e rese più larga e luminosa quella mirabile grotta (maraviglioso vestigio della potenza Romana) tal che per quella vi si potesse passare senza lume. Fece a questo fine ristaurare, come si potè meglio, i Bagni, e rifare le mura della città; e per renderla più piena d'abitatori, quando prima soleva andarvi per sua salute a dimorarvi la primavera, si allargò poi ad andarvi ad abitare la metà dell'anno; ed essendo di nuovo Barbarossa nel 1544 tornato ad infestare il Regno, meditando dopo aver saccheggiate l'Isole d'Ischia e di Procida, di far lo stesso a Pozzuoli, siccome avea già cominciato da mare a batterla; tenendovi il Vicerè dentro un conveniente presidio, e cavalcando egli stesso con prestezza con tutta la cavalleria, e molta gente da Napoli, e dalle Terre convicine, giunto che fu al Borgo di quella città, Barbarossa veduta la moltitudine della gente, si ritirò subito, proseguendo il suo viaggio verso Levante, ed il Vicerè liberator di quella fece ritorno a Napoli. Tanta previdenza diede egli per liberar le città del regno dalle invasioni di sì potenti e fastidiosi nemici.

      §. I. Giudei discacciati dal regno

      Non minore providenza fu riputata quella, che diede questo Ministro nel 1540 alla città e regno con averne discacciati i Giudei: essi ci vennero la prima volta intorno l'anno 1200, e s'erano, precisamente in Calabria, allargati cotanto, che popolarono contrade intere di varie città, tal che acquistarono il nome di Giudeche; e crebbero in sì gran numero e ricchezze, che avendo i Giudei dell'Asia persuaso il Turco ad occupare il sepolcro di Davide, sotto mentito pretesto di nascosto tesoro, siccome già avvenne, con danno e dispendio gravissimo de' Cristiani; Martino V irritato per ciò contra i Giudei del regno, s'adoperò con la Regina Giovanna II ne portassero costoro la pena; il perchè a' 18 ottobre del 1429 ordinò ella a Lodovico d'Angiò Duca di Calabria, che facesse esigere da ciascun Ebreo, sia masculo, sia femmina, il terzo d'uno scudo; e fu sì grande la somma, che se ne ritrasse, che compensò la spesa già fatta nell'Asia per lo riacquisto del Sagro Sepolcro19. Ci vennero la seconda volta nel 1492 allor che cacciati da Spagna dal Re Ferdinando il Cattolico, mescolati co' primi, popolarono assai più le Giudeche da essi abitate, dove in breve tempo multiplicati, divennero ricchissimi; poichè quivi con molto lor utile si posero ad esercitar la loro arte di comprare, e vendere vesti ed altre robe usate, ma sopra tutto a dar denari ad imprestanza a grossissime usure20. La comodità era grande, ma gl'interessi, che soffrivano coloro che vi avean negozio, erano intollerabili. Narra Gregorio Rosso21, che in que' mesi, che stette l'Imperadore in Napoli, si videro impoverire molti Cittadini, e particolarmente molti Signori e Nobili, i quali per mostrare in quell'occasione il lor fasto, s'aveano impegnato a' Giudei quasi tutti i loro argenti e robe, i quali ricavandone usure grossissime, s'erano fatti ricchissimi, e più sarebbe stato il loro guadagno, se più lungo tempo Cesare si fosse trattenuto in Napoli. Quantunque dal Re Ferdinando fossero stati scacciati da Spagna, furono però sofferti nel Regno dall'Imperador Carlo V, il quale, perchè non si confondessero con gli altri, ordinò, che abitassero tutti in una strada, e portassero un segno in capo, così uomini, come donne22; ma essendo nei tempi del Toledo cresciute le loro usure, e piena la città di richiami contra l'estorsioni che facevano, stimò bene il Vicerè informarne l'Imperadore, dal quale ottenne ordine di cacciarli; onde nel 1540 fece pubblicar bando, che partissero tutti da Napoli e dal regno23. Partirono finalmente, e se ne andarono la maggior parte in Roma, ed altri in altre parti; indi avvenne, che le strade, ove uniti abitavano, ritengono anche ora il nome di Giudeche, e coloro che esercitano la lor arte, Giudei sian nomati.

      Il rimedio però usato dal Vicerè sarebbe stato peggiore del male, se dalla pietà d'alcuni e providenza del medesimo non si riparava; poichè mancata questa comodità d'impegnare con gli Giudei, i bisognosi ricorrevano a' Cristiani, i quali allettati dal grosso guadagno, cominciarono a far peggio, che non facevano i Giudei; perlochè, a fine che non mancasse il comodo a' bisognosi di tor denari ad imprestanza, e per togliere a' Cittadini l'occasione d'imitare, e forse di superare il rigor degli Ebrei, fu istituito il Sagro Monte della Pietà, affine di riscattar i pegni da' Giudei, e di sovvenire a' bisogni de' poveri, dove sino a' dì nostri si somministrano denari sul pegno con moderate usure, e sino alla somma di ducati diece senza interesse alcuno24.

      Con tanta saviezza e con tanta soddisfazione dei popoli governò il Toledo fin qui il Regno e toltone l'avversione d'alcuni Nobili mal contenti del suo rigore, era da tutti amato, ubbidito ed in sommo pregio avuto.

      Ma un nuovo accidente pur troppo infausto, conturbò tutto il bell'ordine, e pose sossopra sì bell'armonia; e se l'amore al proprio Principe e la fedeltà de' Napoletani verso Cesare, non v'avesse posto argine, avrebbe portate peggiori calamità e ruine. Questo si fu l'essersi voluto a' tempo del suo governo tentare di porre nel Regno il Tribunal dell'Inquisizione all'uso di Spagna; la cui Istoria, per contenere uno de' successi più rimarchevoli, e 'l pregio maggiore della costanza insieme e fedeltà de' Napoletani, saremo qui, come in proprio luogo, a partitamente narrare, non riputando doverla rapportare al Capo della Politia Ecclesiastica, contenendo questi successi più del politico e temporale, che dello spirituale delle nostre Chiese.

      CAPITOLO V

      Inquisizione costantemente da' Napoletani rifiutata; e per quali cagioni

      Ragionevolmente alcuni si maravigliano, onde sia nato, che i Napoletani uomini reputati cotanto pii e religiosi, che talora non sapendo tener la via di mezzo, sono traboccati nella superstizione e in soverchia credulità, abbiano poi avuto sempre in orrore il Tribunal dell'Inquisizione? Come avendo potuto sofferir tanti gravamenti ed abusi introdotti nel Regno dalla Corte di Roma, non sofferir quest'altro, che lor si proponeva sotto onesti e salutari colori, di conservar intatta e sincera la loro antica religione, non farla contaminare da' novelli errori ed eresie, le quali sarebbero state cagione d'eterna ed irreparabile lor perdizione? Ne' Pontificati d'Alessandro VI, di Giulio II, di Lione X e di Clemente VII aveano tollerati gli abusi trascorsi in quella Corte nell'ultima estremità. Roma coll'autorità dell'indulgenze, con la larghezza delle dispense, con gli spogli, colle riserve, colle espettative, con volere l'annate de' beneficj, che si conferivano, e con le spese, che nella spedizione d'essi si facevano negli Ufficj tanto multiplicati di quella Corte, non attendeva ad altro, che ad esigere con quest'arte somme immense di denari, non meno dal nostro regno, che da tutta la Cristianità. Vedevano imposte spese e gravose decime a' Cleri, a' Monasteri ed a tutti gli Ecclesiastici del Regno per tirar denaro in Roma, e si sofferivano. Le elezioni de' Prelati, la collazione della maggior parte delle dignità e beneficj tanto maggiori, quanto minori, insino all'infime Arcipreture e Canonicati, s'erano involate al Clero ed al Popolo ed alli proprj Ordinarj, ed erano tutte passate in Roma. Ciò che pure sarebbe stato comportabile se in quelle si fosse avuta cura maggiore della salute dell'anime, e le cose Ecclesiastiche fossero governate rettamente; ma si vedeva il contrario, poichè molti beneficj incompatibili si conferivano in una persona medesima, nè avendo rispetto alcuno a' meriti degli uomini, si distribuivano per favori, o in persone incapaci per l'età, o in uomini vacui al tutto di dottrina e di lettere, e quel СКАЧАТЬ



<p>19</p>

P. Fiore Calabr. Illustr. l. 1 par. 1 cap. 5 num. 3.

<p>20</p>

V. Summ. par. 4 l. 7 cap. 4. Roseo Hist. lib. 1.

<p>21</p>

Giorn. del Rosso, pag. 135.

<p>22</p>

Vedi la Pramm. De Judaeis nelle antiche edizioni di Napoli del 1570 e di Venezia del 1590.

<p>23</p>

V. Toppi de Orig. Trib. par. 2 lib. 1 c. 4 n. 34.

<p>24</p>

V. Engenio Nap. Sacr. pag. 534.