Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7. Giannone Pietro
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СКАЧАТЬ 27 dello stesso mese d'agosto Enea Silvio Piccolomini Sanese, che fu chiamato Pio II, uomo letterato, siccome mostrano le sue opere che ci lasciò: ancorchè la condizione del Pontificato gli fece mutar poi sentimenti, poichè in altra guisa scrisse quando fu privato Segretario dell'Imperador Federico III, d'altra maniera fece essendo Papa. Con tutto ciò fu egli amator di pace ed affezionato del Re Alfonso, perchè essendo Segretario dell'Imperador Federico III, e con lui venuto in Napoli, partecipò de' favori e della munificenza di quello. Il Re intesa la creazione mandò subito Francesco del Balzo Duca d'Andria a rallegrarsi, ed a dargli ubbidienza, il quale trovò il Papa tanto benigno, che ottenne quel che volle: fu poi spedito Antonio d'Alessandro, quel nostro celebre e rinomato Giureconsulto per domandargli l'investitura; ma il Papa in questa congiuntura non volle trascurare gl'interessi della sua Sede: gli fu accordata ma con molti patti cioè, che si pagassero i censi non pagati; si dasse volentieri al Papa aiuto sempre che ne facesse istanza; restituisse alla Chiesa Benevento e Terracina; ed alcuni altri patti furono accordati in nome del Papa da Bernardo Vescovo di Spoleto ed in nome del Re da Antonio d'Alessandro. Fu da Pio II a' 2 novembre di quest'anno 1458 spedita Bolla, colla quale confermò li Capitoli accordati da' suddetti Cardinali destinati dal Papa e dal Re circa l'investitura del Regno, del suo censo e coronazione, e circa la restituzione di Benevento e Terracina. Fu poi a' 10 dello stesso mese istromentata la Bolla dell'investitura del Regno di Napoli al Re Ferdinando, che fu consultata in maggior parte e dettata da Antonio d'Alessandro. Se ne spedirono poi due altre5 a' 2 decembre: nella prima il Pontefice avvisava Ferdinando, che gli mandava il Cardinal Latino Legato apostolico a coronarlo del Regno di Napoli, al quale il Re dovesse dare il solito giuramento di ligio omaggio; nella seconda rivoca la Bolla di Calisto III, per la quale s'era dichiarato il Regno devoluto, e dice le ragioni onde si movea a rivocarla. Spedì ancora un'altra Bolla di commessione al Cardinal Latino per la detta coronazione, il quale partito di Roma venne in Puglia, e Ferdinando in sue mani diede il giuramento e fu coronato.

      (Le convenzioni stabilite tra 'l Papa ed il Re; la Bolla colla quale si rivoca quella di Papa Calisto; il Breve di Pio al Cardinal Latino, per la coronazione di Ferdinando; e la Bolla dell'investitura colla formola del giuramento di fedeltà, si leggono pure presso Lunig6).

      Il Zurita vuole, che il Re si coronasse in Bari; ma il Costanzo e gli altri più accurati Scrittori7, narrano che la coronazione si fece in Barletta a' 4 febbraio del nuovo anno 1459, in presenza di quasi tutti i Baroni con solennità e grandi apparati. Il P. Beatillo8 per mostrarsi costante nella favolosa coronazione di ferro, che credette per antico uso farsi in Bari, dice che in Bari nella chiesa di S. Niccolò fu coronato colla corona di ferro, poi in Barletta con quella d'oro; ma siccome da noi fu altrove detto, questa coronazione di ferro in Bari è tutta sognata e favolosa.

      Furono coniate nuove monete da Ferdinando in memoria di questa celebrità, che si chiamarono per ciò coronati.

      (Fra le monete del Regno di Napoli, impresse dal Vergara in Roma l'anno 1715 nella tavola XXIII si vedono anche impressi questi coronati di Ferdinando, in uno de' quali n. 3 da una parte mirasi la croce di Gerusalemme (che il Summonte tom. 3 lib. 5 cap. 2 la suppone Arme della provincia di Calabria) ed intorno FERDINANDUS D. G. R. SICILI. IER. VNG. e dall'altra ha l'immagine del Re sedente collo scettro ed il mondo nelle mani, alla destra il Cardinale ed alla sinistra un Vescovo che l'incoronano, coll'iscrizione intorno CORONATUS: Q. LEGITIME: CERTAVI).

      Ferdinando non s'intitolava, come suo padre, Re dell'una e l'altra Sicilia, ma e nelle monete e nei diplomi, usava questo titolo: Ferdinandus Dei gratia Rex Siciliae, Hierusalem, et Ungariae: poichè i Regni di Gerusalemme e di Ungaria s'appartenevano alla Corona di Napoli. Nel dì di questa coronazione si mostrò con tutti molto splendido e liberale; poichè non fu persona di qualche merito, che non se ne tornasse a casa ben soddisfatta; co' Baroni e nobili trattò amichevolmente, donando loro titoli, ufficj e dignità, e fece Cavalieri quasi tutti i Sindici delle terre del Regno. Ornò ancora Cavalieri molti vassalli di Baroni; il che come notò il Costanzo e si conobbe poi, lo fece per astuzia, per tenere spie ed aver notizia per mezzo di essi della vita ed azioni de' Baroni. Concesse a' popoli del Regno nuovi beneficj, sgravandogli di molte gabelle. Agli Spagnuoli che vollero appresso di se rimanere, promise la sua buona grazia e familiarità: a coloro che vollero ritornare in Ispagna, accompagnati con molti doni, onoratissimamente diede licenza. Fu riconoscente de' favori del Papa, poichè nel 1461 sposò Maria sua figliuola naturale ad Antonio Piccolomini nipote di Pio, dandogli in dote il Ducato d'Amalfi con il Contado di Celano, e l'ufficio di Gran Giustiziere, vacato per morte di Raimondo Orsini9; onde pareva, che con questa amicizia del Papa, colla parentela del Duca di Milano, e con aversi resi con queste rimunerazioni benevoli molti Baroni e' popoli, gli animi di molti, che stavano sollevati, si quietassero.

      CAPITOLO I

      I Principi di Taranto e di Rossano con altri Baroni, dopo l'invito fatto al Re Giovanni d'Aragona, che fu rifiutato, chiamano all'impresa del Regno Giovanni d'Angiò figliuolo di Renato: sua spedizione, sue conquiste, sue perdite e fuga

      Ma non durò guari nel Regno questa tranquillità poichè, se bene alcuni Baroni, che non più a dentro penetrarono l'animo ulcerato di Ferdinando, credevano che il suo Regno dovess'essere tutto placido e benevolo; nulladimanco molti altri, che sapevano la natura sua maligna e coperta, giudicavano questa clemenzia e liberalità, che fosse tutta finta e simulata, e tra questi, i primi erano i Principi di Taranto e di Rossano parenti del Re, i quali per la grandezza loro stavano sospetti, e dubitavano, che 'l Re, ch'avea veduto vivere suo padre tanto splendidamente con l'entrate di tanti Regni, vedendosi rimaso solo con questo Regno, sempre avria pensato d'arricchirsi con le ricchezze loro e per questo non osavano di venire a visitare il Re; anzi il sospetto crebbe tanto nel Principe di Taranto, che ogni dì pensava a qualche nuovo modo d'assicurarsi; e per estenuare le forze del Re, ed accrescere la potenza sua con nuovi amici e parenti, cercò al Re, che volesse rimettere nello Stato il Marchese di Cotrone, a cui avea promesso di dare per nuora una figliuola: e cercò ancora di far ricoverare lo Stato a Giosia Acquaviva Duca d'Atri e di Teramo, padre di Giulio Antonio Conte di Conversano ch'era suo genero. Il Re, ancorchè la dimanda fosse arrogante, pure colla speranza, che tanto il Principe, quanto il Duca ed il Marchese con questo beneficio mutarebbono proposito, ne gli compiacque e mandò due Commessarj, l'uno in Apruzzo, l'altro in Calabria a dar la possessione di quelli Stati, che si tenevano ancora per lo Fisco, al Duca ed al Marchese, e rimandò gli Ambasciadori del Principe, che allora dimorava in Lecce, molto ben regalati, ed il Principe con grandissima dissimulazione mandò a ringraziare il Re, e da allora cominciarono ad andare dall'uno all'altro spesse visite e lettere. Ma il Principe, che conosceva aver offeso il Re, avendolo stretto a porre l'armi in mano a' suoi capitali nemici, quanto più erano amorevoli le lettere del Re, tanto più entrava in sospetto, perchè sapeva la sua natura avara, crudele e vendicativa, ed attissima a simulare tutto il contrario di quello, che avea in cuore. E per questo cominciò a disponersi di voler venire più tosto a guerra scoperta, non fidandosi di stare più sicuro delle insidie del Re, se non toglieva le pratiche de' servidori di Ferdinando in casa sua, per le quali temeva di qualche trattato di ferro, o di veleno. Determinossi per tanto, essendo d'accordo col Marchese di Cotrone, col Principe di Rossano e col Duca Giosia, di mandar segretamente al Re Giovanni d'Aragona a sollecitarlo, che venisse a pigliarsi quel Regno, che gli spettava per legittima successione dopo la morte di Re Alfonso suo fratello. La gran ventura di Ferrante fu, che Giovanni si trovava allora in grandissima guerra in tutti i suoi Regni, e massimamente in Catalogna, ed in Navarra, perchè non potevano i Catalani ed i Navaresi soffrire, che 'l Re istigato dalla moglie, che era figliuola dell'Ammirante di Castiglia, trattasse così male e tenesse per nemico il suo figlio primogenito, Principe tanto ben amato da tutti, e mostrasse di volere i Regni per l'Infante D. Ferrante figliuolo della seconda moglie; poichè se fosse stato sbrigato da quelle guerre, avria certamente in brevissimo tempo cacciato Re Ferrante da questo Regno: onde il Re Giovanni rispose a questi Baroni, che desiderava, che per allora СКАЧАТЬ



<p>5</p>

Tutte queste Bolle sono rapportate dal Chioccar. nel tom. I de' suoi M. S. Giurisd.

<p>6</p>

Tom. II pag. 1258 usque ad 1277.

<p>7</p>

Tutini de' G. Giustiz. Antonio Piccolomini, pag. 102.

<p>8</p>

Beatil. Istor. di Bari, lib. 4.

<p>9</p>

Tutin. de' G. Giustiz. del Regno.