Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5. Giannone Pietro
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СКАЧАТЬ persuadersi a crederlo. Ma in ciò dee pur darsi tutta la fede al Villani, il quale con tutto che Guelfo, e capital nemico de' Svevi, difendendo il Papa, non ardisce di negarlo.

      Papa Clemente non potè vedere l'esecuzione di sì fiero consiglio, poichè a' 29 di novembre di quest'anno 1268 o pure com'altri scrissero a' 30 dicembre trapassò; e per le continue fazioni contrarie de' Cardinali, che per la potenza di Carlo non potevano deliberarsi ad eleggere un successore di loro arbitrio e volontà, vacò la sede quasi tre anni, cioè infino all'anno 1271 siccome scrive il Gordonio.

      Re Carlo, morto il Pontefice, nel nuovo anno 1269 essendo per la sua natural fierezza e crudeltà stimolato a prender di quell'infelice Principe le più crudeli risoluzioni: per dar altra apparenza e più speziosa a questo fatto, volle che si prendesse su ciò pubblica deliberazione; e fatti convocare in Napoli tutti i maggiori Baroni di quello, e quelli Signori franzesi che erano con lui ragunò un consiglio affinchè deliberasse ciò che dovesse farsi di Corradino. I principali Baroni franzesi erano in discordia; poichè il Conte di Fiandra genero del Re e molti altri Signori più grandi e di magnanimo cuore, e che non tenevano intenzione di fermarsi nel Regno, furono di parere, che Corradino e 'l Duca d'Austria si tenessero per qualch'anno carcerati, finchè fosse tanto ben radicato e fermato l'imperio di Carlo, che non potesse temer di loro. Ma quelli, che aveano avuto rimunerazione dal Re, e desideravano assicurarsi negli Stati loro (il che non parea, che potesse essere, vivendo Corradino) erano di parere, che dovesse morire. Altri, a cui era nota l'inclinazione del Re, per andar a seconda del suo desiderio s'unirono co' secondi. A questa opinione s'accostò il Re[137], o fosse per sua natura crudele, o per la grandissima ambizione e gran desiderio di Signoria, che lo faceva pensare agli Stati di Grecia, a' quali non poteva por mano senz'esser ben sicuro di non aver fastidio ne' Regni suoi, massime per le rivoluzioni, ch'avea veduto per la venuta di Corradino; onde dubitava, che i medesimi Saraceni, ch'erano rimasti nel Regno, ajutati da' Saraceni di Barberia, essendo egli lontano, non si movessero a liberarlo; fu conchiuso in fine, che se gli dasse morte.

      A questo fine, fu imposto, che gli si fabbricasse il processo sopra queste accuse: di perturbatore della pubblica quiete, e dei precetti de' sommi Pontefici: di tradimento contro la Corona: d'aver ardito d'invadere ed usurpare il Regno con falso titolo di Re, e d'aver tentato anche la morte del Re Carlo. Fu il processo fabbricato e compito innanzi a Roberto da Bari, ch'era Protonotario del Re Carlo; il quale proferì la sentenza di morte, e quella lesse in pubblico, appoggiandola sopra le riferite accuse.

      (Di questo Roberto e della poca sua letteratura, ne fa anche menzione Errico d'Isernia in quella lettera scritta a Fr. Bonaventura, che si legge nel Codice MS. della Biblioteca Cesarea di Vienna, N. 170 pag. 82 dove fra l'altre cose gli dice: Novimus etiam, si ad moderna tempora stilum retrahimus, quod Papa Clemens Robertum de Baro non magnae Literaturae hominem, imo tantum ex usu aliquid cognoscentem, apud Regem promovit Carolum.)

      Fu da questa sentenza di morte sol eccettuato D. Errico di Castiglia, che fu condennato a perpetuo carcere in Provenza, per osservarsi la fede data all'Abate, che lo consignò al Papa sotto parola, che di lui non si spargesse sangue.

      Fu a' 26 ottobre di quest'anno 1269 in mezzo del Mercato di Napoli con apparati lugubri e funesti, essendosi apprestato il talamo e l'altre pompe di morte, mandata in esecuzione sì barbara e scellerata sentenza; e narrasi che l'infelice Corradino quando l'intese leggere dal Protonotario, voltatosi a lui, gli avesse detto queste parole: Serve nequam tu reum fecisti filium Regis et nescis quod par in parem non habet imperium: poi rivolto al Popolo purgossi de' delitti, che falsamente se gl'imputavano, dicendo, ch'egli non ebbe mai talento d'offendere S. Chiesa, ma solo di acquistare il Regno a lui dovuto per chiare e manifeste ragioni, e del quale a torto n'era stato spogliato. Ch'egli sperava, che di sì inaudite e barbare violenze, ne dovessero prender vendetta i Duchi di Baviera della stirpe di sua madre, e che i Tedeschi, ancora non lasceranno invendicata la barbara sua morte. E dette queste parole, trattosi un guanto, come vuole il Collenuccio, e come altri un anello, lo buttò verso il Popolo, quasi in segno d'investitura. E vi è chi scrive, che per tal atto avesse voluto lasciar suo erede D. Federico di Castiglia figliuolo di sua zia, che, come s'è detto, erasi da Sicilia fuggendo, ricovrato a Pisa. Ma il Maurolico ed altri comunemente affermano, che Corradino con questo segno, morendo senza figliuoli, istituì erede D. Pietro d'Aragona marito di Costanza sua sorella cugina. E narra Pio II[138] che questo guanto o anello fu raccolto da Errico Dapifero, da cui fu portato in Ispagna al Re Pietro. Ond'è che i Re aragonesi e gli austriaci prendono la lor ragione per la successione de' Regni di Sicilia e di Puglia, non già dagli Angioini, ma da questo Corradino, il quale tramandogli a' Re di Sicilia discendenti da Pietro e da Costanza figliuola di Manfredi, siccome, dopo Aventino, scrissero Besoldo[139], il Summonte ed altri. E gli Scrittori siciliani[140], che riguardando il testamento dell'Imperador Federico, dove Manfredi è trattato come suo figliuol legittimo, invitandolo alla successione de' suoi Regni nel caso che Corrado ed Errico mancassero senza figliuoli, riputano per vero, ciò che Matteo Paris narra, come una voce fatta insorgere da Manfredi stesso, cioè, che sua madre essendo vicina a morte, fattosi chiamar l'Imperadore, avesselo per le calde preghiere e sue pietose lagrime, indotto per quelle poche ore di vita, che le rimanevano a riconoscerla per vera moglie, con isposarla; ed in conseguenza, che per cotal atto Manfredi si venne a legittimare[141]: tengono per cosa certa, che la successione di questi Reami per la morte di Corradino si fosse diferita a Costanza figliuola di Manfredi e moglie del Re Pietro, ed a' suoi discendenti; e che a ragione gli Arragonesi ne cacciarono i Franzesi, e con giustizia se ne rendesser poi Signori.

      Ma perchè più dura e acerba fosse l'angoscia dell'infelice Corradino, non fu il primo ad essergli mozzo il capo, ma vollero riserbarlo al fiero spettacolo della decapitazione di Federico Duca d'Austria; poichè il primo ad esser decapitato fu quest'infelice, il cui capo mozzo dal carnefice prese in mano il dolente Corradino, e dopo averlo bagnato d'amare lagrime, baciollo e se lo strinse al petto, piangendo la sua sventurata sorte, ed incolpando se stesso ch'era stato cagione di sì crudel morte, togliendolo alla sua infelice madre. Poi rincrescendogli di sopravvivere a tanti acerbi spettacoli, postosi inginocchione chiedendo perdono a Dio de' suoi falli, diede segno al carnefice di dover eseguire il suo ufficio, il quale in un tratto gli recise il regal capo. E dopo lui, furon decapitati il Conte Girardo da Pisa, ed Hurnasio Cavalier tedesco, e nove altri Baroni regnicoli furono fatti morire su le forche.

      (Questo Federico ultimo dell'antica stirpe Austriaca era della casa di Baden, e s'intitolava Duca d'Austria, com'erede di Federico II il Bellicoso. E' nacque da Gertrude figliuola d'Errico III ch'era fratello del Bellicoso, la quale si maritò con Ermando di Baden, come narra Gerardo a Roo[142]: Cum Fridericus Austriae Ducum ex Babenbergensi gente ultimus Anno post mille ducentos sexto et quadragesimo ex vulnere in pugna cum Hungaris commissa accepto, obiisset, Hermanus Badensis, qui Gertrudim illius ex fratre Henrico Medlicense neptem in matrimonio habebat, Austriae gubernationem adierat. Ejus filius Fridericus annos tutelae vix egressus, Neapoli cum Cunradino Apuliae et Siciliae Rege, uti paulo post dicetur, capite plexus erat. Vedasi Struvio[143]).

      Questo infelice fine, compianto da quanti videro sì funesto ed orrido spettacolo, ebbe il giovanetto Corradino in età di 17 anni. In lui s'estinse la chiara e nobilissima casa di Svevia, che per linea non men mascolina che femminina discendea da' Clodovei e dai Carolingi di Francia, e da' Duchi di Baviera. Famiglia, che sopra tutte le altre d'Europa contava più Imperadori, Re, Principi e Duchi, e che sopra tutte le famiglie di Germania teneva il vanto di nobiltà. In questo sangue incrudelì Re Carlo, portandogli cotal barbaro fatto eterna infamia presso tutte le Nazioni d'Europa; nè vi è Scrittore, ancor che franzese, che non detesti ed abbomini atto sì crudele, da non paragonarsi a quante empietà e scelleraggini si leggono de' più fieri Tiranni, ch'ebbe la terra. Quindi in Alemagna surse l'illustre Casa d'Austria; poich'estinta la stirpe de' Principi di Svevia, СКАЧАТЬ



<p>137</p>

Costanzo lib. 1.

<p>138</p>

Pius II. in Europa.

<p>139</p>

Besoldo de Regno Sicil. et Neap. c. 3 ann. 1269 fol. 681.

<p>140</p>

V. Tutin. de' Contest. pag. 53.

<p>141</p>

V. Inveges Annal. di Palerm. tom. 3.

<p>142</p>

Histor. Austr. Lib. 1 pag. 15.

<p>143</p>

Syntagm. Hist. Germ. dissert. 22 § 10 pag. 714.