Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3. Giannone Pietro
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СКАЧАТЬ Bruzio, Reggio, Cotrone e l'altre città vicine, ma anche abbracciava gran parte dell'antica Lucania, e per questa parte dal Principato di Salerno era terminata, il quale perciò aveva ristretti i suoi confini; nè in questi tempi abbracciava quell'estensione di paese, che a' tempi di Siconolfo a questo Principe ubbidiva. Quest'istessa ampiezza restrinse ancora per un altro lato i confini del Principato di Capua, tanto che non mai in altri tempi si videro dilatati tanto i confini del dominio de' Greci, che in questi, ne' quali tirandosi una linea dal Monte Gargano insino al promontorio di Minerva, ch'è la maggior latitudine del regno; tutto ciò che riguarda l'Oriente e Mezzogiorno, era al dominio de' Greci sottoposto: siccome l'altra parte, che riguarda Occidente e Settentrione, ai Principi longobardi: ma siccome il Principato di Salerno si distendeva fuori di questa linea verso Oriente e Mezzogiorno; così ancora i Greci non s'erano affatto spogliati della loro dominazione verso l'altra parte, che non interamente era a' nostri Principi longobardi sottoposta; imperocchè in questa ancora v'erano i tre Ducati di Amalfi, di Napoli e di Gaeta, i quali ancorchè si reggessero in forma di Repubblica, e sovente dal Corpo d'esse non solo s'eleggessero i Magistrati, ma anche i Duchi; nulladimeno sempre gli Imperadori greci in essi Ducati ivi mantennero non deboli vestigi della loro autorità e supremo dominio; siccome del Ducato di Napoli, dalle cose già altre volte dette si è veduto; e nel Ducato d'Amalfi ancora solevano i Duchi confermarsi dagl'Imperadori d'Oriente, da' quali ne ricevevano la dignità del Patriziato.

      Di Gaeta nè meno di ciò può dubitarsi; poichè se bene Lione Ostiense[72] rapporti, che Gaeta ubbidiva al Papa, e che perciò Giovanni VIII, l'avesse conceduta a Pandulfo Conte di Capua; nulladimanco fu quella ben tosto ricuperata da' Greci. I Papi pretendevano questa città per quelle ragioni, che gli fornì Carlo M. quando pretese toglierla a' Greci, e farne un dono alla Chiesa romana, siccome avea fatto di Terracina e delle altre spoglie de' Greci: ma Arechi immantenente s'oppose, e fece sì, che tosto questa città ritornasse nel dominio greco, onde da' Patrizj prima e poi da' Duchi fu governata. Ma perchè i Pontefici romani non si dimenticano così di leggieri dei loro diritti una volta che credono avergli acquistati, mantennero sempre vive le loro pretensioni, e quando le congiunture ed i tempi gli favorivano, non potendo ritenerla per se, la concedevano a qualche Principe potente, acciocchè potesse difendersela da' Greci, siccome fece Giovanni VIII, concedendola a Pandulfo; ma perchè da costui facevasi de' Gaetani aspro governo, Docibile, che si trovava allora Duca di Gaeta, ricorse sino agli aiuti de' Saraceni per discacciarlo; onde si vede, che ne gli stessi tempi che narra Ostiense, Gaeta ubbidire al Papa, si fa menzione de' Duchi, che furono in quella città, dependenti dagl'Imperadori greci, come fu Giovanni, Gregorio, Docibile ed altri; ed in molte carte fatte in questi medesimi tempi in Gaeta, alcune delle quali le dobbiamo all'Ughello, si vede perciò notato il nome degl'Imperadori d'Oriente, che allora regnavano. Così in una fatta nell'anno 812 si legge: Imperantibus Domino nostro piissimo Imperatore Augusto Michaelio et Theophilo magnis pacificis Imperatoribus. Ed in un'altra fatta dopo il tempo del quale parla Ostiense, nel 884 si dice: Imperantibus Domino nostro Leone et Alexandro pacificis magnis Imperatoribus[73]. Ciò che manifestamente si conosce dal vedersi, che i Normanni dopo averne discacciati i Greci, si vollero intitolare non meno Principi di Capua, che Duchi di Gaeta: ancorchè lasciassero in quella città la medesima politia e forma di governo, e che i suoi particolari Duchi e Consoli la governassero[74].

      Per questa cagione avendo i Greci tanto dilatati i loro confini, e non riconoscendo Feudi, non si leggono così nella Puglia come nella Calabria in questi tempi nè Contadi, nè Ducati, nè altre Baronie; ma ben se ne leggono moltissime nelle province a' Principi longobardi sottoposte. Quivi, come si è veduto, si sono intese le Contee di Marsico, di Molise, d'Isernia, d'Apruzzi, di Tiano e tante altre; ma la Puglia e la Calabria non se non quando passarono sotto la dominazione de' Normanni conobbero i Feudi; poichè i Normanni, traendo la medesima origine de' Longobardi, gli riceverono insieme colle loro leggi e costumi. Quindi in tutti que' luoghi, che tolsero a' Greci, v'introdussero i Feudi: e sursero quindi (oltre i Conti di Puglia e di Calabria) i Conti di Capitanata, di Principato, di Lavello, di Loritello; i Conti di Conversano, la memoria de' quali spesso s'incontra non meno nell'antiche carte, che nell'Alessiade della Principessa Anna Comnena, nella Cronaca di Lione presso Malaterra, Oderico Vitale e di tanti altri Scrittori[75]; i Conti di Catanzaro, di Sinopoli e di Cosenza; i Conti d'Aversa e quelli di Lecce; i Conti d'Avellino, di Fondi, di Gravina, di Montecaveoso, di Tricarico e tanti altri, de' quali ne' tempi de' Normanni ci tornerà occasione di favellare. Prima, quando questi luoghi erano in potere de' Longobardi, furono, come si disse, divisi in Castaldati, che non erano veri Feudi, ma le loro città erano commesse in amministrazione ed in ufficio a que' Proceri longobardi, nè poterono essere mutate in Feudi, come fu fatto in quelle province, che lunga stagione si mantennero presso i Longobardi; perchè i Greci, che le tolsero parte a' Saraceni, i quali l'avean occupate a' Longobardi, e parte agl'istessi Longobardi, come s'è detto, non conoscevano Feudi.

      Questo maggior vigore de' Greci ed estensione del loro dominio, portò ancora in conseguenza, che le Chiese di queste province, che secondo la disposizione dell'Imperador Lione furono sottoposte al trono di Costantinopoli, fossero con maggior vigore astrette ad ubbidire a' Patriarchi di Costantinopoli. Quindi si resero più vigorose le proibizioni di Niceforo Foca contro il rito latino, e che i Patriarchi di Costantinopoli s'avanzassero tanto, sino a comandare a tutti i Vescovi della Puglia e della Calabria, che per l'avvenire ne' sacrificj non si servissero più del pane azimo secondo il rito latino, ma del fermentato, conforme all'uso de' Greci; onde s'innasprirono le contese coi Pontefici romani, i quali non vollero in conto alcuno permetterlo, impegnando perciò l'Imperador Ottone a spedire, come si disse, Luitprando Vescovo di Cremona in Costantinopoli: le quali contese s'accrebbero assai più ne' tempi di Lione IX, quando il Patriarca Michele Cerulario scomunicò tutti i Latini, comprendendovi anche l'istesso Pontefice Lione, perchè, fra l'altre cagioni, non osservavano il divieto loro imposto di non consecrare più in azimo, ma che dovessero servirsi di pane fermentato. Donde è nato, che insino a' nostri tempi siano rimasi in questi luoghi alcuni vestigi del rito greco, e che molte Chiese insino al dì d'oggi il ritengano; ancorchè i Pontefici romani per abolire affatto questi vestigi della potestà esercitata quivi dal Patriarca d'Oriente, non abbiano trascurate le occasioni col tempo d'abolirgli, il che se bene fosse loro riuscito in moltissime città, non è però, che oggi siasi affatto estinto e non sia ritenuto in alcune.

      Per quest'istessa ragione non è fuor di proposito il credere, che a tali tempi in questi luoghi le Novelle degl'Imperadori d'Oriente, e le Compilazioni dei Basilici, l'Ecloghe, e gli altri libri, de' quali abbiam fatta memoria nel precedente libro, avessero quivi avuto qualche uso ed autorità; e forte conghiettura ce ne diede l'essersi, come si disse, in Taranto ritrovata l'Ecloga de' Basilici, e l'essersi, mantenuta in Otranto lungo tempo quella famosa libreria d'Autori greci, della quale favella Antonio Galateo. Egli è però vero, che se pure di questi libri s'ebbe qualche uso, non potè durare se non per poco, poichè tosto questi luoghi, essendo caduti sotto la dominazione de' Normanni, i quali abbracciarono le leggi longobarde non riconobbero da poi altre leggi, che quelle di questi Principi e le longobarde: ciò che dimostrano chiaramente le consuetudini stesse della città di Bari, le quali quasi che tutte derivano dalle leggi longobarde, onde i Cittadini di quella città l'appresero, quando la medesima fu lungo tempo sotto la loro dominazione, e quando da' loro Castaldi era governata: di che altrove ci tornerà occasione di favellare.

      Ecco dunque lo stato, nel quale erano queste province, che oggi compongono il nostro Regno nel declinar del decimo secolo dopo la morte d'Ottone II, mentre in Oriente imperavano Basilio e Costantino germani. La Puglia e la Calabria (province che dilatando molto i loro confini, abbracciavano tutta la Puglia, la Japigia, la Mesapia, l'una e l'altra Calabria, con quella parte della Lucania, che si distende verso il Mare Jonio, e che perciò avean ristretti i tre Principati di Capua, Benevento e Salerno) erano sotto la dominazione de' Greci. Il Ducato d'Amalfi, l'altro di Napoli e quello di Gaeta, ancorchè ritenessero aspetto di Repubblica, erano però per antichissime ragioni dipendenti dagl'Imperadori d'Oriente. In Capua reggeva Aloara con Landenulfo suo figliuolo. In Salerno Pandulfo suo fratello. In Benevento, Pandulfo II, il quale, avendo discacciato СКАЧАТЬ



<p>72</p>

Ostiens. lib. 2 cap. 43.

<p>73</p>

Ughel. tom. 1. Ital. Sacr. de Episc. Cajet.

<p>74</p>

Ab. de Nuce ad Ostiens. l. 1 c. 63.

<p>75</p>

V. Du-Fresne in Not. ad Alexiad. Annae Comnen.