Название: Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I
Автор: Amari Michele
Издательство: Public Domain
Жанр: Зарубежная классика
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Così arricchiti subitamente i pochi intraprenditori stranieri, rovinati gli indigeni che non godeano i medesimi privilegii di dritto o di fatto, ne doveano seguitare due mali: che la proprietà ogni dì più che l'altro si tramutasse in man dei Romani, e che andassero a precipizio le industrie cittadinesche e sì il commercio con gli altri popoli fuorchè i dominatori. Dal peso e dalla vergogna del giogo nascea quella disperazione universale, che al certo attizzò la prima guerra servile (a. 134-132 av. l'e. v.), e che spinse alla seconda (a. 103-101 av. l'e. v.) non poche popolazioni libere. Pur coteste guerre avevano origine da più antica e profonda iniquità di cui non erano innocenti i cittadini greci di Sicilia. Gli schiavi di tante lingue congregati nell'isola, e forse gran parte siciliani, dopo lungo alternar della fame con la rapina, della abiezione con gli omicidii, si risovvennero della dignità umana, e invocando il cielo che credeano la dovesse vendicare, si adunarono nei più rinomati santuarii, nel tempio di Cerere ad Enna o dinanzi i tremendi altari dei Palici; bandirono la naturale uguaglianza degli uomini; e valorosamente la sostennero con le armi, aiutati più o meno dai cittadini, finchè Roma, che s'intendea meglio di quella ragione, li vinse e sterminò. E mossa dalla prudenza che accompagnava la ferocità sua, l'aristocrazia romana volle rimediare con leggi che rendessero più sopportabile la condizione dei Siciliani: ma non giovò, perchè tal minuta giustizia non troncava la radice del male, e d'altronde non si osservava, per essere elusa e soffocata a Roma dalla prepotenza dei grandi. Già la patria era perduta; già i migliori disperavano di lei. Diodoro, che fiorì l'ultimo tra i sommi ingegni della Sicilia greca e fu il primo scrittore dell'antichità che abbracciasse la storia universale, Diodoro, dopo trent'anni di viaggi e lungo soggiorno a Roma (verso l'anno 45 av. l'e. v.), par sì rassegnato alle sventure della Sicilia, che accettava come vera guarigione un sollievo passeggiero dovuto alla umanità del pretore Asillio. Nè volgare animo ebbe lo storico siciliano, nè poco amore per la patria; ma vedendola perire, par ch'ei se ne confortasse con le ineluttabili leggi dell'umanità che gli lampeggiavano alla mente, e con risguardare ormai il genere umano come unica famiglia, e il popol romano come capo di quella.110 Dopo la morte di Diodoro seguirono le ultime guerre civili dei dominatori, che fecero campo di battaglia la Sicilia (a. 43-35 av. l'e. v.), e sì la straziarono, che consunta com'essa era dalle cause economiche e morali, non potè risorgere; le antiche e nuove piaghe scoprironsi di un subito. La popolazione delle cittadi scemò orribilmente; moltissime rimasero vôte d'abitatori; abbandonata gran parte dei colti: la terra di Cerere, sì cupidamente presa dai Romani, si era sfruttata nelle mani loro.111
Chi abbia mai percorso le splendide memorie della Sicilia greca, o soltanto abbia notato gli avanzi di quella prosperità nelle orazioni di Cicerone contro Verre (a. 70 av. l'e. v.) crederà a stento lo squallore che ingombrò il paese verso il principio dell'era volgare. Pur ne son prova i provvedimenti di Augusto, necessitato ad ovviare alla rovina di parecchie città, e l'espresso attestato di Strabone, uom greco, contemporaneo, sciente delle cose di Sicilia, non sospetto di esagerarne le calamità per calor poetico dell'animo. Cominciando dal lato di levante Strabone trovava sol quattro città: Messina, Taormina, Catania, Siracusa; notando che le ultime due fossero state di recente ristorate da Augusto, e Siracusa ristretta a minore spazio presso la penisola d'Ortigia, in vece dello antico giro di centottanta stadii, troppo ormai agli abitatori.112 Su la costiera meridionale, continua il geografo, v'ha Agrigento e Lilibeo e il rimanente delle città al tutto rovinate e deserte; nè la settentrionale abbonda di popolazione, ancorchè la si estenda più che le altre due, e vi si veggano Alesa, Tindaro, Cefalù, Palermo colonia romana, e lo Emporio Segestano. Delle città dentro terra ei va nominando Etna, Centorbi ristorata altresì da Augusto, Erice col magnifico tempio scarso ormai di sacerdoti, Enna designata sol come fortezza, Lentini che andava a male; e le altre abbandonate tutte e date ad abitare a pastori. Spaventevole ragguaglio confermato coi nomi delle principali città distrutte, e col dire della grande fertilità del suolo, ma che i prodotti di quello, grani, miele, zafferano, bestiame, pelli, lane, tutto portavasi a Roma, fuorchè quel poco, son le parole di Strabone, che si consuma nell'isola. A compiere il quadro egli accenna alle antiche guerre servili che più o meno ripullulavano, e che ai suoi tempi un Seleuro che si dicea figlio dell'Etna, avesse levato eserciti e tenuto una parte del paese, ma poi vinto e condotto a Roma, aggiugne romaneggiando il geografo greco, ognun l'ha veduto nel circo, esposto in cima a un gran catafalco in figura dell'Etna, il quale aprendosi, com'era congegnato, lasciò cadere il ribelle nelle gabbie delle fiere.113
Ma la rivoluzione che oppresse la libertà di Roma, temperò anco i soprusi dell'aristocrazia romana nelle province; tendendo il principato a ragguagliar nella comune obbedienza tutte le classi dei cittadini, e tutte le parti del territorio. Per questo mutato ordine di cose, la Sicilia, come alcuni altri paesi, respirò alquanto; anche mercè i pronti e materiali soccorsi di Augusto ricordati di sopra; limosina la quale dovea accorare i Siciliani più che confortarli, e continuò, per maggior onta, sotto Tiberio e Caligola, da cui fu riedificato alcun monumento dell'isola. Succeduta poi una serie di buoni principi, che fecero dimenticare, con unico esempio nella storia, i vizii del potere assoluto, la Sicilia convalescente arrivò a partecipare di quella prospera mediocrità universale dell'impero romano: parecchi villaggi ingrossati presero il luogo delle città ch'erano distrutte ai tempi di Strabone, e alcuna di queste risorse, o così potè dirsi, perchè un pugno di gente tornava ad abitar tra le rovine. Provan ciò le opere di Plinio e di Tolomeo, e l'Itinerario d'incerta epoca che porta il nome di Antonino: scritti che tornano a un dipresso alla prima metà del secondo secolo. E in vero l'Itinerario accenna novelle stazioni di posta istituite recentemente, e i due geografi, con poco divario l'uno dall'altro, danno una lista di città il cui numero è quadruplo di quel di Strabone e metà di quel che si rinviene appo Stefano Bizantino, erudito di tempi più bassi, che spigolò negli antichi scritti dei Greci.114 Le quali cifre ancorchè vadan prese ad arcata per la poca esattezza di coteste compilazioni, pur vi si raffigura il precipizio della Sicilia negli ultimi tre secoli che precedettero l'era volgare, e lo scarso ristoro nei primi due secoli che la seguirono.
Scarso ristoro e non durevole; perchè indi cominciò la decadenza universale dell'impero; perchè l'Italia si trovò peggio che le altre province per lo flagello dei latifondi e degli schiavi di che eran pieni; e perchè la Sicilia, divenuta del tutto italiana, fu afflitta più che la Penisola, per essere caduta una parte maggiore delle sue terre nelle mani dell'aristocrazia di Roma. A tal disordine sociale non bastavano a riparare nè la prudenza di Augusto, nè la benevolenza degli Antonini, nè l'equa amministrazione della giustizia, nè la bene ordinata azienda. Pertanto riapparvero gli antichi sintomi nel terzo secolo; e tra quell'universale scompiglio, che suol chiamarsi l'epoca dei trenta tiranni, divampò nell'isola una novella guerra servile115 (a. 259). Spenti altrove i piccioli tiranni, posata la commozione sociale dell'isola, continuò in tutta Italia l'abbandono dell'agricoltura, continuò lo spopolamento, non ultima cagione delle invasioni dei Barbari. Diocleziano prolungò alquanto la vita dell'impero. Poi la sede passò a Costantinopoli (a. 330); ripassò in Italia alla divisione (a. 395) СКАЧАТЬ
107
Diodorus Siculus, lib. XXXIV, XXXV.
108
Florus, lib. III, c. 9.
109
Palmieri,
110
Diodorus Siculus, lib. V, XXXIV, XXXV, XXXVI, XXXVII. A creder mio, Diodoro giudicò male la prima guerra servile, credendola un imperversare di masnadieri e nulla più. Nella seconda riconosce il malo contentamento dei Siciliani. Ma la Legge Rupilia, alla quale io ho fatto allusione di sopra, sendo stata promulgata dopo la prima guerra, ne prova chiaramente l'indole politica.
111
Palmieri, l. c., sostiene che il grano prodotto dalla Sicilia al tempo di Verre, non montasse che ad un milione di salme d'oggi (2,753,659 ectolitri); cioè due terze parti della produzione attuale. Di più, crede che tutta la Sicilia allor ne desse appena quanto il solo Stato di Siracusa sotto Gelone.
112
Gli stadii di Strabone sono ordinariamente di 700 al grado. Il perimetro della antica Siracusa indi torna a 11 miglia e mezzo delle italiane di cui entran 60 in un grado. Ho seguíto in questo passo di Strabone la interpretazione di M. Letronne,
113
Strabo,
114
Stefano dà 122 nomi di città e castella, tra le quali alcune poste per errore in Sicilia, ma altre ne mancano. (Stephanus,
115