Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900. vol. I. Elia Augusto
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Название: Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900. vol. I

Автор: Elia Augusto

Издательство: Public Domain

Жанр: История

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СКАЧАТЬ avviso al Durando, che si trovava colla sua divisione nella vicina Bassano, della presenza del nemico, affinchè come generale in capo avesse prese le sue disposizioni.

      Alle 5 di mattino del 9 maggio il nemico si mosse all'assalto delle posizioni occupate dai nostri i quali sostennero l'urto senza cedere un palmo di terreno, mantenendo un fuoco assai ben nutrito fino alle 4 pomeridiane in attesa dell'arrivo del Durando.

      Intanto il nemico ingrossava sempre più tanto che a sera la truppa del Ferrari si trovava ad avere di fronte l'intera divisione del Nugent che occupava con nuovi battaglioni tutte le posizioni di fronte con spiegamento di altri battaglioni a destra e a sinistra tendenti all'avviluppamento dei nostri; intendimento che non sfuggì al Ferrari, il quale ordinava alle sue truppe un movimento di ritirata e di concentramento più indietro di Cornuda per proseguire poi per Montebelluno onde congiungersi colle truppe che vi aveva lasciato di presidio. Giunto a Montebelluno ordinava la partenza per Treviso dandone avviso al generale Durando.

      Nel combattimento del 9 si distinsero il marchese Patrizi comandante la 2a Sezione composta di perugini e di marchigiani che si comportarono da eroi; combatterono da prodi veterani i bersaglieri romani comandati dal Tittoni ed il 1o battaglione della 3a sezione composta di romagnoli; ebbe il cavallo ucciso e riportò ferita il maggiore Diamilla-Muller aiutante di campo del generale Ferrari mentre conduceva al fuoco due compagnie.

      Il mancato appoggio del Durando fu inesplicabile.

      Alle pressanti premure del generale Ferrari egli rispondeva così:

Crespano, 9 maggio 48.

      Generale,

      "Vengo correndo".

"Durando"

      Ma non si vide!

      Il generale Ferrari presa posizione a Treviso ordinava una ricognizione – volle dirigerlo di persona il generale Guidotti il quale spintosi avanti alla testa dei suoi, ebbe trapassato il cuore da una palla tedesca.

      Verso mezzogiorno si ebbe notizia che il nemico in forti masse si avvicinava a gran passi da tre parti su Treviso. Il bravo generale Ferrari si spinse con una forte ricognizione verso il Piave. Venuto a contatto col nemico ingaggiava il combattimento di tiragliori, facendo piazzare intanto la debole sua artiglieria. Al contrattacco del nemico, che aveva spiegato forze imponenti, e al fuoco delle sue artiglierie che fulminavano, la colonna avanzata composta di truppe di linea non resse, balenò prima, poi, presa da panico, si sbandava abbandonando al nemico un cannone e non arrestandosi che a Treviso. Non giovò l'intrepido e valoroso esempio del generale di fronte al fuoco: fu vana la voce degli ufficiali che tentarono di richiamarli al dovere e di fare argine alla fuga; nulla valse e la rotta, di quella truppa fu completa. I volontari marchigiani, romagnoli, umbri, romani rimasero al loro posto ma non poterono riparare al disastro: questi si misero sotto gli ordini del colonnello Galletti e del Sante per riannodarsi alle truppe del generale in capo Durando, avendo il generale Ferrari abbandonato il comando, offeso della condotta del Durando che gli aveva fatto mancare il promessogli soccorso.

      Nei combattimenti di Cornuda e di Treviso, sostenuti con valore dalle forze di linea e di volontari comandate dal generale Ferrari si distinsero:

      Patrizi Filippo, Galletti Bartolomeo, Diamilla-Muller Demetrio, Stefanoni Carlo, Ruspoli Bartolomeo, Tittoni Angelo, Pianciani Luigi, Del Grande Natale, Montecchi Mattia, Gariboldi Alessandro, Ceccarini Luigi, De Angelis Pietro, Federici Romolo, Savini Francesco, Gazzani Adriano, Silli Giuseppe, Chiavarelli Antonio.

      Il generale Durando col grosso dei suoi si trovava a Padova con posti avanzati a Vicenza.

      Il 20 maggio gli Austriaci, forti di 6000 uomini oltre l'artiglieria, assalivano i posti avanzati di Vicenza sviluppando la loro azione di artiglieria e di ben nutrito fuoco di fucileria contro le barricate di Porta S. Lucia, di Porta Padova e di Porta S. Bartolo, ma dopo 4 ore di combattimento il nemico fu da ogni parte brillantemente respinto.

      In questo combattimento, sostenuto con molto valore, i nostri ebbero a soffrire non poche perdite e lo stesso generale Antonini vi rimase gravemente ferito.

      Il giorno 23 gli Austriaci con maggiori forze ritornarono ad assalire Vicenza; il combattimento durò accanito tutto il giorno e fu ripreso la mattina del 24, mentre nella notte del 23 al 24 gli Austriaci bombardarono la città che non diè segni di allarme. I nostri fecero prodigi di valore; colla punta della baionetta fugarono il nemico che perdeva due cannoni e lasciava in nostre mani 154 prigionieri; gli Austriaci ebbero più di mille feriti.

      Fu una giornata gloriosa per le armi italiane.

      Contemporaneamente gli Austriaci attaccavano i nostri nelle posizioni del Caffaro-Lodrone-Bagolino, ma anche da quella parte furono bravamente respinti.

      Il giorno 8 giugno da informatori il generale Durando fu avvisato del nuovo avanzarsi del nemico, ma mal si seppe del numero e della direzione. Si diceva che non raggiungeva i 20,000 uomini ed erano diretti al Piave per congiungersi ad altro corpo ivi concentrato. Ma il giorno 9 si ebbe notizia che aveva tagliata la strada ferrata e gittati tre ponti sul Bacchiglione; ormai il sospetto di essere attaccati diveniva certezza e quindi con ogni maggiore alacrità si diede opera ai lavori di difesa, si distribuirono le forze di 11,000 uomini nelle posizioni le più importanti. Verso sera si ebbero precise informazioni che tutto l'esercito Austriaco con Radetzky alla testa e con 80 cannoni stava per rovesciarsi su Vicenza.

      Alle 4 di mattina del giorno 10 incominciò l'attacco al Monte Berico posizione importantissima che domina Vicenza. Per disposizione del generale Durando, le posizioni di Castel Rambaldo e di Bellaguarda presidiate dagli Svizzeri dovevano essere abbandonate se attaccate da forze preponderanti per concentrarsi con una forte difesa al Colle su cui sta la Villa Ambelicopoli; e così fu fatto. Abbandonato dai nostri il colle di Bellaguarda gli Austriaci pensarono subito di piantarvi una batteria, ma colpiti con grande precisione dalla batteria del Colle Ambelicopoli batterono in ritirata. Fino alle 10 del mattino l'attacco fu debole perchè gli Austriaci lavoravano per fortificarsi nelle posizioni conquistate nel piantarvi batterie che avrebbero ben presto vomitato quel turbine di fuoco che doveva avviluppare la città e piombare sui colli. Ad un dato momento il nemico spiegava tutte le sue forze attaccando contemporaneamente il Monte Berico, i Colli e le porte di Padova, di S. Lucia, e di S. Bartolo.

      Alla difesa della posizione Ambelicopoli stava la batteria Lentulus, rafforzata da un battaglione di corpi pontificii, di un battaglione di svizzeri e dalle compagnie di Mosti di Ferrara e Fusinato di Schio e del Tirolo italiano. Fu un accanito scambiarsi di palle, di granate, di razzi e di fucilate con esito micidialissimo. Alle 2 pomeridiane il Marchese d'Azeglio comandava un attacco alla baionetta contro i nemici occupanti la collina opposta; il combattimento a corpo a corpo fu accanito, micidiale sopratutto per i nostri che avevano di fronte forze quattro volte superiori; vi rimasero feriti lo stesso d'Azeglio e il colonnello Cialdini, e l'esito infelice fu la causa della perdita della nostra posizione al Monte Berico: i nostri costretti a ritirarsi furono inseguiti da cinquemila cacciatori ed Ungheresi senza che la nostra batteria potesse arrestarli con fuoco a mitraglia per non colpire i fratelli inseguiti d'appresso; giunti gli Austriaci a passo di corsa fino ai nostri, come una valanga li rovesciarono giù dal Monte; tentarono ancora i bravi italiani di fare resistenza sul Monte della Madonna e per i portici, ma tutto inutile, che dovettero ripararsi in città.

      Perduto il Monte Berico la sorte di Vicenza era decisa, ma è pur vero che la resistenza poteva prolungarsi.

      Erano le 8 di sera e ad onta del fulminare delle artiglierie e degli stutzen nessuna delle barricate aveva ceduto, tutte difese fino all'eroismo dal battaglione volontari e dalla legione Romana, dalla legione Romagnola, dal battaglione Anconitano e dalle truppe delle Marche; di questo parere di ulteriore resistenza erano i Vicentini che quando videro sulla torre inalberata la bandiera bianca, la presero a fucilate.

      Fu СКАЧАТЬ