Название: Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900. vol. I
Автор: Elia Augusto
Издательство: Public Domain
Жанр: История
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Presidente del Comitato generale sig. Ruggero Settimo, Segretario generale sig. Mariano Stabile.
1 °Comitato – Guerra e Marina – presidente il principe di Pantellaria, Vice presidente il barone Pietro Riso, Segretario sig. Francesco Crispi.
2 °Comitato – Finanze – presidente il Marchese di Torrearsa, vice presidente il conte Sommatino, Segretario sig. Francesco Anca.
3 °Comitato – giustizia, culto, sicurezza pubblica interna – Presidente sig. Pasquale Calvi, vice presidente il sac. Gregorio Ugdulena, Segretario sig. Vincenzo Errante.
4 °Comitato, Amministrazione civile, istruzione pubblica e commercio, presidente il principe di Scordia, vice presidente il barone Casimiro Pisani, segretario il cav. Vito Beltrami.
Componenti dei quattro Comitati. Guerra e Marina, i signori barone Andrea Bivona, Rosario Bagnasco, Pasquale Bruno, Ignazio Calona, Salvatore Castiglia, Giambattista Cianciolo, Emanuele Caruso, Damiano Lo Cascio, Giacinto Carini, Sebastiano Corteggiani, Ascanio Enea, Enrico Fardella, principe Grammonte, cav. Antonio Jacono, Giuseppe La Masa, Giacomo Longo, Domenico Minelli, Pasquale Miloro, Filippo Napoli, Faija Giovanni, Naselli Flores, Giuseppe Oddo, Andrea Ondes Reggio, Agatino Ondes Reggio, Vincenzo Orsini Giordano, Salvatore Porcelli, Rosolino Pilo Giaemi, Mario Palizzolo, principe Ottavio Ramacca, Tommaso Santoro, Francesco Vergara, Guglielmo Velasco.
Finanze – i signori conte Aceto, duca Monteleone, duca Serradifalco, Francesco Stabile, Giovanni Villa Riso, Benedetto Venturelli, Francesco Trigona, Paternostro Francesco.
Giustizia, culto e sicurezza interna – i signori Vincenzo Caccioppo, Giovanni del Castillo Sant'Onofrio, Angelo Marocco, march. Ignazio Pilo, Paolo Paternò, Francesco Ugdolena.
Amministrazione civile, istruzione pubblica e commercio – i signori Salesio Balsano, Francesco Burgio, Villafiorita, duca Gualtieri, conte Manzone, Paternò di Sessa, Federico Napoli, march. Spedalotto, Luigi Scalia, duca della Verdura.
La Città di Catania non degenera figlia della Sicilia, appena ebbe novella della gloriosa rivoluzione della magnanima Palermo corse alle armi al grido di Viva Palermo – Viva la Sicilia. Il popolo espugnò valorosamente tutti i posti occupati dalle truppe compreso il forte S. Agata. L'entusiasmo, il coraggio e la magnanimità dei cittadini risparmiò la vita ai miserabili mercenari che ardirono tirare sulla città e con le grida della vittoria e del perdono confuse quelle genti col rimorso di essersi battuti per la causa nefasta della tirannide.
Alla voce di Palermo e di Catania tutti i paesi della Sicilia risposero secondando il movimento rivoluzionario armando numerose bande pronte a combattere per la difesa della patria.
Ed ora toccava a Messina.
Ecco quel che scrivevano i delegati del Comitato di Messina a Ruggero Settimo presidente del Comitato Generale di Palermo.
"Sia gloria ai prodi che combattono per la Sicilia.
"Messina attende lo avviso da Palermo. Se deve perire morrà; ma con le armi alla mano e con il voto dell'indipendenza nel cuore.
"Sappiate intanto che la guarnigione è forte di 4000 soldati – 300 cannoni sono pronti a vomitare l'esterminio sulla città. Ma Messina sprezza il pericolo – ne facciano fede la brillante pugna del 1o settembre e la imponente dimostrazione del 6 gennaio. Messina quantunque si mostri disarmata è col fatto in rivoluzione – il suo aspetto è minaccioso, imponente; però Messina come al tempo dei Vespri desidera di gareggiare con Palermo solo nella virtù. Se per la causa comune vuolsi il sacrificio di lei essa è pronta a patirlo e ardimentosa si getterà nella voragine. Quantunque i prodi del settembre siano profughi, altri figli ella ha pronti al cimento; quantunque fu disarmata pugnerà con le mani. Se l'attuale stato minaccioso della città, i fatti già consumati, e la diversione dei 4,000 soldati bastano per aiuto alla causa comune, essa starà pronta e minacciosa; se altro vuolsi da lei, si dica. Messina è città "Siciliana" e solamente "Siciliana". Viva Palermo è il grido del popolo. Dite e sarà fatto il voler vostro. Indipendenza e libertà è il solo voto di Messina".
Ma il contegno ardimentoso, provocante del popolo messinese non piaceva ai regi. Comandava in Messina il generale Nunziante, che un giorno, credendo d'intimorire la popolazione, volle far mostra di tutte le truppe che aveva al suo comando stendendole lungo la via Ferdinando. Un abatino si staccò dal popolo che s'era addensato tanto da impedire i movimenti dei soldati, s'avvicinò al generale e gli disse: "Sono queste tutte le vostre truppe? Non ci toccherà neppure un boccone a testa". Al generale che aveva voluto scendere in piazza non restava che caricare la folla e rompere l'assembramento per tenere alto il prestigio militare, invece ordinava di rientrare nei quartieri, il che si fece fra gli urli e i fischi della popolazione. L'abatino era Felice Perciabosco che fu patriota e dei dimenticati.
Da quel momento non ebbero più tregua le provocazioni, le risse fra popolo e truppe borboniche e la sommossa divenne generale. Il bombardamento della città non faceva che inasprire gli animi dei cittadini, i quali, armatisi con armi fornite dai bastimenti, che erano nel porto e con altre mandate da Palermo, si divisero in tre schiere sotto il comando di Antonio Pracomi, di Paolo Restuccia, e di Domenico Landi, decisi di vincere o di morire e senz'altro si diè mano ai più arditi assalti.
Il 22 febbraio il forte Real Basso, Porta Saracena, Santa Chiara, i bastioni di Don Blasco, le barricate di Porto Franco, e l'Arsenale cadevano in mano delle forze cittadine. Aiutati dall'ardire eroico dei bravi cannonieri palermitani il valoroso popolo messinese si avventava furioso all'attacco. Non valse ad arrestarlo il fuoco micidiale del forte S. Salvatore e della Cittadella, traenti bombe e mitraglia contro gli assalitori; tutti questi luoghi difesi dalle truppe borboniche dovettero cedere all'imponenza del furore cittadino, mentre i nemici della patria, atterriti e sbaragliati, correvano a gambe levate a cercare rifugio nella Cittadella, unico punto ormai di loro salvezza. Da per tutto il popolo vittorioso inalberava la bandiera a tre colori. In questi eroici fatti si distinsero assai Longo, Porcella e Scalia.
Diedero esempio di patriottismo altri bravi messinesi e fra altri l'infaticabile Salvatore Bensaia; espugnato il forte Real Basso, si slanciava in altre parti dove ardeva la pugna acclamato dal popolo, quando il figlio suo Giuseppe, salito sull'espugnato baluardo per piantarvi il tricolore vessillo, veniva colpito a morte. – Portata la notizia al padre, al primo annunzio ne rimase tramortito – ma riavutosi gagliardamente gridò al popolo: "Cittadini mio figlio è morto gloriosamente per la salute della patria, io non debbo piangere la sua morte": al cittadino Valadi portarono la notizia che i suoi figli erano feriti all'attacco del forte di porta reale: l'infausto annunzio non sgomentò il patriota: preso il fucile disse: "vado io a rimpiazzare i miei figli". Giulio Colondre, ginevrino, che si unì nel combattere al popolo messinese, riportava grave ferita ad un braccio che ferro chirurgo dovette amputare – ai cittadini accorsi a confortarlo, con tutta serenità diceva: "Signori di questo mio braccio io fo dono alla Città di Messina". Moriva Tommaso Arena e rimaneva ferito anche Nicola Bensaia.
Ai soldati borbonici ridotti nella cittadella non restava altro sfogo che di lanciare ogni giorno delle bombe sulla città, ma i cittadini ne avevano fatta ormai l'abitudine, tanto che accudivano ai loro affari senza punto badarvi.
Il 24 aprile una fregata a vapore napoletana portava a Messina, incaricati di trattare l'armistizio, i commissari Plutino e Lo Presti, calabresi; il Comitato Messinese incaricava per suoi rappresentanti i cittadini Piraino, Ribotti e Natoli, ai quali, prima di altre trattative, era dato il mandato dello sgombro della Cittadella.
Così la Sicilia, che aveva dichiarato decaduto il Re delle due Sicilie, era liberata da tutte le truppe borboniche.
A Palermo veniva istituita СКАЧАТЬ