Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II. Amari Michele
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Название: Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II

Автор: Amari Michele

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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isbn: http://www.gutenberg.org/ebooks/46888

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СКАЧАТЬ href="#n291" type="note">291 il quale par abbia voluto por mano al reggimento come il predecessore Khalîl. In tal moto generale contro l'autorità fatemita, svolazzò nelle menti il solito proponimento di concordia; tanto che Arabi e Berberi insieme formavano di chiamare di governo dell'isola Ahmed-ibn-Korhob. Ei che conoscea la tempra di cotesti affratellamenti, ricusò; fuggì; corse a nascondersi in una grotta; venuti a trovarlo i notabili di tutta la Sicilia musulmana, stette saldo al niego e a dir che non si fidava di loro. Ma incalzando essi nell'inchiesta, e giurandogli d'ubbidirlo infino alla morte,292 si raccomandò a Dio ed accettò. Il lunedì diciotto di maggio, il popolo siciliano lo investiva solennemente dell'oficio di emiro.293 Esordì compiendo il primo precetto di legge musulmana, con mandare uno stuolo in Calabria, nella state del novecentotredici; il quale, assaliti i Cristiani, ne riportò bottino e prigioni.294

      Indi Ibn-Korhob levò l'animo a maggiore impresa. Dopo la guerra d'Ibrahim-ibn-Ahmed, i Cristiani di Valdemone aveano ristorato, con Demona e altre castella, anco Taormina: opera di gran momento, poichè i cronisti musulmani in questo incontro chiamanla Taormina la Nuova. Si accingeva egli dunque ad espugnarla un'altra fiata, con intendimento, come si vociferò, di riporvi sue sostanze, famiglia e schiavi, ed afforzarvisi in caso di guerra civile; ma il disegno sembra piuttosto di compiere ed assicurare il conquisto del Valdemone. Che che ne fosse, mandovvi il proprio figliuolo Ali con un esercito; il quale stette per tre mesi all'assedio, finchè molte schiere, forse dei Berberi, si abbottinaron gridando non voler combattere per mettersi un altro giogo sul collo: ed arsero bagaglie e padiglioni del capitano; e lo cercavano a morte, se non che fu difeso dagli Arabi. Ma la impresa si abbandonò.295

      Tentava Ibn-Korhob nel medesimo tempo296 di ordinare la Sicilia in legittimo e stabile reggimento, con tutta quella libertà che mai avessero imaginato i Musulmani ortodossi. Il modo, pianissimo, era di riconoscere il nome del califo abbassida Moktader-billah; il quale da Bagdad, nelle misere condizioni in cui si travagliava il califato, non avrebbe potuto nè levar tributi, nè esercitar comando di sorta, nè scegliere l'emir di Sicilia, nè altro far che investire lo eletto dei Siciliani. Quanto all'emir, la investitura gli veniva a dare un po' di séguito e di riverenza; togliea qualche pretesto ai macchinatori di novità; mettea qualche lieve intoppo allo sdrucciolo di cotesta autorità senza forza pubblica: del rimanente non aumentava i pericoli d'una tirannide, nè i capi riottosi potean temerne troppo rigor di giustizia. Però la nobiltà arabica di Sicilia toccava il bello ideale del governo di genio suo; quel che aveva ambito per lo innanzi, quel che desiderò in appresso e mai nol potè conseguire. I Berberi faceano come chi si gitti in mare dalla nave che arde: vessati dal principato d'Affrica e dagli Arabi lor compagni nell'isola, concordaron questa volta coi più vicini.297 Tutta la Sicilia dunque a una voce assentì ad Ibn-Korhob, quand'ei messe il partito della obbedienza agli Abbassidi. Incontanente, tolto dalla khotba il nome del Mehdi, si pregò nelle solenni adunanze dei Credenti per Moktader. Mandaronsi lettere e messaggi a Bagdad; ove il califo, con sussiego pontificale, approvò, fece compilare un bel diploma d'investitura in persona di Ahmed-ibn-Ziadet-Allah-ibn-Korhob, e gliel'inviò, com'era usanza, per legati apposta, accompagnato col solito dono degli emblemi del comando: bandiere negre, toghe nere, collana d'oro e smaniglie.298 Arrivò in Palermo l'ambasceria di Bagdad poco appresso l'armata siciliana, che tornava in porto con splendida vittoria.299

      Disdetto il nome del Mehdi, s'era apprestato Ibn-Korhob a provar sua ragione con la spada; e come prima seppe uscito un navilio affricano ad assaltare la Sicilia, ovvero a guerreggiare contro l'Egitto e le città d'Affrica rivoltate,300 fece salpare, a' nove luglio novecento quattordici, il navilio siciliano, condotto dal proprio figliuolo Mohammed. Ai diciotto luglio, trovò nel porto di Lamta, presso Medhia, l'ammiraglio nemico, Hasan-ibn-abi-Khinzîr, quel campato a mala pena nel tumulto di Palermo; e dato dentro, ruppe gli Affricani, arse tutte lor navi, fe' da secento prigioni e tra gli altri Hasan. Mohammed deturpò la vittoria, scannandolo di propria mano e facendogli mozzar mani e piè, e mandò la testa al padre in Palermo: crudeltà provocata forse da antiche offese in Sicilia, di certo dagli esempii di barbarie che avean dato gli eserciti fatemiti nelle città ribelli d'Affrica e dalla strage indistinta degli Arabi di parte aghlabita. Sopravvennero dopo la sconfitta genti che il Mehdi mandava in fretta da Rakkâda; ma, sbarcati i Siciliani, le combatterono e vinserle con tanta rotta, che preser tutte le bagaglie del campo. Indi l'armata assaltò e distrusse Sfax, che si tenea pei Fatemiti; e, passando oltre, si mostrò a Tripoli. Trovatovi El-Kâim figliuolo del Mehdi con l'esercito che tornava d'Egitto, rivolser le prore verso la Sicilia.301

      La riputazione di tal vittoria e della investitura rincorò Ibn-Korhob, sì che diede opera più alacremente alle cose pubbliche, con forza e prudenza, scrive un cronista302 secondo la formola; lasciandoci a tradurre in numeri cotesti segni d'algebra; e di più ad imaginare le difficoltà che si paravano innanzi al novello reggitor della Sicilia: le pretensioni contrarie de' Berberi e della nobiltà arabica, delle antiche famiglie musulmane e dei Siciliani convertiti, degli ottimati militari e dei giuristi; le confuse brame del popol minuto; e quanti soprusi e dilapidazioni eran da riparare, a quante ambizioni dovea resistere Ibn-Korhob, a quante cedere, a quante cupidigie por freno, da quanti invidiosi schermirsi, quanti ladroni gastigare o lusingare, quante pazze ire a comporre, quanti calunniatori ad affrontare, quanti sciocchi a far contenti: nelle dette condizioni della colonia, tra uomini sì mal connessi insieme a ciascun persuaso che la rivoluzione s'era fatta a suo beneficio particolare. Una impresa che tentò Ibn-Korhob in Calabria, quasi dimenticando ch'aveva alle spalle i Fatemiti, mostra ch'ei temesse molto più le divisioni interiori e quel pomo di discordia del fei; onde si studiava ad appagare i più bramosi col bottino della guerra sacra. L'esercito che passò il Faro, saccheggiò, diè il guasto, afflisse gli indifesi Cristiani della punta meridionale di terraferma.303 Ma l'armata fece naufragio, il primo settembre del medesimo anno novecento quattordici o del seguente, a Gagliano presso il capo di Leuca, ovvero Gallico presso Reggio.304 Questo fu principio della rovina d'Ibn-Korhob. Occorso di combatter nuovamente le forze navali dei Fatemiti che ingrossavano su la costiera d'Affrica, l'armata siciliana, scemata da quel disastro dì Calabria, fu vinta e prese tutte le navi. Indi una mala contentezza nei popoli; e ogni provvedimento d'Ibn-Korhob cominciò ad andar di traverso; i turbolenti, che s'erano acquattati per timore, alzaron le creste.305

      Narra il Cedreno che Zoe, mentre reggea lo stato pel figliuolo Costantino Porfirogenito di minore età, volendo concentrare le forze contro i Bulgari che nuovamente minacciavano la capitale, fermò la pace coi Saraceni di Sicilia, affinchè cessassero la infestagione della Puglia e Calabrie racquistate dalla dinastia macedone. Eustazio, gentiluomo di camera,306 com'or si chiamerebbe, dello imperatore e stratego di Calabria, stipolava a questo fine con l'emir di Sicilia di pagargli tributo di ventiduemila bizantini d'oro all'anno, che tornano a un dipresso a trecentomila lire.307 Continua l'annalista, come surrogato ad Eustazio un Giovanni Muzalone; costui sì iniquamente governò, che i Calabresi, ribellati all'impero, diersi a Landolfo principe di Benevento, dopo la esaltazione di Romano Lecapeno al trono di Costantinopoli:308 i quali avvenimenti designando la data che manca nel racconto, fan tornare la pace di Sicilia al novecento quindici o principii del novecento sedici, e però al tempo d'Ibn-Korhob.309 Vergogna all'impero, gloria recò questo trattato alla colonia musulmana di Sicilia e al valente uom che la reggea. E pur non maraviglierei, se un di o l'altro si trovasse in qualche cronaca che i ventiduemila bizantini d'oro eran cagione di nuove discordie tra le milizie arabiche СКАЧАТЬ



<p>292</p>

Baiân, l. c.

<p>293</p>

Ibn-el-Athîr, Baiân, Nowairi, Ibn-Khaldûn, ll. cc. La data precisa nella sola Cronica di Cambridge, l. c.

<p>294</p>

Ibn-el-Athîr, l. c.

<p>295</p>

Ibn-el-Athîr, an. 300, MS. A, tomo II, fog. 205 verso; MS. B, tomo IV, fog. 293 recto; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 159.

<p>296</p>

Nè la lettera nè il senso dei testi fan supporre che Ibn-Korhob abbia preso tal partito dopo l'ammutinamento di Taormina, e per rimediarvi.

<p>297</p>

Di coteste riflessioni non è risponsabile alcun cronista.

<p>298</p>

Confrontinsi Ibn-el-Athîr, Baiân, Nowairi, Ibn-Khaldûn, ll. cc.

<p>299</p>

Ciò si vede dall'ordine dei fatti presso Ibn-el-Athîr e Ibn-Khaldûn.

<p>300</p>

Veggasi il Baiân, tomo I, anni 300 e seguenti; Ibn-Khaldûn, Storia dei Fatemiti, in appendice alla Histoire des Berbères etc. del medesimo autore, versione di M. De Slane, tomo II, p. 524.

<p>301</p>

Si confrontino: Chronicon Cantabrigiense, l. c., an. 6422; Ibn-el-Athîr, l. c.; Baiân, anni 300 e 301, tomo I, p. 169 e 172; Ibn-Khaldûn, Storia d'Affrica, e Storia dei Fatemiti, ll. cc. Le date si ritraggon dalla sola Cronica di Cambridge.

<p>302</p>

Baiân, tomo I, p. 169.

<p>303</p>

Ibn-el-Athîr, l. c. senza porre la data a ciascun fatto della rivoluzione d'Ibn-Korhob, ch'ei narra in un fascio nel 300.

<p>304</p>

Chronicon Cantabrigiense, l. c., an. 6423. Secondo la cronologia seguita costantemente in questa cronica, la data torna senza dubbio al 914. Ma supporrei piuttosto uno sbaglio del cronista, che lo armamento di due navilii siciliani al medesimo tempo, ovvero tale rapidità di movimenti dell'unica armata, che avesse vinto il 18 luglio a Lamta, poi osteggiato Sfax e Tripoli, poi toccato il porto di Palermo, e si fosse trovata finalmente ne' mari di Calabria il lº settembre. Il nome di luogo è scritto nel testo senza punti diacritici.

<p>305</p>

Ibn-el-Athîr, l. c., il quale non parla del naufragio in Calabria.

<p>306</p>

Θαλαμηπόλος.

<p>307</p>

Nel IX secolo il χρυσίον valea da 13 a 14 franchi in peso di metallo.

<p>308</p>

Cedreno, ediz. Niebuhr, tomo II, p. 355.

<p>309</p>

La guerra coi Bulgari, condotta dopo il trattato con la Sicilia, fu combattuta il 917; Romano Lecapeno fu coronato a' 17 dicembre 919; la ribellione di Calabria segui nel 920 e 921. Pertanto il Le Beau, Histoire du Bas Empire, lib, 73, cap. XIII, con buona critica ha posto il trattato di Sicilia nel 916. Un cenno di Giorgio Monaco, ediz. Niebuhr, p. 880, porterebbe questo fatto alla 3ª indizione (914-15). Ad ogni modo, come dalla state del 916 alla primavera del 917 non v'ebbe in Sicilia alcun governo, così par che il trattato si debba mettere avanti la ristorazione dell'autorità fatemita, e però al tempo d'Ibn-Korhob. Posporre non si dee, sapendosi che un'armata del Mehdi assaliva Reggio, d'agosto 918.

Ma anche lasciato da parte lo esame se il trattato si fosse fermato nel 915 nel 918 e anche 919, prima dell'esaltazione di Romano Lecapeno, egli è certo che non si può collocare nel 928 come ha creduto il Martorana (tomo I, p. 86), seguito dal Wenrich (lib. I, cap. XII, § 105). Il Martorana ha preso i particolari del trattato da Cedreno e la data da Nowairi. Ma parmi evidente che questa si debba riferire, non al trattato primitivo, ma alla rinnovazione di quello tra Costantinopoli e i Fatemiti; come spiegherò a suo luogo, nel capitolo seguente.