Una promessa rubata. Olga Kvirkveliya
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Название: Una promessa rubata

Автор: Olga Kvirkveliya

Издательство: Издательские решения

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isbn: 9785006461253

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СКАЧАТЬ >ISBN 978-5-0064-6125-3

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      Olga Kvirkveliya

      Una promessa rubata

      Capitolo I

      Don Sancho

      L’anno 885

      1

      Non sentiva né la gioia di essere sopravvissuto né il dolore di aver perso la battaglia. Aveva scelto lui un lavoro così: combattere per gli interessi degli altri. Però “scelto” non è proprio la definizione giusta: non aveva alternativa.

      Suo padre, conte di livello medio, durante un ordinario bisticcio tra i signori più potenti si era schierato dalla parte sbagliata ed era finito al patibolo insieme con i figli più grandi. Tutta la sua proprietà fu confiscata e la moglie, con il figlio minore, rimase senza alcuna risorsa.

      All’inizio la madre cercò rifugio e sostegno dai suoi parenti, ma questi temevano di provocare l’ira del vincitore ospitando la vedova con il bambino del “nemico della patria”. La povera donna aveva solo una via d’uscita: entrare in un monastero. Però il figlio era quasi adulto e il monastero femminile non era proprio un posto adatto a lui… anche se – il giovane ridacchiò a questo suo pensiero – la compagnia delle giovani educande gli sarebbe certamente piaciuta! Egli avrebbe potuto cercare rifugio dai frati, ma se c’era una cosa per la quale non sentiva alcuna vocazione, questa era proprio il monachesimo. Non gli restava che diventare militare, mercenario.

      Cercò impiego in Francia, ma senza successo: il destino della sua famiglia era troppo noto e nessuno voleva avere a che fare con lui. Provò a chiamarsi con un falso nome… ma le voci riempiono la terra! Dopo aver attraversato tutto il paese, dalla Bretagna alla frontiera spagnola, decise di lasciare la patria, anche perché sua madre nel frattempo, sopraffatta dal dolore, era passata ad altra vita.

      Una volta in Spagna decise subito, per non rischiare, di non chiamarsi con il suo vero nome: potevano essere arrivate anche qui le voci. Dio protegge coloro che si proteggono! Scelse di essere Sancho – dal suo vero nome Alessandro – figlio di un signore di qualche immaginaria contea (grazie a Dio, di quelle ce ne sono tante!). Senza pensare a lungo sul

      cognome, prese quello di Guerriero – “alla spagnola” don Guevara. In seguito i cronisti della sua famiglia avrebbero cercato invano la sua patria sulla mappa; ma intanto quel nome gli permise di trovare impiego.

      Don Guevara procede senza fretta, battendo ogni tanto la mano sul collo del cavallo stanco ed agitato, per rassicurarlo e abituarlo al suo odore (Lo aveva trovato – grazie a Dio!

      – con le staffe ingarbugliate nei cespugli).

      Osserva attentamente la boscaglia cercando di trovare i corpi dei militari che in quella macchia avevano incontrato la morte, senza farsi notare dai “colleghi” mercenari che urlano con brio e gioia sul campo. Sancho ritiene parte del suo lavoro ciò che adesso sta facendo. Sì, la battaglia è persa, il suo padrone è morto e anche il re è stato ucciso. Perciò è necessario cercare un nuovo padrone e sarebbe bene presentarsi con un aspetto non troppo sbrindellato. Il suo equipaggiamento si era rovinato durante le molte mischie anche perché non scappava dai nemici, mostrandosi sempre degno del suo nome-‐soprannome. Così adesso è costretto a frugare tra i cespugli per prendere dai suoi compagni meno fortunati tutto ciò che vi è rimasto di buono. In verità questo è diritto dei vincitori ma a loro basterà quello che resta sul campo; qui, nella macchia, cercarono di salvarsi soltanto coloro che erano gravemente feriti.

      Improvvisamente qualcosa brillò ai raggi del sole. Don Guevara si avvicinò e in un primo tempo fece una smorfia di disgusto: erano alcune donne anch’esse uccise nell’ardore guerresco.

      “Probabilmente sono prostitute”, pensò, e stava già per andare avanti, ma poi ci ripensò: “Forse vi si può trovare qualche ninnolo con cui guadagnare la simpatia di graziose contadine”.

      Una risoluzione opportuna, pensando che nel prossimo futuro si sarebbe potuto trovare al verde!

      Si appiedò e cominciò a osservare la sua “scoperta”. I ninnoli – con sua grande sorpresa – erano di notevole valore e potevano interessare non solo giovani contadine!

      Nel centro del gruppo si trovava il cadavere di una donna incinta. Era vestita in modo molto più ricco rispetto alle altre.

      “Finalmente sono fortunato”, pensò Sancho, e le cominciò a togliere la collana e gli orecchini. Poi guardò gli anelli e si bloccò. Sul dito della donna c’era un anello. Proprio

      quell’anello! Quell’anello che il re aveva regalato a sua moglie quando era venuto a sapere che era incinta. Proprio quell’anello che da quel giorno lei non aveva più tolto!

      Don Guevara era sgomento.

      Da una parte non è un bene per la regina, anche se morta, trovarsi tra sangue e fango; e se la trovassero i vincitori questi esporrebbero il suo corpo al pubblico per l’oltraggio e la profanazione. Dall’altra parte potrebbe vendere i suoi gioielli per un sacco di denaro, ma ogni compratore sarebbe curioso di sapere dove un povero cavaliere li ha presi, in particolar modo l’anello fatto su ordine del re dai migliori gioiellieri del regno.

      Uno strano, quasi invisibile movimento lo sviò da quei pensieri. Il grembo della donna si muoveva!

      Don Guevara con fervore fece il segno della croce: per un momento credette che la regina morta reagisse così ai suoi pensieri non molto pii, ma subito dopo capì che nel grembo si muoveva un bambino: è vivo, ma rischia di morire senza aria!

      Il giovane cavaliere non sapeva che cosa fosse necessario fare, ma poi ricordò che una volta, da fanciullo, aveva visto come un pastore di suo padre aveva tirato fuori un agnello dal grembo di una pecora uccisa dal lupo. Certamente il figlio del re non è un agnello, ma non potrà andargli peggio di adesso!

      Sancho prese dal gambale un coltello, si inginocchiò e cominciò a tagliare con prudenza la pancia della donna cercando di trattenere il tremore delle mani, perché ogni movimento sbagliato avrebbe potuto costare la vita del neonato. Tutto andò per il meglio: non per caso lui era noto per la sua capacità di usare il coltello. Adesso restava solo da tagliare il cordone ombelicale e dare una sculacciata al bambino: era un maschietto, rosso e grosso, che si muoveva e scalciava con tutte le sue forze.

      Con il cordone il cavaliere non aveva problemi, ma dare la sculacciata… Il bimbo avrebbe gridato e i nemici sarebbero accorsi! Questo grido poteva costare la vita a entrambi. Don Guevara strinse a sé il bimbo, salì sul cavallo e solo allora gli diede la sculacciata. Il bimbo cominciò a piangere, ma il cavallo correva ormai al galoppo tra i cespugli. Anche se quelli sul campo avessero sentito qualcosa, non vi avrebbero prestato attenzione poiché discutevano animatemente sul bottino…

      2

      Allontanandosi, e dopo essersi assicurato che non ci fossero inseguitori, don Guevara lasciò le briglie e il cavallo andò al passo.

      Adesso è tempo di pensare cosa fare. Certo, il suo gesto è stato nobile, degno di un cavaliere, ma troppo sconsiderato! Dove mettere il neonato? L’unica soluzione sarebbe lasciarlo presso un monastero, ma questo non è un semplice neonato, è il figlio del re, l’erede legittimo al trono!

      Il passo ritmato del cavallo aiutava a pensare chiaro. Sì, bisogna lasciare il neonato in un monastero; non abbandonarlo, ma consegnarlo nelle mani dell’abate raccontandogli tutta l’incredibile storia. Ma questi ci avrebbe creduto? Mah!

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