Al rombo del cannone. Federico De Roberto
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Читать онлайн книгу Al rombo del cannone - Federico De Roberto страница 6

Название: Al rombo del cannone

Автор: Federico De Roberto

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

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isbn: 4064066069926

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СКАЧАТЬ Arriva ad avere una singolare visione: l'Italia fiorente, rifiorente, affidata ai posteri uniti e concordi in modo da rendere impossibile che «la bella contrada» sia soggiogata mai più: ma sono idee «inutili», riconosce, che non potranno effettuarsi «se non quando la nostra esistenza sarà dimenticata». Di tradurre in realtà la visione, di fare almeno qualche tentativo, di scernere se non altro la via per la quale ci si potrà arrivare, ella non possiede la capacità. Si contenta di pensare che se Gustavo di Svezia o Giuseppe II vivessero ancora, direbbe loro: «Osate, affezionatevi l'esercito, i baroni ricchi e potenti, lanciate ai popoli nobili manifesti, parlate il linguaggio dell'intelligenza, dell'amor proprio, guadagnatevi i cuori e procurate con ogni mezzo di divenire Re d'Italia....»; ma quei sovrani sono morti e sepolti, e non avendo «nè l'energia, nè la potenza, nè il carattere, nè la perseveranza, nè i mezzi loro, bisogna piegare sotto il giogo....» L'amore di sè soffre, assicura — e non è difficile crederla! — «nel fare questa confessione che mi è costata molte lagrime»; ma la sincerità non ritorna, come non tornano i lampi della verità; torna invece la presunzione, ricominciano le smanie, le manie, le insanie, l'impossibilità di accettare le lezioni della vita, di sottostare alle leggi della realtà.

      Da Palermo, dove si è rifugiata, giudica preferibile «entrare in un monastero piuttosto che vedermi insultata nei miei Stati»; ma poi l'idea di vivere da semplice privata in Germania le riesce intollerabile «per punto d'onore»; ed a Vienna, dove si ritrova «Regina di nome e cittadina di fatto», dove la resistenza alla Francia non è ostinata quanto ella vorrebbe, dove i parenti e la figlia non la trattano come pretende esser trattata, a Vienna rigurgitante di generali «da sputarci sopra», le è impossibile vivere; sennonchè, quando torna a Napoli e trova che le cose vanno ancora peggio di prima, riprende a dichiarare che preferirebbe «zappare la terra al mio paese, piuttosto che vivere qui....» Non si accorge di portare con sè, dovunque, le ragioni dello scontento. Si sdegna contro l'ambasciatore francese Alquier che la giudica affetta da «demenza convulsiva», ma ella stessa non confessa che si sente «ammalata di rabbia», in «uno stato violento», e che teme di morire — come infatti morrà, nove anni dopo — «d'un colpo apoplettico»? I freni morali non funzionano in lei: scatta al minimo impulso, avventa giudizii spaventevoli contro i suoi più prossimi, contro il Re che poi protesta di voler rispettare e di «non voler porre in ridicolo»; contro i suoi parenti austriaci, contro l'Imperatore che ha precipitato la monarchia d'Absburgo «nell'obbrobrio» e che ne ha assicurato «lo sprofondamento»; contro i parenti di Spagna, la cui Corte è un «infâme tripot», la cui Regina è una «vieille catin»; contro il Papa, che dice di rispettare come discendente di San Pietro, ma che «come sovrano è infame e merita il disprezzo universale»; contro gli Inglesi e i Russi, che ha portati al cielo quando si è alleata con loro, ma che, non appena la scontentano, diventano «infami, saccheggiatori, egoisti, vili, implacabili e perfidi nemici».

       Indice

      L'improvviso mutamento d'opinione e l'alternarsi di atteggiamenti diametralmente opposti non è tanto sintomatico quanto nel caso di Napoleone Bonaparte. Giudica lui solo degno d'esser «ministro della guerra in Italia», perchè lui solo sa trasformare «gl'Italiani in soldati»; dice che «lui solo, solo, SOLO in tutta Europa sa governare, maneggiare, dirigere i popoli e gli affari», e gli vorrebbe quindi affidare il proprio regno durante un anno affinchè glielo restauri, e gli professa «vera stima» e «profonda ammirazione» e «sincera venerazione», e se il grand'uomo morisse, vorrebbe che lo riducessero in polvere, «per darne una cartina a ciascun sovrano e due a ciascuno dei loro ministri, e allora le cose andrebbero meglio»; ma poi, anzi contemporaneamente, egli è «il bastardo incestuoso, il mitragliatore, l'avvelenatore di Giaffa, quello dei prigionieri infermi precipitati nel Po, mussulmano in Egitto, cattolico a Parigi, scellerato dovunque....».

       L'accusa che gli rivolge con maggiore compiacimento è d'essere un «parvenu», un imperatore «di nuova fabbrica»; ma il peggio, ancora, è che, giudicandolo tale, gli si umilia, lei, la figlia di Maria Teresa! Quante volte ha dichiarato preferibile «perire piuttosto che disonorarsi», quante volte ha promesso al suo confidente ed a sè stessa di non voler «mendicare misericordia da nessuno»? Orbene: ella la mèndica dall'«arci-Imperatore», da «Bonaparte I»; gli scrive una lettera d'umile implorazione, si espone a riceverne una risposta ironica e minacciosa, leggendo la quale — «io, la figlia di Maria Teresa!» — per poco non crepa di rabbia. Ma la rabbia, l'umiliazione, la mortificazione non le impediscono di tornare a piatire: «L'Imperatore è tanto grande! Ha tanta gloria che potrebbe acquistarne un'altra, una vera, mostrandosi generoso, lasciandoci tranquilli a casa nostra, sicuro che mai più» — dopo tre impegni spezzati, e nello stesso punto di infrangere il terzo! — «ci lasceremo sedurre!... Non ho più fiducia in nessuno, e mi sottometterei al tiranno, se mi trattasse bene....» Ha giurato che «mai, mai, MAI» consentirà che il Re di Napoli si riduca alla condizione di tributario o prefetto del proprio regno: e, meno di tre mesi dopo, accatta per suo figlio il posto «di re o di prefetto....» E nel chiedere che l'ambasciatore interponga i suoi buoni ufficii per ottenerle questa elemosina dal padrone del mondo, avvilendosi fino ad offrirglisi in ostaggio, dimentica d'averlo chiamato «bestia feroce, animale ruggente, mostro morale, vendicativo, furente....»

      In verità, il «piccolo Côrso» non dovrebbe fare altro se non risponderle come rispondeva a lui stesso il granatiere della leggenda: «Après vous, s'il en reste!...»

       28 maggio 1916.

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      Pietro Colletta, nel terzo Libro della sua classica Storia, narrando l'accortissima ritirata strategica compiuta nel 1798 da quella parte dell'esercito napolitano che obbediva al generale Damas, giudicò che la salvezza della legione fosse «frutto del dimostrato valore de' soldati e del duce. I quali andarono lodati di que' fatti; ma poche virtù fra molte sventure si cancellano presto dalla memoria degli uomini».

      Più d'un secolo doveva passare prima che la diretta testimonianza dello stesso duce rinverdisse quegli allori, e le Memorie del conte di Damas, rimaste inedite nell'archivio della nobile famiglia, dovevano finire di pubblicarsi in sul divampare d'una nuova serie di guerre più sanguinose e tremende di quelle alle quali l'autore partecipò. Ma appunto per questa coincidenza il libro, che in altri tempi avrebbe interessato soltanto pochi studiosi, si raccomanda oggi ad un maggior numero di lettori ed ha pagine che parrebbero scritte per noi.

       Indice

      Ruggero di Damas, discendente da una famiglia di prodi, ebbe da fanciullo una straordinaria vocazione per il mestiere dei suoi maggiori, «il più bel mestiere del mondo», ed entrò giovanetto nel Reggimento del Re; ma, per la pace che allora regnava nella sua patria, non potendo altrimenti sfogare l'umor bellicoso se non nei duelli, una bella mattina, letto un giornale che dava notizie della guerra combattuta in quell'anno 1787 tra Russi e Turchi, restò «asfissiato» dalla lettura, e senza porre tempo in mezzo, senza chieder licenza nè a parenti nè a superiori, partì per la Russia con pochi denari ottenuti in prestito e andò ad offrire la sua spada al principe Potemkine. Fu accettato, ed ebbe anche la fortuna d'incontrarsi col principe di Ligne, che conosceva da Parigi e che si trovava presso i Moscoviti come rappresentante dell'esercito austriaco loro alleato. Il volontario ed il generale si misero a studiare insieme la lingua russa, «ritenendo le parole baionetta e vittoria prima che pane e vino», e la vittoria ben presto rimeritò il suo ardentissimo alunno, in un combattimento più navale che terrestre contro СКАЧАТЬ