Al rombo del cannone. Federico De Roberto
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Название: Al rombo del cannone

Автор: Federico De Roberto

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

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isbn: 4064066069926

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СКАЧАТЬ e per lungo tempo ancora, i reggitori di quella nazione, era espressa limpidamente nel rapporto del Caulaincourt, ministro degli esteri di Napoleone, al suo padrone: «L'Italia dichiarata indipendente avrebbe senza dubbio un più diretto interesse a difendersi. Era formata di popoli divisi: Vostra Maestà ne ha fatta una nazione, e le forze che quel paese ha acquistate sotto l'amministrazione della Maestà Vostra hanno accresciuto la sua fiducia in sè stesso. La maggior parte degl'Italiani desiderano ottenere l'esistenza politica. Il Re di Napoli se n'è accorto. Egli si servirà d'ogni mezzo per dare sfogo a questa tendenza e riunire, potendo, le sparse membra d'Italia. Ma se Vostra Maestà consentirà all'indipendenza di quel paese, ora oppure al momento della pace, sarà anche nel vostro interesse formarne una sola monarchia? L'Italia ha 16 milioni d'abitanti e tutti i vantaggi d'un suolo fertile e d'una felice situazione marittima e commerciale. Un buon governo potrà, in una sola generazione, aumentare di metà quella popolazione. I suoi arsenali, il suo commercio, la sua marina, si sviluppano a poco a poco. Essa porta via alla Francia il commercio del Levante e la preponderanza nel Mediterraneo; e, forte della sua posizione fra una catena di montagne e i due mari, diventa la prima potenza del Mezzogiorno....»

      Alla pregiudiziale della rivalità nazionale si aggiungeva l'ostacolo della rivalità delle persone. Chi dei due, tra Eugenio di Beauharnais, Vicerè del regno settentrionale, e Gioacchino Murat, Re del regno napolitano, avrebbe ottenuto lo scettro dell'Italia una? L'invidia contro il Beauharnais, la paura di vedersi soppiantato da lui, la certezza che Napoleone lo preferisse, facevano titubare il Murat, rendevano doppio e perfido quel soldato nativamente franco e leale. L'uno accorrendo da Napoli verso i campi lombardi, occupando Roma, la Toscana, le Marche; l'altro battagliando tra l'Adige e l'Isonzo, parlavano agl'Italiani di libertà, d'unità, d'indipendenza; ma Eugenio confessava candidamente di non avere sposato la causa italiana se non «come leva per ottenere nuovi sacrifizii» dai suoi sudditi; e Murat presumeva di fare l'Italia gettandosi in braccio all'Austria, annunziando che la coalizione nella quale egli entrava aveva la «magnanima intenzione di ristabilire l'indipendenza delle nazioni....»

       Indice

      Dell'indipendenza italiana osava parlare la stessa Austria! Il proclama del conte Nugent, disceso con gli Austro-Inglesi dalla vinta ed asservita Trieste alle foci del Po, e procedente verso Ferrara e Ravenna, portava l'intestazione: Regno indipendente d'Italia, e diceva alle genti: «Voi avete sofferto sotto il giogo di ferro dell'oppressore. I nostri eserciti sono venuti per liberarvi del tutto. Un nuovo ordine di cose, destinato a restaurare la vostra felicità, vi si offre.... Coraggiosi e bravi Italiani, è vostro interesse prendere le armi per conseguire la vostra rigenerazione e la vostra felicità.... Voi dovete divenire una nazione indipendente....» Il generale austriaco, come il Vicerè francese e l'ambasciatore britannico, teneva quel linguaggio per trarre dalla sua le popolazioni: quattro mesi dopo, caduto Napoleone, l'ultimo tricolore sventolante ancora in Italia era ammainato, l'esercito italiano cessava d'esistere, e un nuovo proclama del Bellegarde, ornato in testa dell'aquila bicipite, partecipava ai Lombardo-Veneti il «felice destino» che era stato loro concesso: l'annessione alla Monarchia absburghese....

      Buon profeta, tra i molti illusi, era stato Gabriele Pepe, quando, biasimando i portamenti di Gioacchino e la sua entrata nella Coalizione, si dichiarava ignaro delle condizioni del trattato, ma «certo che l'Italia non avrà nè l'indipendenza nè l'unità». La menzogna di quelle promesse fu grave di conseguenze funeste. «La condotta degli Alleati verso l'Italia è un peccato che, al pari dello smembramento della Polonia, costerà molto caro all'Europa. Occorreranno ancora una ventina d'anni d'espiazione....» A parte l'errore di calcolo, perchè l'espiazione durò molto di più, anche queste parole furono profetiche: le pronunziò quel goriziano Catinelli che, mezzo secolo prima di Garibaldi, tentò un'impresa garibaldina al rovescio: salpò con mille soldati da Milazzo per tentar di sollevare la Toscana, prendere alle spalle il Vicerè sul Mincio e concorrere alla «liberazione» della Penisola, auspici gli Austriaci e gl'Inglesi.... Gli Alleati del 1813-14, dichiarando di combattere una crociata per la «libertà» d'Europa, per la causa del «diritto» e della «giustizia», ridussero bensì all'impotenza il grande perturbatore dell'antico equilibrio, ma non compirono l'opera, diedero ai popoli false speranze e ribadirono le catene ai polsi degl'Italiani. La presenza dell'Italia risorta fra gli Alleati odierni è la maggiore e migliore garanzia contro il ripetersi di simili errori.

       12 ottobre 1916.

       MARIA CAROLINA DI NAPOLI.

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      I libri della guerra non offrono ancora molto interesse: vuole la necessità che la storia non cominci se non quando gli attori e i testimonii dei grandi avvenimenti spariscono. Di qui a cent'anni si continueranno a pubblicare documenti delle conflagrazioni attuali, come anche oggi, dopo più d'un secolo, ne vengono fuori, e di prim'ordine, intorno a quelle della Rivoluzione, del Consolato e dell'Impero. Il carteggio di Maria Carolina col marchese di Gallo, edito a Parigi dal comandante Weil e dal marchese di Somma-Circello quando la voce dei cannoni echeggiò la prima volta, e forse perciò non osservato con l'attenzione che meritava, porta un contributo prezioso alla storia delle Due Sicilie dall'inizio dei rivolgimenti francesi sino alla seconda fuga della Corte borbonica da Napoli, cioè al 1806, e consente di aggiungere nuovi tocchi al ritratto morale di quel singolare personaggio che fu la figlia di Maria Teresa, sorella di Maria Antonietta, moglie di Ferdinando IV, amica di Guglielmo Acton e di Emma Lionna.

       Indice

      Dice la cronaca scandalosa, e rammenta anche il Welschinger nella prefazione ai due grossi volumi, che la Regina di Napoli aveva accordato al Gallo, oltre l'amicizia, qualche altra cosa; ma chi pensasse di trovarne qui le prove resterebbe disingannato. Non c'è una sola parola che attesti l'intima natura dei rapporti della sovrana col vassallo; Maria Carolina si firma maîtresse, cioè padrona, non già amante del suo ambasciatore e ministro, e gli tiene bensì il linguaggio della massima confidenza, gli parla «a cuore aperto», lo mette a parte di tutti gli avvenimenti del regno e di tutta la cronaca della reggia, gli scrive in cifra e col succo di limone cose che divulgate le recherebbero molto pregiudizio e gli raccomanda perciò di bruciare queste sue lettere; gli professa anche un'amicizia «eterna», una stima «eterna» altrettanto; lo giudica amico «perfetto», spera di vivere ancora vicino a lui e di finire i proprii giorni accanto al «vecchio amico» a cui dice addio «sino alla tomba»; ma tutte queste, ed altre espressioni similmente ampollose ed enfatiche come vuole il temperamento della scrittrice, non mettono nessun sapore di romanzo nel succoso epistolario. C'è qua e là qualche nota salace: la Regina parla al ministro del male che le fanno le emorroidi e delle operazioni a cui è stata sottoposta per una fistola; gli manda anche la relazione dei medici accompagnata da disegni che ella stessa qualifica «molto indecenti»; ma questa mancanza di pudore potrebbe dimostrare non tanto l'abbandono dell'amante quanto l'ottusità e l'idiozia morale della donna. Si legga in quali termini ella parla della sensualità della nuora e della frigidità del genero, e il dubbio riescirà anche più legittimo.

      La donna, appunto, è quella che noi cerchiamo nella Regina, e poche altre sovrane dimenticarono tanto la corona e lo scettro nel rivelare il proprio pensiero quanto Maria Carolina componendo queste sue lettere. Si dice che Napoleone Bonaparte la definisse: «il solo uomo delle Due Sicilie», e il giudizio potrebbe essere appropriato, considerando che razza d'uomo fu il Re suo marito e quali persone lo circondarono dopo l'allontanamento di Bernardo Tanucci; ma la virilità di Maria Carolina resta ancora da dimostrare, e in queste pagine, se mai, ne troviamo prove negative del tutto.

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