Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi. Francesco Domenico Guerrazzi
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Название: Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi

Автор: Francesco Domenico Guerrazzi

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

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isbn: 4064066088026

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      La lunga amministrazione precedente al Ministero Ridolfi aveva, da una parte, aumentato fra noi universale disgusto: delle cause non tratto, nè mi gioverebbe trattarle: accenno un fatto, che male può revocarsi in dubbio: dall'altra, si disfacevano nel disprezzo e nell'odio gli agenti dell'autorità, utili in Istato che goda la pubblica opinione, necessarii negli Stati che dalla pubblica opinione si scompagnano, perchè, se essi difettano di credito e di forza, chi gli sosterrà? Certo la forza poco dura; ma finchè dura, costringe. Così il Popolo, un giorno commosso dal medesimo impulso (e a torto si affaticano qui a rintracciare instigazioni di sètte), prese a imprigionare e a manomettere tutti gli ufficiali superiori e subalterni della Polizia. Io non assumo di certo la difesa della vecchia Polizia: troppo bene conosco che i Governi la nutrivano e l'accarezzavano allora, come si sopportano i gatti in casa, per prendere i topi: oggi poi, mi dicono, che non è più così; amen! — ma nel giorno che il Popolo incomincia a fare da sè, mi sembra che pel Governo sia finita, là dove egli non sappia adoperare i mezzi acconci pel restauro della smarrita autorità. Nè si obietti, che in Inghilterra costrinsero Giovanni Senza-terra a segnare la magna carta, e nonostante la Monarchia si resse; conciossiachè non il Popolo, ma i baroni gli usarono violenza, pei quali, quanto importava circoscrivere l'autorità regia per estendere il proprio dominio, altrettanto poi premeva conservarla in piede, come quella che era fondamento dell'ordine feudale. E di vero, indi a poco, qui fra noi, ebbero a cansarsi tutte o la massima parte delle Autorità governative partecipi della medesima animavversione. Allora corse un plauso generale, ed io udii battere le palme con gli altri a Magistrati gravissimi, che mi avevano garbo del folle che menava trionfo nel contemplare lo incendio di casa sua. Il Governo non osò difendere (e nemmeno lo avrebbe potuto) la Polizia, e la lasciò, come la mignatta, morire dentro al sangue ch'ella aveva succhiato. Così rimase in un subito disarmato di forza per farsi rispettare, e soli avanzarono i partiti di sapienza e di conciliante composizione, i quali si reputarono allora, e tuttavia dovrebbero reputarsi, meglio alla toscana civiltà convenevoli. Però che la mente che considera quanto sia arduo revocare gli uomini dalla naturale ferocia alla mansuetudine, e quanto, per lo contrario, facile farli trascorrere ai bestiali istinti, trema ogni volta che vede gittare a piene mani la semenza dell'odio nei cuori che Cristo destinava ad amarsi.

      Dalla parte del Vaticano soffiava un vento, che non pure in Toscana, ma in Italia, in Europa, anzi, per tutto il mondo, alzava le menti a incredibile aspettativa. Allora uomini, che io voglio credere inspirati da puro amore di patria, allo scopo di condurre Toscana a migliore governo, e alle riforme troppo ritardate, impresero a far circolare per le vene del Popolo stampe clandestine eccitatrici a desiderarle, ed a chiederle.

      La Legge sopra la stampa si promulgava: egli è evidente, che il Popolo minuto, il quale poco legge o punto, non poteva poi fare le stimate per cosiffatta Legge: nonostante invitato ad applaudire, si rese allo invito, ed applause. Coloro, che primi lo invitarono, per certo a fine di bene, non avvertirono come sia più agevole sprigionare i venti dall'otre di Ulisse, che ricacciarveli dentro, e come, appellato il Popolo una volta in piazza ad approvare, bisognava sopportarlo quando spontaneo avrebbe disapprovato più tardi. Fu in quel tempo, che considerando io come il Popolo ricevuto cotesto impulso non si sarebbe rimasto soddisfatto alla Legge della stampa, ma avrebbe richiesto cose maggiori mano a mano che gliene fosse venuto il desiderio; nè essere senza grandissimo pericolo per l'Autorità esporsi a lasciarsi svellere ora questa concessione, ora quell'altra, imperciocchè, così operando, il potere non acquista il merito del pronto concedere, e il Popolo si educa a crescere più intemperante nelle domande; fu, dico, in quel tempo ed in questo concetto, che dettai il libro Del Principe e del Popolo, il quale prima di stampare sottoposi allo esame di Magistrato per altezza di mente distinto, e fu tenuto allora non indegno dei casi consigliere discreto di quelli ai quali m'indirizzavo, presago poi delle sopravvenute vicende. Era mio conforto al Governo ritirarsi indietro dallo immediato contatto del Popolo minuto, concedendo subito quanto reputava prudente, riacquistare credito, e temprato per nuova opinione, prendere tempo a ricostruire gli arnesi necessarii di Governo. Questo non volle fare il Ministero; lasciò che gli eventi lo strascinassero legato dietro il carro. Di qui gratitudine poca, esitanza a concedere crescente, su le labbra concordia, in cuore sospetto.

      Gli agitatori, i quali dapprima non furono i demagoghi, chè questi vennero in fondo, ma sì uomini chiari per fama, e per condizione cospicui, ottennero le riforme da loro reputate sufficienti. Giusta il costume antico di quelli che commuovono le moltitudini, pretesero allora, ch'esse posassero; contenti loro, contenti tutti. Il Popolo minuto, poco soddisfatto della Legge sopra la stampa perchè non legge, nè della Guardia Civica perchè n'era escluso, continuò ad agitarsi per conto proprio.

      Giuseppe Mazzoni deputato, con molta verità accennava a questo con le parole profferite nella Seduta del Consiglio Generale toscano del 16 ottobre 1848: «Però le agitazioni anteriori al settembre dell'anno passato, le quali non si disapprovavano nemmeno da certi alti personaggi, furono generalmente riguardate come politiche necessità; e s'esse non erano, l'antica Babele della Polizia non sarebbe espugnata, e le libertà dello Statuto, che tutti stimiamo carissime, sarebbero tuttora un sogno.»[6]

      Io però non dubito punto affermare, che i Toscani di natura contentabile, acquistate le libertà costituzionali, sarebbonsi tenuti soddisfatti, se anche sopra di loro non fosse passato il vento che sconvolse l'Europa intera dal Mediterraneo al Baltico, dall'Atlantico al Mar Nero, e minacciò portar via, come la polvere di una strada maestra, i troni di Vienna, di Berlino, di Roma, di gran parte della Germania, e d'Italia, nella guisa stessa che disperse quello di Francia; ed in ispecie poi il prossimo incendio di Sicilia, di Milano, e di Venezia, la guerra della Indipendenza prima, poi i disastri della guerra.

      Per la rivoluzione di Francia si diffuse la idea della Repubblica, e parecchi fra noi presero a coltivarla, non perchè ve ne fosse bisogno, ma per fare qualche cosa; e poi corre sciaguratamente nelle contrade nostre antico il vezzo di ricavare dalla Francia pensieri e voglie, e begli e fatti i vestiti. Le moltitudini rimasero un cotal poco spruzzate di comunismo e di socialismo, di cui però non conobbero le dottrine, e giova che le ignorino. Imprudenti, a mio parere, suonarono le parole del Lamartine nel suo Manifesto alla Europa, affermando essere la Repubblica il punto estremo dove giunge la civiltà di un Popolo per mezzo di reggimenti costituzionali, imperciocchè somministrassero a molti motivo di non posare, finchè non avessero toccato il vertice, e nei Principi mettessero sospetto di confidarsi intieri sopra una via sdrucciolevole; nè lo avere raccomandato, com'egli fece, ai Popoli i quali non fossero peranche giunti alla maturità dei Francesi, rimanessero indietro ad ammaestrarsi, assicurava punto, avvegnadio facesse comprendere ai Principi, che potevano sperare tregua, pace non mai. E come imprudenti, se male non mi appongo, furono coteste parole non vere, però che nella Inghilterra le libertà costituzionali durino dal 19 giugno 1214 in poi, nè mostrino per ora di volere cessare, e la Repubblica v'ebbe vita brevissima dal 1649 al 1660; per la quale cosa evidentemente apparisce, come nella formula costituzionale i destini dei popoli possano quietarsi, almeno per tempo lunghissimo.[7] Nè danno minore, io penso, ci ridondò dal proclamare che fece il Lamartine, non avrebbe sofferto in pace la Francia, che alcuna Potenza si fosse mossa contro i Popoli rivendicantisi in libertà; imperciocchè questa sicurezza rese baldanzose a insorgere nazioni, le quali forse diversamente ci avrebbero pensato due volte. So bene, che non si ha sperare che un Popolo metta in avventura la propria libertà per sovvenire all'altrui; ma mi sembra, ed è disonesto, spingere i creduli nel pericolo con promesse, che non si vogliono mantenere. Quante volte accadde rivoluzione in Francia, tante i Francesi eccitarono a sollevarsi Popoli confinanti per metterli come sentinelle perdute fra loro e le Potenze settentrionali di Europa; passata poi la burrasca, con ingenerosa politica dichiararono non potere sopportare, che i Popoli insorti si facciano gagliardi, onde i negozii politici non si complichino, i commerci loro non iscemino, l'autorità non diminuisca, ed abbiano a dividere con molti quella potenza, che gli Stati, quantunque liberissimi, attendono possedere in pochi. Questo vedemmo praticare dalla Monarchia Costituzionale di Francia del 1830, questo aspettavamo vedere dalla Repubblica, e lo vedemmo. Lamartine stesso, autore del Manifesto alla Europa, nella sua Storia della Rivoluzione del 1848 ci ammonisce essere cosa contraria СКАЧАТЬ