Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi. Francesco Domenico Guerrazzi
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Название: Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi

Автор: Francesco Domenico Guerrazzi

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

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isbn: 4064066088026

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СКАЧАТЬ Generale della Guardia Civica e Senatore, che ne furono primamente instruiti? Perchè malignare se non fu chiamato il Presidente della Camera? Da questa parte non poteva venire danno davvero, e soccorso materiale nemmeno. Fintantochè non ci dica l'Accusa quale rovina irreparabile abbia cagionato chiamare il Presidente della Camera la mattina per tempo, qual soccorso di forza ci avrebbe apportato l'ottimo e mansueto Cosimo Vanni, che Dio nella sua misericordia dallo aspetto delle odierne miserie in buon punto ha salvato, sarà difficile che la gente trovi, come l'Accusa fa, criminoso un lieve ritardo del tutto fortuito ed innocuo.

      Rifinito dalla fatica, agitato da commozione profonda, e da presentimenti tristissimi, dopo avere vegliato tutta la notte, io mi conduco alla Camera deliberato a rassegnare la carica appena il signor Montanelli avesse letto il suo Rapporto. Questa intenzione aveva manifestato ai miei familiari, e a parecchie persone che mi circondavano; sicchè prima di uscire dalle stanze di Ufficio fatto fascio di corrispondenze, e di altre carte private, gittandole sul fuoco, esclamai: «poichè non tornerò più qui, non vo' che alcuno legga i miei negozii!» Mi sentiva preso da sazievolezza, e di salute infievolito non poco; rivolgendomi nell'Assemblea al Popolo sorvegnente, diceva loro: «Rammentatevi, cittadini, che abbiamo vegliato tutta notte: — per conseguenza state tranquilli.[177]»

      Il signor Montanelli, appena letti i documenti di S. A., viene interrotto da turba di Popolo guidata dal Niccolini, il quale si annunzia latore di ordini popolari; e poi aggiunge: che il Popolo abbandonato dal Sovrano, il quale è fuggito vilmente, mancando alla sua fede e al suo onore, è rientrato nei suoi diritti.[178]

      Sorge fiero tumulto. Il Presidente si è coperto il capo, ha dichiarata sciolta la Seduta, e si è ritirato seguito da molti Deputati.[179]

      Di faccia alla rivoluzione che irrompeva, deh! senza ingiuria di alcuno, mi sia concesso dichiarare, che non mi parve quello contegno di bene avvisati Deputati. Chi lascia il campo, si dichiara vinto. Padroni della sala e del Governo già già diventavano il Niccolini e la plebe; — sì, lo avvertano bene tutti coloro che fanno le viste di obbliarlo adesso, — plebe, e quella dessa, che dopo avere innalzato gli alberi della libertà, in onta mia, per estorcere danari, gli abbatteva più tardi per estorcere danari; plebe, che minacciosamente proterva domandava elemosina alla foggia del povero del Gilblas, e ruppe strade, e incendiò case, e manomise le persone, e gli averi; plebe, che anelava gli ultimi orrori; plebe, che, implorando lo aiuto dello stesso Circolo armato, fu forza contenere perchè non isbranasse gli arrestati nella notte del 22 febbraio; Ciompi senza Michele Lando.

      Bene altra cura stringeva adesso, che di forme politiche: si trattava salvare la società,... la vita di quelli che ora il beneficio ricevuto disprezzano, — anzi pure vituperano, e rampognano, o accusano!

      Si legge il terrore sopra i volti dei circostanti, e i prudenti comprendono a prova il fallo commesso dal Presidente, per avere disertato il seggio. Non così Boissy-D'Anglas e Thibaudeau presiedevano all'Assemblea di Francia in giorni bene altramente terribili! Tacevano tutti. Fra gli schiamazzi del Niccolini, che dall'audacia fortunata reso audacissimo bandisce decaduto il Principe, sciolte le Camere, e il Governo Provvisorio, ed ostenta il mio nome scritto di rosso, che cosa faccio io? Gli ammicco forse degli occhi, gli sorrido facile? Con la voce e co' cenni gli applaudo? Lo abbraccio, lo bacio? Mando al Popolo i baciamani? — Queste cose si costumano fare fra gente indettata nella esultanza dei conseguiti disegni. Ah! io sentii pur troppo in cotesto punto la insidia della fazione repubblicana per tenermi stretto nelle sue tanaglie. Io solo salgo alla tribuna, rilevo la dignità avvilita dei Deputati, ed esclamo: «non potere vedere, che essi sieno stati cacciati così a vergogna. — Qualunque sia la opinione che ci divide fra noi in questa sala, noi siamo tutti fermi e uniti a tutelare con l'ultima stilla del nostro sangue la patria minacciata dai nemici interni ed esterni. Io pertanto mentre rimprovero al Popolo le sue esorbitanze, non posso astenermi di rimproverare anche i Deputati che hanno disertato i loro scanni[180]..... Figli di una stessa famiglia, pensiamo a prendere provvedimenti valevoli e salutari nel supremo pericolo dell'amatissima patria.»

      Tutto questo, assai più che con le parole, col gesto concitato, e col guardo torvo, era diretto contro il Niccolini, che si smarriva, rimettendo alquanto della consueta petulanza, e, mal per rabbia sapendo quello che si facesse, si mise a sedere su la pedana del banco ministeriale. Ora, Dio eterno, si può egli supporre, che un uomo il quale avesse eccitato queste enormezze in segreto, ardisse rinfacciarle così aspramente in palese? E si può egli credere, che o Niccolini, o tale altro della Congiura si fosse tolto in pace vituperio siffatto? La mia sfrontatezza avrebbe toccato il termine della insania; la pazienza altrui quello della stupidità.

      Intanto Niccolini, ripreso animo, a cagione degl'imperiosi messaggi che il Popolo mandava per invitarmi (e voleva dire ordinarmi) a scendere in piazza, per le apprensioni del Vice-Presidente, pei clamori delle tribune, ed anche per certa imprudente proposta mossa da un Deputato rivolto a me, che tenevo sempre la tribuna, grida: «chiedere la parola in nome del Popolo; avere il Popolo riassunto i suoi diritti, dopo che si era radunato in piazza, ed aveva dichiarato decaduto il Potere; avere di più nominato tre persone per reggere la Toscana, e con Decreto sciolti gli altri poteri.» Quindi cruccioso conclude: — «O voi accettate, e non esiste altro Potere che il vostro conferitovi dal Popolo; o non accettate, e il Popolo penserà a quello che deve fare....[181]»

      La turba applaudiva frenetica: difficilmente può significarsi per parole l'amarezza con la quale il Niccolini urlava: «Il Popolo penserà a quello che deve fare.» Per coteste minaccie gli animi degli astanti sbigottivano.

      Ed a ragione sbigottivano; perchè, sapete voi che cosa voleva dire «Il Popolo farà da sè?» Voleva dire: il Principe decaduto, le sue case saccheggiate, i servitori manomessi. Voleva dire: chiese espilate, cittadini multati, pubbliche casse vuotate. Voleva dire: leggi dei sospetti, tribunali rivoluzionarii, sentenze scritte col fiele della vendetta e col sangue del furore. Voleva dire: antichi impiegati condotti alla miseria (forse a peggiori destini), e famiglie disperse. Voleva dire tutto quello che una plebe arrabbiata sa fare quando la sferzano le furie della necessità, della cupidigia, e della paura, ed uomini perversi la inebbriano di odio. — Se questa poi sia esagerazione o verità, vedremo tra poco.

      Io avevo impegnato un duello col Niccolini, che pure l'Accusa designa audacissimo, ed è vero; pur troppo mi accôrsi che mi poteva tornare fatale; nonostante sperando, che di valido aiuto i miei colleghi mi sovvenissero, me gli rivolgo incontra da capo, ingegnandomi blandire il Popolo, e separarlo per questa via dal suo Condottiere; e così lo interpello: «Perchè pretende egli esclusa dallo aderire alle deliberazioni la parte del Popolo elettissima, che siede in questa sala? Le Provincie non devono essere rappresentate? Non importare ch'elle stieno unite? Se mai le persone indicate accettassero, perchè vorrebbe togliere loro il voto, e l'adozione dei colleghi, per conforto a procedere in una via da ora in poi piena di supremi pericoli, e forse di morte sicura?[182]»

      Questo era impedire la dissoluzione del Paese, e dirò quasi un porgere una cima di canapo alla Camera affinchè l'afferrasse, e, diventata padrona della occasione, ardire pari agli eventi mostrasse. Alcuni più ragionevoli del Popolo si lasciano persuadere, e favellano miti parole. Allo improvviso si ascolta nuovo Popolo accorrente con immenso fragore: la sala intronata, pareva che sobbissasse: per questa volta mi sentii cadere il coraggio: temei della mia, ma più assai della vita altrui. In quel momento mi appiglio (ogni altra difesa mancando) alla parte del Popolo, che, prima venuta, si era mostrata proclive alla persuasione, e dirò quasi mansuefatta; la invoco a supremo riparo, e supplicando grido: «Il Popolo guardi il Popolo: non venga introdotta persona.[183]»

      Ma il Popolo prorompe furibondo, ed intima con altissimi urli che scendiamo in piazza. Allora fu, che sempre combattendo, e riparando alle parole promettitrici del Vice-Presidente, in atto ortatorio dissi: «Prego ad ascoltare la lettura del Rapporto, e lasciare che l'Assemblea sul medesimo deliberi.»

      Niccolini inquieto, avvertendo che il Popolo alla lettura di cotesto Rapporto si calmava, teme la seconda СКАЧАТЬ