Pasquale Paoli; ossia, la rotta di Ponte Nuovo. Francesco Domenico Guerrazzi
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Название: Pasquale Paoli; ossia, la rotta di Ponte Nuovo

Автор: Francesco Domenico Guerrazzi

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

Серия:

isbn: 4064066069834

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СКАЧАТЬ del 1730 giusto l'antivigilia di pasqua di Ceppo, i Côrsi convenuti nella pianura di san Pancrazio si accordarono facilmente sopra i partiti da praticarsi; solo non sapevano dove darsi di capo per la scelta di un generale, quando di un tratto vedono passare, montato sur un mulo, il signor Andrea Ciccaldi, uomo nobile e facoltoso di Vescovato: lo fermano e lo eleggono capitano: egli bada a ringraziare, e dichiarandosi indegno dell'onore lo rifiuta: gli rispondono, accetti, altrimenti come a nemico torranno la vita e ne diserteranno i poteri. Se però il signore Andrea prese a contragenio il comando, non lo esercitò con minor fede o prodezza; e quando in appresso io gli rinfacciai cotesto suo schermirsi, egli mi rispose sorridendo: — Che volete, padre Bernardino? anche Gesù Cristo parve aver caro gli fosse rimosso il calice della passione dai labbri; in effetto codesto comando fu, per quel signore, calice di passione, e quanto amaro! Oltre le fatiche, le cure e i pericoli manifesti, appene potè sfuggire le insidie, massime quando Camillo Doria (i generali genovesi trattavano meglio il veleno della spada) tentò farlo avvelenare da Petruccio di Orezza; e i beni si vide arsi, le case disfatte; parecchi dei suoi morti, ed egli finalmente ebbe a esulare in Ispagna; dove, a vero dire, si trovò accolto a braccia aperte e promosso a colonnello di fanteria, ma ad ogni modo quel dovere vivere fuori di casa è una gran pena al cuore; adesso che i suoi occhi avrebbero potuto deliziarsi nello aspetto della patria risorta, glieli ha chiusi la morte. Dio esalti la sua anima secondo i meriti. — Il signore Andrea, col consenso dell'assemblea, si aggiunse nel comando Luigi Giafferi di qua dai monti, e di là Luca d'Ornano e Domenico Raffaelli preti: il pievano Aitelli, uomo capace di governare un regno, fu eletto a segretario, anzi si deve a lui la scelta dei compagni che fece il signore Andrea, la quale non poteva cascare in persone più acconcie al fine di raccogliere in mazzo tutti gli umori della isola, imperciocchè egli rappresentasse l'ordine dei nobili, il Giafferi i popolani, Luca la memoria di Sampiero primo vendicatore della libertà côrsa, il prete Raffaelli, gli ecclesiastici svisceratissimi dell'indipendenza della patria. Questo, a mio parere, fu ottimo partito e da seguitarsi da quanti s'affaticano nelle civili rivolture, imperocchè importi nei casi di momento impegnare tutti i cittadini a sostenerli coll'arco del dosso, e la esclusione partorisce superbia da una parte ed odio dall'altra; dove poi occorrono umori dei quali tu a verun patto ti possa servire, allora dà un'occhiata alla punta della tua spada, un'altra al cielo, e dopo decidi quello che tu ne abbia a fare. — I generali, assembrata la consulta in Corte, questa, non contrastando alcuno, bandì la libertà côrsa e la decadenza della Repubblica genovese dalla sovranità della isola: poco dopo diciotto teologhi convenuti nel monastero di Orezza, disputata sottilmente la materia, dichiararono giusta la guerra contro Genova, come quella che se mai aveva avuto diritto a reggere l'isola, la trascinava tiranna: questa sentenza confermò più tardi con nobilissimo scritto monsignor Natali, vescovo di Tivoli, nato in Oletta, il quale, da quel valentuomo ch'egli era, prese a chiarire tirannia che fosse, e potersi, anzi doversi, combattere il tiranno. I Genovesi commisero a certo azzeccagarbugli di rispondergli, ed egli lo fece con uno scritto sciatto, intitolato Anticurzio; ma non lo trovando concludente, incombenzarono un sicario a confutarlo meglio; questi vi adoperò uno stilletto a tre tagli, e ne ferì nel ventre monsignor Natali, che si condusse a fine di vita, la quale però gli fu salva per l'intercessione della Immacolata, e mercè le cure del suo compatriota Saliceti, archiatro di sua santità Pio VI.

      E poichè nella ingenerosa mercatanzia si apprende a truffare forse, ma si disimpara a reggere e a vincere i popoli, i Genovesi, sfidati di venire a capo della ribellione côrsa, si volsero per aiuto allo imperatore Carlo VI: qual coltello tal guaina: il tedesco di Austria, povero e avaro, in bottega o nella reggia, traffica sempre; sennonchè nella reggia, vende sangue; di fatti Carlo VI si chiamò pronto ad accomodare la Repubblica di dieci e più mila Tedeschi se le garbasse, a patto, che vivi gli mantenesse e morti glieli pagasse; la Repubblica spilorcia rispose per ora gliene basterebbero 3000, e tanti ebbe dal conte Daun, governatore di Milano, condotti dal barone di Schemettau, ma poi parvero pochi, e ne chiesero altri duemila. A prima giunta questo gentame ci fece del male assai, ed io lo so, perchè sortito, quando ce l'aspettavamo meno, da Bastia, ruppe i nostri, ed io ci cascai prigioniero: taccio gli strazi che patii; qui fu che esposto alla berlina non dubitai confermare sotto il patibolo, in profitto della libertà, la testimonianza che aveva palesata in Orezza; però dissi con gran voce queste parole: «La guerra che fanno i Côrsi è giustissima; io fui primo a chiarirla tale nella consulta di Orezza: e per dimostrarvi come per la patria e per la libertà io voglia patire tutto, ripeto qui la medesima cosa, intendo dire, ch'è giustissima la guerra impresa dai Côrsi contro Genova.» Ma come fossi quinci remosso a vergogna, trasferito a Genova, condannato a morte e salvato, non importa raccontare; bensì giova che voi sappiate, come i Tedeschi movessero contro la torre di san Pellegrino, e l'ebbero per tradimento; ma i nostri ce li chiusero dentro, per modo che non potendo cavare il vivere tranne dalla parte di mare, e questo indiavolato non permettendo gli approdi, furono costretti di venire a mercede. Il generale Giafferi aborrì di mettere a morte i supplichevoli, concedendo loro abilità di tornare a Bastia, e tregua di due mesi: sperò il generale che i modi onesti fruttassero qualche via di accordo ragionevole, e s'ingannò, perchè spirata la tregua i Genovesi bandirono la taglia di cento lire per testa di Côrso, e gli usseri, ubbriacati dalla cupidità del premio, ne portarono parecchie in Ajaccio e l'esposero, com'essi dissero, in esemplare corona su i merli della città. Avrebbero potuto in vendetta i Côrsi vendere i prigioni genovesi ad Aronne giudeo, che ne profferiva 80 mila piastre, ma non lo vollero fare, chè carne battezzata, quando è nemica, si ammazza, non si vende; e indi a breve una grossa mano di Tedeschi, condotta dal colonnello Vius e da Camillo Doria, uscita da Calvi, assalta Calenzano: erano 500, e prima di sera l'imperatore potè spedirne la fattura alla Repubblica in 50 mila fiorini, perchè erano tutti morti, e a 100 fiorini per testa sommano a tanto. Noi gli seppellimmo in luogo a parte, ed ogni anno celebriamo una messa per l'anima loro, ed aspergiamo le fosse con l'acqua santa: ah! signore Inglese, voi non siete prete e non potete sentire la dolcezza tutta divina di pregare pace pei nemici sepolti nella nostra terra.... e con le nostre mani.

      Il signor Giacomo, cui parvero coteste parole feroci, si voltò verso il frate con la intenzione di fargliene rimprovero, senonchè lo vide così compunto di compiacenza, e sto per dire quasi trasfigurato dall'estasi, che dando un grossissimo colpo alla tabacchiera pensò: — Si danno certi sentimenti, che su due piedi non si può giudicare se meritino salire in alto per fermarsi su la forca o per continuare fino al paradiso: ci mediteremo a comodo.

      — Nè questi furono i soli; nell'ottobre verso san Pellegrino accadde il memorabile fatto di arme, nel quale più di mille Tedeschi rimasero morti sul campo; ormai gli animi inviperiti ruggivano, i quartieri da una parte e dall'altra non si davano e nè si chiedevano. Parve bene mutare registro; allora vennero il principe Luigi di Wurtemberg, il barone di Schemettau e il principe di Culbah accompagnato da quattromila uomini; i sopraggiunti ne toccarono e ne fecero toccare; Schemettau assaltò il Nebbio, e prese Lento e Tenda, ma alla Chiesa Nera ne rilevò una battosta delle buone; il principe di Wurtemberg non potè penetrare, come divisava, in Balagna; allora pubblicò l'editto col quale si bandiva perdono universale, promessa di udire le istanze ed appagarle se ragionevoli; l'imperatore garantirebbe ogni cosa. Dei Côrsi alcuno accettò volentieri, parendogli duro avere a cozzare coll'Impero, tal altro mal volentieri, chè avendo gustato di già le promesse genovesi se ne sentiva ancora alleghiti i denti; ai generali, considerando che se rimasti uniti era malagevole resistere, impossibile riusciva allora che gli animi andavano divisi, parve bene accordare; ebbero dai Tedeschi carezze infinite; il principe di Wurtemberg li convitò a pranzo, bevve alla salute; partito egli, Wactendock, che aveva ruggine co' generali per le sconfitte sofferte, d'accordo col commissario genovese Rivarola, gli arresta, e li manda a Bastia: quinci imbarcati spedisconsi a Genova, che senza un rispetto al mondo li caccia, contro la fede dei trattati, in prigione a Savona. Da prima si bociava volessero strozzarli, poi si disse la Repubblica starebbe contenta a tenerli prigioni: di cotanta infamia si commossero i Côrsi, e, a lode del vero, non pure uomini principalissimi, bensì popoli interi di Europa; il canonico Orticoni, personaggio di bello aspetto e ben parlante, corse fino a Vienna a far valere la ragione dei traditi presso la corte: vi s'interpose lo stesso principe di Wurtemberg, che, nonostante tedesco, pare che fosse galantuomo; vi adoperò di ogni maniera ufficii il barone di Neuhoff, allora oratore di Carlo VI a Firenze, ma sopra tutti valse il principe Eugenio di Savoia, nell'anima del quale l'onore СКАЧАТЬ