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quale nacque l'anno 1026 Rodrigo Diaz di Vivar, chiamato il Cid campeador. Morì in Valenza il 1099, e il suo corpo fu trasportato nel monastero di San Pietro di Cardena presso questa città.» Mentre leggevo queste parole, il cicerone mi espose una leggenda popolare sulla morte dell'Eroe: “Quando il Cid morì,” mi disse con molta gravità, “nessuno rimase a custodire il suo cadavere. Un ebreo entrò nella chiesa, si avvicinò alla bara e disse:—Ecco il grande Cid al quale nessuno, fin che visse, ebbe il coraggio di toccare la barba; io gliela tocco, e voglio vedere che mi può fare.—Così dicendo allungò la mano; ma nello stesso punto il cadavere afferrò l'elsa della spada e ne trasse un palmo fuori della guaina. L'ebreo gettò un grido e cadde a terra tramortito; i preti accorsero, l'ebreo fu sollevato, tornò in sè e raccontò il miracolo; allora tutti si volsero verso il Cid, e videro che teneva ancora la mano sull'elsa in atteggiamento minaccioso. Dio non aveva voluto che la salma del grande guerriero fosse contaminata dalla mano d'un miscredente.” Dicendo questo, mi guardò, e visto che non facevo il menomo segno d'incredulità, mi condusse sotto un arco di pietra, che doveva essere d'un'antica porta di Burgos, pochi passi lontano dal monumento, e indicandomi una scanalatura orizzontale che si vedeva nel muro a poco più d'un metro da terra, mi disse: “Questa è la misura delle braccia del Cid, quand'era giovanetto, e veniva qui a giuocare coi suoi compagni.” E tese le braccia lungo la scanalatura per farmi vedere quanto ce n'avanzava; poi volle che mi misurassi anch'io, ed ero anch'io più corto; allora mi diede uno sguardo di trionfo e si mosse per ritornare in città. Giunto in una strada solitaria, davanti alla porta d'una chiesa, si fermò, e mi disse: “Questa è la chiesa di Santa Agneda, dove il Cid fece giurare al re Don Alfonso VI di non aver avuto parte nell'uccisione di suo fratello Don Sancho.” Lo pregai di dirmi tutta la storia: “Eran presenti” continuò “i prelati, i cavalieri, gli alti personaggi dello Stato. Il Cid mise il Vangelo sull'altare, il Re vi stese su la mano, e il Cid disse:—Re Don Alfonso, voi mi dovete giurare che non vi siete macchiato nel sangue del re Don Sancho, mio signore; e se giurate il falso prego Iddio che vi faccia perire per la mano d'un vassallo traditore.—E il Re disse:—Amen;—ma cangiò di colore. E il Cid ripetè:—Re Don Alfonso, voi dovete giurare che non avete nè ordinata, nè consigliata la morte del re Don Sancho mio signore; e se giurate il falso, possiate morire per la mano d'un vassallo traditore!—E il re disse:—Amen;—ma cangiò una seconda volta di colore. Dodici vassalli confermarono il giuramento del Re; il Cid gli volle baciare la mano; il Re non glielo permise, e l'odiò da quel momento per tutta la vita.”—Soggiunse poi che un'altra tradizione narrava non avere il re Don Alfonso giurato sul Vangelo, ma sul chiavistello della porta della chiesa; che per molto tempo i viaggiatori di tutti i paesi del mondo eran venuti ad ammirare quel chiavistello, che il popolo gli attribuiva non so quali virtù soprannaturali, e che se ne faceva tanto parlare in ogni parte, e gli si appioppavano tante e sì strampalate favole, che il vescovo Don Fray Pascual fu costretto a farlo togliere, come quello che creava una pericolosa rivalità di potere tra la porta e l'altar maggiore.—Il cicerone non disse altro; ma ci sarebbe da metter assieme dei bei volumi se si volessero raccogliere tutte le tradizioni del Cid che corrono in Spagna. Nessun guerriero leggendario fu mai più caro al suo popolo che questo terribile Rodrigo Diaz de Vivar: la poesia ne ha fatto poco meno d'un dio; la sua gloria vive nel sentimento nazionale degli Spagnuoli, come se fossero trascorsi, non otto secoli, ma otto lustri dal tempo in che visse; il poema eroico che da lui s'intitola, e che è il primo monumento della poesia della Spagna, è ancora l'opera più possentemente nazionale della sua letteratura.
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