Название: Prima Che Invidi
Автор: Блейк Пирс
Издательство: Lukeman Literary Management Ltd
Жанр: Зарубежные детективы
isbn: 9781094311388
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“Quale diavolo è il tuo problema?” scattò Bryce.
“La gravità” rispose l'uomo.
Poi fece una mossa, ma non si trattava di un pugno, quanto piuttosto di un gesto come di lancio. Bryce sollevò una mano per parare, realizzando ciò che l’uomo stringeva in mano quando notò il dorato scintillio del riflesso del tramonto sulla superficie metallica.
Un martello.
Lo colpì in fronte abbastanza forte da produrre un suono che a Bryce sembrò uscito da un cartone animato. Ma il dolore che seguì non era affatto divertente o comico. Sbatté le palpebre, completamente stordito. Fece un solo passo indietro, con tutti i nervi del corpo che cercavano di ricordargli che alle sue spalle lo aspettava un salto di cento metri.
Ma i suoi riflessi erano lenti, e il colpo alla fronte gli aveva provocato un dolore accecante che gli attraversava il cranio e una sensazione di intorpidimento lungo la schiena.
Bryce si accasciò, finendo su un ginocchio. Proprio in quel momento, l'uomo allungò una gamba e rifilò a Bryce un calcio direttamente al centro del petto.
Bryce sentì a malapena l'impatto. La sua testa sembrava andare a fuoco. Il calcio lo fece volare all'indietro, colpendo il terreno con il fianco abbastanza forte da farlo rimbalzare ancora più lontano.
Avvertì subito la gravità reclamarlo a sé, ma era confuso su cosa fosse successo esattamente.
Il cuore gli batteva all’impazzata e la mente piena di dolore andò nel panico. Cercò di respirare mentre i suoi muscoli prendevano il sopravvento, agitandosi in cerca di un appiglio qualsiasi.
Ma non c'era niente. C'erano solo il vuoto e l’aria che gli fischiava nelle orecchie mentre precipitava e, pochi secondi dopo, una brevissima esplosione di dolore quando colpì il duro terreno sottostante. Mentre esalava il suo ultimo respiro, vide la parete che aveva appena scalato tinta di rosso: il suo ultimo tramonto che lo accompagnava nell’oscurità.
CAPITOLO QUATTRO
Quello che inizialmente le era sembrato il paradiso cominciò rapidamente a sembrare una specie di prigione. Anche se amava suo figlio più di quanto riuscisse a spiegare a parole, Mackenzie stava impazzendo. L'occasionale passeggiata intorno all’isolato ormai non le bastava più. Quando il dottore le aveva dato il permesso di fare un po’ di esercizio fisico e accelerare il ritmo dei suoi movimenti in giro per casa, lei aveva immediatamente pensato di fare jogging o persino di fare un po’ di sollevamento pesi. Era fuori forma – forse più di quanto non fosse stata da oltre cinque anni – e gli addominali di cui si era spesso vantata erano sepolti sotto un tessuto cicatriziale e uno strato di grasso a cui non era avvezza.
Una sera, in uno dei suoi momenti di maggiore debolezza, iniziò a piangere in modo incontrollabile uscendo dalla doccia. Da bravo marito rispettoso e amorevole quale era, Ellington si era precipitato in bagno trovandola appoggiata al lavabo.
“Mac, che c’è? Stai bene?”
“No. Sto piangendo. Non sto bene. E sto piangendo per una cazzata.”
“Tipo?”
“Ho appena visto il mio corpo allo specchio.”
“Ah, Mac... ehi, ti ricordi qualche settimana fa, quando mi hai detto di aver letto che avresti iniziato a piangere per le cose più insignificanti? Ebbene, credo che si tratti esattamente di questo.”
“La cicatrice del cesareo mi resterà per il resto della mia vita. E i chili di troppo... non sarà facile eliminarli.”
“E perché questo ti dà fastidio?” volle sapere lui. Non stava adottando la tecnica dell’amore severo, ma non la stava nemmeno coccolando. Era un duro promemoria di quanto la conoscesse bene.
“Non dovrebbe. E onestamente, credo di stare piangendo per qualcos'altro... solo che mi è bastato vedere il mio corpo per tirare fuori tutto quanto.”
“Non c'è niente di sbagliato nel tuo corpo.”
“Lo dici tanto per dire.”
“No, non è vero.”
“Come puoi guardarmi e desiderarmi?”
Lui le sorrise. “È piuttosto facile. E senti... So che il dottore ti ha autorizzato a fare una leggera attività fisica. Quindi, sai... se lasci che faccia tutto io...”
Con quelle parole, lanciò uno sguardo malizioso oltre la porta del bagno, verso la camera da letto.
“E Kevin?”
“Sta facendo il suo sonnellino preserale,” disse. “Anche se probabilmente si sveglierà tra un minuto o due. Si dà il caso, però, che siano passati più di tre mesi, quindi non mi aspetto che quello che accadrà lì dentro richieda molto tempo.”
“Che scemo che sei.”
Ellington rispose con un bacio che non solo la mise a tacere, ma cancellò istantaneamente ogni dubbio riguardo se stessa. Il bacio fu lento e intenso, e Mackenzie riuscì a percepire in esso il desiderio accumulatosi in quei tre mesi. Ellington la condusse dolcemente in camera da letto e, come aveva suggerito, si occupò lui di ogni cosa – con premura e abilità.
Il tempismo di Kevin fu perfetto. Si svegliò tre minuti dopo che avevano finito. Mentre entravano insieme nella cameretta, Mackenzie gli pizzicò il sedere. “Mi sa che è stato un po’ più di un leggero esercizio fisico.”
“Ti senti bene?”
“Magnificamente. Così bene che penso che potrei provare ad andare in palestra stasera. Credi di poter tenere il nostro ometto mentre sono fuori?”
“Naturalmente. Vedi di non esagerare.”
E tanto bastò per motivare Mackenzie. Non faceva mai nulla in maniera approssimata, e questo comprendeva il lavoro e, a quanto pareva, essere madre. Forse fu per questo che, poco più di tre mesi dopo aver portato a casa Kevin, si sentì in colpa per essere uscita per la prima volta. Era già andata al supermercato e dal dottore, certo, ma era la prima volta che se ne andava sapendo che sarebbe stata lontana dal suo piccolo per più di un'ora.
Arrivò in palestra poco dopo le otto, quindi la maggior parte della folla si era diradata. Era la stessa palestra che aveva frequentato quando aveva iniziato all’FBI, prima di affidarsi alle strutture del Bureau. Era bello essere di nuovo lì, su un tapis roulant come chiunque altro in città, a lottare con gli elastici di resistenza ormai obsoleti e allenarsi solo per tenersi attiva.
Riuscì a far solo mezz'ora, prima che l’addome iniziasse a farle male. Aveva anche un brutto crampo alla gamba destra, che cercò di alleviare ma senza successo. Fece una pausa, provò di nuovo il tapis roulant, ma decise di dichiarare conclusa la sessione.
Non ti azzardare a essere severa con te stessa, pensò, ma la voce nella sua testa era quella di Ellington. Hai cresciuto un essere umano dentro di te e poi te l’hanno staccato. Non puoi fare Superwoman. Datti un po’di tempo.
Aveva fatto una bella sudata, e questo era sufficiente per lei. Tornò a casa, fece una doccia e diede da mangiare a Kevin. Il piccolo era così soddisfatto che si addormentò СКАЧАТЬ