La Fabbrica della Magia . Морган Райс
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Читать онлайн книгу La Fabbrica della Magia - Морган Райс страница 8

СКАЧАТЬ per lui importante stabilire immediatamente che lui era un tipo con cui non bisognava fare casino. Era la sua armatura, il modo in cui gestiva il fatto di dover cambiare scuola ogni sei settimane durante l’anno scolastico. Sfortunatamente per Oliver, lui era troppo magrolino e basso per poter anche solo tentare di seguire le sue orme e coltivare una tale immagine anche per sé. Il suo aspetto fisico semplicemente contribuiva a metterlo ancor più in evidenza.

      Chris andò velocemente avanti fino a scomparire dalla vista di Oliver, lasciandolo camminare da solo per quelle strade così sconosciute. Non fu la passeggiata più piacevole nella vita di Oliver. Il quartiere era duro, con un sacco di cani che abbaiavano dietro ringhiere di ferro, e auto malridotte e rumorose che percorrevano le vie piene di buche senza riguardo per i bambini che potevano attraversarle.

      Quando la Scuola Media Campbell comparve davanti a lui, Oliver sentì scorrere un brivido lungo la schiena. Era un posto dall’aspetto orribile, fatto di mattoni grigi, completamente quadrato e con la facciata rovinata dal tempo e dalle intemperie. Non c’era neanche dell’erba su cui sedersi, solo un ampio cortile di asfalto con canestri da pallacanestro rotti da entrambi i lati. I ragazzini si spingevano a vicenda contendendosi la palla. E il baccano! Era assordante: discussioni, canti, grida e chiacchiericci vari.

      Oliver avrebbe voluto girarsi e tornare di corsa da dove era venuto. Ma riuscì a cacciare giù la paura e continuò a camminare a testa bassa, le mani in tasca, attraversando il cortile e poi entrando da una grande porta di vetro.

      I corridoi della Campbell erano bui. Sapevano di candeggina, sebbene sembrasse che non li pulissero da un decennio. Oliver vide l’indicazione della reception e la seguì, sapendo di doversi annunciare a qualcuno. Quando trovò l’ufficio, vide che dentro c’era una donna dall’aspetto piuttosto annoiato e scontroso, le lunghe unghie rosse che digitavano qualcosa sulla tastiera del computer.

      “Mi scusi,” disse Oliver.

      La donna non rispose. Lui si schiarì la voce e tentò di nuovo, solo con tono un po’ più alto.

      “Mi scusi. Sono un nuovo studente, inizio oggi.”

      Alla fine la donna distolse lo sguardo dal computer e lo guardò. Socchiuse gli occhi. “Un nuovo studente?” chiese con voce molto sospettosa. “È ottobre.”

      “Lo so,” rispose Oliver. Non serviva che glielo ricordasse. “La mia famiglia si è appena trasferita qui. Mi chiamo Oliver Blue.”

      La donna lo guardò in silenzio per un lungo momento. Poi, senza pronunciare un’altra parola, riportò l’attenzione sul computer e riprese a scrivere. Le sue unghie lunghe ticchettavano sui tasti.

      “Blue?” disse. “Blue. Blue. Blue. Ah, ecco. Christopher John Blue, terza media.”

      “Oh no, quello è mio fratello,” rispose Oliver. “Io sono Oliver. Oliver Blue.”

      “Non vedo nessun Oliver,” rispose lei disinteressata.

      “Beh… eccomi qui,” disse Oliver abbozzando un sorriso. Dovrei essere nell’elenco, da qualche parte.”

      La segretaria non parve per nulla colpita. Tutto quello sfacelo non lo stava minimamente aiutando con il suo nervosismo. La donna riprese a scrivere, poi emise un profondo sospiro.

      “Ok. Ecco. Oliver Blue. Prima media.” Si voltò sulla sua sedia girevole e gettò una cartella di documenti sulla scrivania. “Hai il tuo programma, mappa, contatti utili, eccetera, tutto qua dentro,” disse picchiettando pigramente con una brillante unghia rossa sulla cartellina. “La tua prima lezione è inglese.”

      “Bene,” disse Oliver prendendo la cartella e infilandosela sotto al braccio. “Lo parlo bene.”

      Sorrise per lasciar intendere che si trattava di una battuta. La segretaria piegò leggermente un lato della bocca, mostrando un’espressione che poteva assomigliare a divertimento. Rendendosi conto che non c’era altro da aggiungere, e percependo che la donna avrebbe gradito vederlo sparire, Oliver uscì dalla stanza con la sua cartella stretta in pugno.

      Una volta tornato nel corridoio, la aprì e iniziò a studiare la mappa, cercando l’aula di inglese e la sua prima lezione. Era al terzo piano, quindi Oliver si diresse verso le scale.

      Qui i ragazzi che si spingevano e che sgomitavano sembravano ancora più ‘sgomitanti’. Oliver si trovò risucchiato in un mare di corpi, spinto su per la scala insieme alla folla piuttosto che per sua propria volontà. Dovette passare a forza in mezzo alla calca per arrivare incolume al terzo piano, dove arrivò ansimante. Non era certo un’esperienza che bramava di ripetere più volte al giorno!

      Usando la mappa come guida, Oliver trovò senza difficoltà l’aula di inglese. Sbirciò attraverso la finestrella sulla porta. Era già mezza piena di studenti. Sentì lo stomaco che si contorceva per l’angoscia al pensiero di incontrare gente nuova, di essere visto, giudicato e valutato. Spinse giù la maniglia della porta ed entrò.

      Faceva bene ad avere paura, ovviamente. Aveva fatto questa cosa talmente tante volte da sapere bene che tutti si sarebbero girati a guardarlo, curiosi di sapere chi fosse il ragazzo nuovo. Oliver aveva provato questa sensazione ben più volte di quanto volesse ricordare. Cercò di non guardare nessuno negli occhi.

      “E tu chi sei?” chiese una voce rude.

      Oliver si girò e vide l’insegnante, un uomo anziano con i capelli sorprendentemente bianchi, che lo guardava dalla cattedra.

      “Sono Oliver. Oliver Blue. Sono nuovo.”

      L’insegnante si accigliò. Aveva gli occhi piccoli, neri e sospettosi. Fissò Oliver per un tempo penosamente lungo. Ovviamente questo si unì allo stress di Oliver, perché ora anche i suoi compagni di classe stavano prestando una maggiore attenzione nei suoi confronti, mentre altri ancora entravano dalla porta. Un pubblico sempre più grande lo guardava con curiosità, come fosse una specie di spettacolo da circo.

      “Non sapevo che me ne avrebbero mandato un altro,” disse infine l’insegnante con aria di sprezzo. “Sarebbe carino se mi informassero.” Sospirò stancamente, ricordando a Oliver suo padre. “Allora vai a prendere posto, direi.”

      Oliver corse a sedersi in uno dei posti rimasti, sentendosi seguito dagli occhi di tutti. Cercò di farsi il più piccolo possibile, il più inosservabile possibile. Ma ovviamente, per quanto tentasse di nascondersi, spiccava come un pollicione gonfio. Dopotutto, lui era quello nuovo.

      Con tutti i posti ora occupati, l’insegnante iniziò la lezione.

      “Andiamo avanti da dove ci siamo fermati la volta scorsa,” disse. “Regole di grammatica. Qualcuno può spiegare a Oscar di cosa stavamo parlando, per favore?”

      Tutti si misero a ridere per il suo errore.

      Oliver si sentì stringere la gola. “Ehm, mi scusi se la interrompo, ma mi chiamo Oliver. Non Oscar.”

      L’espressione dell’insegnante si fece immediatamente irritata. Oliver capì all’istante che quello non era il genere di uomo che apprezzava essere corretto.

      “Quando vivi da sessantasei anni con un nome come Portendorfer,” disse l’insegnante con un profondo cipiglio, “ti imbatti nella gente che pronuncia male il tuo nome. Porfendoffer. Portenworten. Ne ho sentite di tutti i colori. Quindi ti suggerisco, Oscar, di preoccuparti meno di correggere la pronuncia del tuo nome!”

      Oliver СКАЧАТЬ