Sala Operativa . Джек Марс
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      “Molto gentile da parte sua,” disse. Aveva una voce sbrigativa, che gli diceva che aveva quel tono tutte le volte, e che nella maggior parte dei casi non era pensato per essere gentile. “Ho trentasette anni. Vivo a Washington da tredici anni, da quando ho preso la laurea magistrale. Ho lavorato per un deputato, due senatori e l’ex direttore della salute e dei servizi umani. Ho fatto un bel po’ di esperienza.”

      “Okay,” disse Luke. “Non sono preoccupato per lei.”

      Oltrepassarono le porte principali. All’interno si trovarono davanti a un posto di controllo con tre guardie armate e un metal detector. Luke rimosse la Glock nove millimetri dalla fondina a spalla e la posò sul nastro trasportatore. Si abbassò e si sfilò la piccola pistola da tasca e il coltello da caccia assicurati alle caviglie e posò anche questi sul nastro. Alla fine prese le chiavi dalla tasca e le buttò con le armi.

      “Scusi,” disse. “Non ricordavo che ci fosse un posto di controllo qui.”

      “Non c’era,” disse Kat Lopez. “C’è da qualche settimana appena. Sono venute sempre più persone a mano a mano che Susan ha ripreso i suoi compiti, e la sicurezza si è formalizzata.”

      Luke ricordò. Quando c’era stato l’attentato e Thomas Hayes era morto, Susan era stata improvvisamente promossa alla presidenza. La Casa Bianca era stata distrutta quasi interamente, e tutto quanto – tutta l’organizzazione, tutta la logistica – aveva preso una piega ad hoc, quasi disperata. Erano stati giorni folli. Era contento del riposo che aveva avuto dopo. Era un po’ sorprendente che Susan non ne avesse avuto per niente.

      Dopo che le guardie ebbero messo da parte Luke e lo ebbero perquisito ancora e passato rapidamente con la sonda del metal-detector, lui e il capo dello staff proseguirono.

      Il posto fremeva di attività. L’atrio era pieno di persone in giacca e cravatta, gente in uniformi militari, gente con le maniche arrotolate, gente che camminava veloce per i corridoi trascinandosi dietro stormi di assistenti. Una cosa fu ovvia subito – c’erano molte più donne di prima.

      “Cos’è successo all’ultimo?” disse Luke. “Era il capo dello staff di Susan. Richard…”

      Kat Lopez annuì. “Sì, Richard Monk. Be’, dopo l’incidente con l’Ebola, sia lui che Susan sono stati d’accordo che per lui fosse un buon momento per procedere oltre. Ma anche se è fuori di qui, è caduto in piedi. Lavora come capo dello staff del nuovo deputato degli Stati Uniti per il Delaware, Paul Chipman.”

      Luke sapeva che c’erano deputati e senatori in entrata dai trentanove stati per rimpiazzare quelli persi nell’attentato a Mount Weather. Era una bufera di gente che saliva dai livelli inferiori, o che tornava dal pensionamento. Diversi erano gli ex governatori rinominati con un’etica questionabile e clientelismo di lunga data. C’erano mani unte di mazzette da tutte la parti.

      Sorrise. “Richard è passato dal lavorare direttamente per la presidente a lavorare con un primino del secondo più piccolo stato dell’unione? E lei questo lo chiama cadere in piedi? Pare che sia caduto di testa.”

      “No comment,” disse Kat, e quasi sorrise. Era la cosa più vicina all’umanità che gli avesse donato, finora. Lo condusse attraverso la folla fino a una porta doppia alla fine del corridoio. Luke conosceva già quel posto. Quando Susan era vicepresidente, la grande stanza luminosa era stata la sua sala conferenze. Nei giorni successivi al giuramento si era rapidamente trasformata al volo in una sala operativa.

      Era stata anche formalizzata così. Delle pareti modulari che percorrevano la lunghezza della stanza coprivano le vecchie finestre. Giganteschi schermi video piatti erano stati montati a intervalli di un metro e mezzo. Era stato portato un tavolo conferenze in quercia più grande, e sul muro dietro al posto d’onore c’era lo stemma del presidente. C’erano circa due dozzine di persone dentro quando entrarono Luke e Kat, una dozzina alla tavola e altre in sedie poste lungo le pareti.

      Il cambio di genere era evidente anche qui. Luke ricordava di essere stato lì per aggiornamenti sulla sparizione del campione di virus Ebola due mesi prima. Delle trenta persone che c’erano all’epoca nella stanza, Susan poteva essere l’unica donna. Ventinove uomini, la metà dei quali grossi e massicci, e una piccola donna.

      Adesso forse la metà delle persone erano donne.

      Susan si sollevò dal posto a capotavola quando Luke entrò. Era diversa, pure. Più dura, forse. Più magra di prima. Era stata una modella in passato, e aveva mantenuto la pienezza infantile delle guance fino alla mezza età. Adesso se n’era andata, e lei sembrava aver sviluppato le zampe di gallina attorno agli occhi quasi da un giorno all’altro. Gli occhi brillanti stessi sembravano più concentrati, come raggi laser. Aveva trascorso tutta la vita come la più bella donna della stanza – per la fine della presidenza, forse non sarebbe più stato così.

      “Agente Stone,” disse. “Sono contenta che abbia potuto unirsi a noi.”

      Sorrise. “Signora presidente. Prego. Mi chiami Luke.”

      Lei non gli ritornò il sorriso. “Grazie di essere venuto.”

      In piedi davanti a uno dei grandi schermi c’era Kurt Kimball, il consigliere per la sicurezza nazionale di Susan. Luke lo aveva già incontrato una volta. Era alto, con le spalle larghe. Aveva la testa assolutamente calva.

      Kimball gli offrì una stretta di mano. Se la stretta di Kat Lopez era stata ferma, quella di Kurt Kimball fu di granito. “Luke, è bello rivederla.”

      “Kurt, altrettanto.”

      L’atmosfera era tesa. Quelle persone non avevano trascorso gli ultimi due mesi a fare campeggio e a navigare. Anche fosse, Luke aveva preso un aereo per andare lì dal Maine immediatamente, e aveva scaricato il figlio dalla sua rabbiosa futura ex moglie, che vedeva tutto ciò come una conferma delle ragioni per cui stava divorziando. Si sarebbe potuto pensare che gli avrebbero offerto un po’ più di calore.

      Decise di seguire la corrente. Centinaia di persone erano morte quella mattina, e le persone in quella stanza, almeno, pensavano che si trattasse di un attentato terroristico.

      “Cominciamo?” disse.

      “Si sieda, prego,” disse Kimball.

      Era apparso miracolosamente un posto alla destra di Susan, e Luke sedette.

      Sullo schermo apparve la foto di una grande diga. Grande non era la parola giusta. Immensa era più corretta. Di fronte alla diga c’era un edificio di sei piani, il centro di controllo, con sotto sei saracinesche parzialmente aperte. L’edificio era sovrastato dalla diga che sorgeva alle sue spalle. Sull’orlo c’era una stazione di energia idroelettrica con file e file di trasformatori.

      “Luke, questa è la diga di Black Rock,” disse Kurt Kimball. “È alta approssimativamente cinquanta piani e contiene il lago di Black Rock, che è lungo sedici miglia, profondo centoventidue metri, e a ogni dato momento contiene circa duecentottantatremila metri cubi di acqua. Come probabilmente ha visto ai notiziari, appena dopo le sette di questa mattina le sei saracinesche che ha visto sul fondo si sono aperte completamente, e sono rimaste bloccate così per tre ore e mezza, finché i tecnici non sono riusciti a scollegarle dal sistema del computer che le attiva per chiuderle manualmente.”

      Kimball usò un puntatore laser per indicare le saracinesche.

      “Se guarda le saracinesche in relazione all’edificio, vedrà che sono piuttosto grandi. СКАЧАТЬ