Obiettivo Primario. Джек Марс
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СКАЧАТЬ era un paese delle meraviglie di fragore costante: c’erano scavatori che bucavano e spianavano la terra, operai che montavano a martellate centinaia di baracche in compensato per sostituire le tende in cui le truppe di stanza nella zona avevano abitato in precedenza, e come se non bastasse, tutto intorno sulle montagne risuonava gli attacchi missilistici talebani, insieme agli attentatori e i motociclisti suicidi che si facevano esplodere davanti alla cancellata d’ingresso.

      Luke scrollò le spalle. Portava i capelli un po’ più lunghi di quanto prevedesse il regolamento militare. Non si rasava da tre giorni e indossava una tuta da pilota senza alcun indicazione del suo grado.

      “Eseguo solo gli ordini, signore.”

      Don scosse la testa. I suoi capelli tagliati a spazzola erano neri, screziati di grigio e bianco. Aveva un volto che sembrava scavato nella roccia. In realtà, tutto il suo corpo sembrava di pietra. I suoi occhi azzurri erano profondi e intensi. Il colore della chioma e le linee del volto erano gli unici segni che Don Morris avesse più di cinquant’anni.

      Il colonnello stava infilando i pochi oggetti personali del suo ufficio dentro delle scatole. Uno dei leggendari fondatori della Delta Force si stava ritirando dall’esercito degli Stati Uniti. Era stato selezionato per formare e gestire una piccola agenzia di intelligence a Washington, DC, un gruppo semi-autonomo all’interno dell’FBI. Don ne parlava come di una Delta Force civile.

      “Non osare chiamarmi signore,” ribatté. “E se oggi esegui degli ordini, allora ascolta questo: rifiuta la missione.”

      Luke sorrise. “Temo che non sia più il mio comandante. I suoi ordini non hanno molto peso di questi tempi. Signore.”

      Gli occhi di Don incontrarono quelli di Luke che sostenne il suo sguardo per un lungo momento.

      “È una trappola mortale, figliolo. Due anni dopo la caduta di Baghdad, lo sforzo bellico in Iraq è praticamente inesistente. Qui nella terra di Dio, controlliamo il perimetro di questa base, l’aeroporto di Kandahar, il centro di Kabul e poco altro. Amnesty International, la Croce Rossa e la stampa europea non fanno altro che gridare di presunte prigioni segrete e di camere delle torture, persino qui, a trecento metri da dove ci troviamo. I piani alti farebbero di tutto per fargli cambiare idea. Gli serve una vittoria con la V maiuscola. E Heath vuole aggiudicarsi un’altra medaglia. Non vuole altro. Non vale la pena di morire solo per questo.”

      “Il tenente colonnello Heath ha deciso di guidare personalmente l’attacco,” replicò Luke. “Ne sono stato informato meno di mezz’ora fa.”

      Don si incurvò su se stesso. Poi annuì.

      “Non c’è da sorprendersi,” commentò. “Sai come chiamavamo Heath? Capitano Achab. Si fissa su una cosa, la sua balena personale, e la insegue fino in fondo al mare. Ed è felice di trascinare con sé tutti i suoi uomini.”

      Don si interruppe e sospirò.

      “Ascolta, Stone, tu non hai niente da dimostrare a me o a nessun altro. Ti sei guadagnato un lasciapassare. Puoi rifiutare la missione. Che diavolo, se lo volessi tra un paio di mesi potresti lasciare l’esercito e unirti a me a Washington. Ne sarei felice.”

      Quello fu il turno di Luke di sospirare. “Don, non siamo tutti uomini di mezza età. Ho trentun anni. Non credo che giacca e cravatta e un pranzo alla scrivania siano quello che fa per me.”

      Don stringeva tra le mani una foto incorniciata. Indugiò sopra una scatola aperta. La fissò. Era l’immagine sbiadita di quattro giovani uomini a torso nudo, Berretti Verdi, che facevano smorfie da duri davanti alla macchina fotografica prima di una missione in Vietnam. Lui era l’unico dei quattro a essere ancora vivo.

      “Neanche per me,” rispose Don.

      Spostò lo sguardo su di nuovo Luke.

      “Non morire là fuori.”

      “Non ne ho l’intenzione.”

      Don abbassò di nuovo lo sguardo sulla foto. “Non ce l’ha mai nessuno.”

      Per un momento guardò fuori dalla finestra, verso le montagne innevate del Hindu Kush che si alzavano attorno a loro. Agitò la testa. Il suo ampio petto si alzò e si abbassò. “Mi mancherà questo posto.”

      ***

      “Signori, questa missione è un suicidio,” disse l’uomo davanti alla sala. “Ed è per questo che mandano uomini come noi.”

      Luke era seduto su uno sgabello pieghevole nella scialba sala riunioni di mattoni, insieme ad altri ventidue uomini accomodati sulle sedie attorno a lui. Erano tutti agenti della Delta Force, il meglio del meglio. E la missione, da quello che aveva capito, era complicata, ma non necessariamente un suicidio.

      L’uomo che stava dando le ultime istruzioni era il tenente colonnello Morgan Heath, uno dei comandati più belligerante e combattivo che avessero. Non ancora quarantenne, era chiaro che per Heath la Delta non fosse l’obiettivo finale. Aveva raggiunto rapidamente il rango attuale, e la sua ambizione sembrava portarlo a un profilo ancora più alto. La politica, forse un contratto per un libro, magari a lavoro in televisione come esperto militare.

      Heath era attraente, molto in forma e esageratamente ansioso di agire. Niente di strano per un agente della Delta. Ma era anche uno che parlava molto e quello non era affatto da Delta Force.

      Luke lo aveva visto una settimana prima, mentre rilasciava un’intervista a un giornalista e a un fotografo della rivista Rolling Stones, e spiegava loro le avanzate capacità stealth e di navigazione di un elicottero MH-53J. Non erano necessariamente informazioni classificate, ma di certo non si trattava del tipo di dettaglio che lui avrebbe condiviso con chiunque.

      Stone lo aveva quasi ripreso, ma non lo aveva fatto.

      Non lo aveva fatto, e non perché Heath lo superasse di rango—quello non aveva importanza all’interno della Delta, o non avrebbe dovuto averlo—ma perché poteva già immaginarsi la risposta di Heath: “Crede che i talebani leggano le riviste popolari americane, sergente?”

      La presentazione della missione che Heath stava tenendo al momento era all’avanguardia, secondo gli standard tecnologici di dieci anni prima: un PowerPoint su uno sfondo bianco. Un giovane uomo con un turbante e una barba scura apparve sullo schermo.

      “Conoscete tutti il nostro uomo,” disse Heath. “Abu Mustafa Faraj al-Jihadi è nato attorno al 1970 in una tribù di nomadi nell’est dell’Afghanistan o nelle regioni tribali dell’ovest del Pakistan. Probabilmente non ha avuto nessuna educazione formale degna di nota, e la sua famiglia deve aver attraversato il confine come se non esistesse neanche. Al Qaeda gli scorre nelle vene. A quanto si dice, quando i sovietici hanno invaso l’Afghanistan nel 1979, si è unito alla resistenza come soldato bambino, all’età di otto o nove anni. Dopo tutto questo tempo, decenni di guerra senza sosta, in qualche modo è sopravvissuto. Anzi, è in gran forma. Crediamo che sia responsabile dell’organizzazione di almeno due dozzine di grossi attentati terroristici, incluso l’attacco suicida a Mumbai dello scorso ottobre, e il bombardamento della USS Sarasota nel Porto di Aden, nel quale sono morti diciassette marinai americani.”

      Heath fece una pausa a effetto. Scrutò ogni singolo uomo nella stanza.

      “Questo tizio significa guai. L’unica cosa migliore di prendere lui sarebbe la cattura di Osama bin Laden. Volete essere eroi? Questa è la vostra occasione.”

      Heath СКАЧАТЬ