Il Killer Dell’orologio . Блейк Пирс
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      “Diamo un'occhiata” gli disse, avvicinandosi e guardando il motore.

      In quell'istante lui capì che cosa apprezzava della sua voce.

      “Ha un accento interessante” osservò. “E’ scozzese?”

      “Irlandese” fu la gentile risposta. “Sono qui da soltanto due mesi, ho ottenuto la carta verde, così da poter lavorare qui con una famiglia.”

      Le sorrise. “Benvenuta in America”.

      “Grazie. L’adoro già.”

      Lui indicò verso il motore.

      “Aspetti un attimo” disse. “Di che cosa pensa si tratti?”

      La donna si abbassò per dare un’occhiata più approfondita e l'uomo ne approfittò per lasciare cadere il cofano sulla sua testa con un colpo.

      Lo sollevò poi, sperando di non doverla colpire di nuovo. Per fortuna, era svenuta e giaceva inerte distesa sul motore, a faccia in giú.

      Si guardò intorno. Non c’era nessuno nei paraggi. Nessuno aveva assistito alla scena.

      Tremò per la gioia.

      La prese tra le braccia, notando che il volto e la parte anteriore del suo vestito ora erano impregnati di grasso.

      La donna era leggera come una piuma.

      Girò intorno alla sua auto, aprì lo sportello e la depose sul sedile posteriore.

      Era certo che sarebbe ben servita al suo scopo.

      *

      Non appena Meara cominciò a riprendere conoscenza, si sentì quasi aggredita da dei rumori assordanti; sembrava che intorno a lei rimbombasse ogni sorta di suono che si potesse immaginare: gong, campanelli, cinguettii e melodie assortite, che parevano provenire da una dozzina di carillon. Tutti quei suoni sembravano ostili.

      La donna aprì gli occhi, senza però riuscire a concentrare lo sguardo su qualcosa. La testa le scoppiava quasi per il dolore.

      Dove mi trovo? si chiese.

      Era da qualche parte a Dublino? No, era in grado di ricostruire un po’ di quadro cronologico. Era arrivata lì due mesi fa e aveva subito cominciato a lavorare. Era senz’altro in Delaware. Con uno sforzo, ricordò di essersi fermata ad aiutare un uomo con la sua auto. Poi, qualcosa era accaduto. Qualcosa di brutto.

      Ma che cos’era quel posto, con tutti quegli orribili rumori?

      Si rese conto consapevole del fatto che era trasportata come un pacco. Sentì la voce dell’uomo che la stava trasportando, che parlava al di sopra del frastuono.

      “Non preoccuparti, siamo arrivati qui in tempo.”

      Gli occhi cominciarono a mettere a fuoco la zona circostante. Vi era un’incredibile quantità di orologi di ogni grandezza, forma e stile concepibili: c'erano imponenti pendoli, altri orologi più piccoli, alcuni dei quali a cucù; ne notò altri dotati di piccole serie di uomini meccanici. Orologi ancora più piccoli erano stipati su delle mensole.

      Tutti stanno scoccando l’ora, comprese.

      Ma in tutto quel caos sonoro, non riusciva a decifrare l’esatto numero di gong e campanelli.

      Voltò la testa, per vedere chi la stava trasportando. L'uomo la guardò. Sì, era quello che le aveva chiesto aiuto. Era stata una sciocca a fermarsi per lui. Era caduta nella sua trappola. Ma che cosa le avrebbe fatto?

      Mentre il suono degli orologi cessava, si accorse che non riusciva a tenere gli occhi aperti. Si sentì svenire.

      Devo restare sveglia, pensò.

      Avvertì poi un tintinnio metallico, e si accorse di essere stata delicatamente deposta su una superficie rigida e fredda. Ci fu un altro tintinnio, seguito da passi, e infine una porta si aprì e si chiuse. La moltitudine di orologi continuava a ticchettare.

      Poi, sentì un paio di voci femminili.

      “E’ viva.”

      “Male per lei.”

      Le voci erano sommesse e roche. Meara riuscì ad aprire di nuovo gli occhi. Vide che il pavimento era solido e grigio. Si voltò dolorosamente, e vide tre forme umane sedute sul pavimento vicino a lei. O almeno, credeva che fossero umane. Sembravano giovani donne, adolescenti, ma erano magrissime, più che scheletriche: le loro ossa s’intravedevano chiaramente sotto la pelle. Una di loro pareva a malapena cosciente, con la testa pendente in avanti e gli occhi fissi sul pavimento grigio. Le rammentavano alcune foto di prigionieri nei campi di concentramento.

      Erano ancora vive? Sì, dovevano esserlo. Le aveva appena sentite entrambe parlare.

      “Dove siamo?” Meara chiese.

      Riuscì a stento ad udire la risposta, debole come un sibilo.

      “Benvenuta” una delle ragazze rispose, “all’inferno.”

      CAPITOLO UNO

      Riley Paige non vide partire il pugno ma i suoi riflessi erano ancora buoni. Sentì il tempo rallentare, mentre il primo colpo si dirigeva verso il suo stomaco. La donna indietreggiò, mandandolo a vuoto. Poi, notò un violento gancio sinistro diretto alla sua testa, saltò di lato e lo scansò. Quando l'avversario si fece più sotto, sferrando un colpo verso il suo volto, Riley si mosse fulminea e bloccò il pugno tra i guantoni.

      A quel punto, il tempo riprese il suo normale ritmo. Riley sapeva che quella serie di colpi era durata meno di due secondi.

      “Bene” commentò Rudy.

      Riley sorrise. Rudy ora si limitava a tenersi in costante movimento, per evitare i colpi, più che pronto al contrattacco della donna. Riley faceva lo stesso, muovendosi, facendo finte e provando a tenerlo sulle spine.

      “Non c’è alcuna di fretta” Rudy disse. “Riflettici a fondo. Pensa come se stessi giocando una partita a scacchi.”

      Riley si sentì infastidita ma proseguì i suoi movimenti laterali. Ci stava andando piano con lei. Perché?

      Ma sapeva che era giusto così. Questa era la prima volta che affrontava un vero avversario sul ring. Fino ad allora, aveva messo alla prova le sue mosse su un sacco pesante. Ricordò a se stessa di essere soltanto una principiante in questo tipo di combattimento. Era davvero un ottimo suggerimento quello di non avere fretta.

      Mike Nevins aveva voluto che lei si allenasse. Lo psichiatra forense, che collaborava con l’FBI, era anche un buon amico di Riley. Lei lo aveva spesso consultato, quando aveva affrontato i suoi momenti di crisi.

      Di recente, si era lamentata con Mike riguardo alla propria difficoltà a controllare gli impulsi aggressivi. Perdeva la pazienza troppo spesso. Era agitata.

      “Prova ad allenarti” Mike aveva suggerito. “E’ un ottimo modo per sfogarsi.”

      In quel СКАЧАТЬ