Название: Una Bolla Fuori Dal Tempo
Автор: Andrea Calo'
Издательство: Tektime S.r.l.s.
Жанр: Зарубежные любовные романы
isbn: 9788873042877
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John era seduto nella hall, mi aspettava mentre sfogliava una delle riviste messe a disposizione di clienti e visitatori. Era elegante, come il giorno prima. Indossava una camicia azzurra con cravatta stretta, a strisce oro e nero. Sopra la camicia portava la giacca del giorno prima. I pantaloni formavano un completo con la giacca, mostravano una leggera gessatura che non avevo notato la sera precedente. Mi avvicinai a passo veloce mentre lui mi notava, seguendo con lo sguardo la mia camminata.
«Buongiorno John. Mi scuso per il ritardo, è tanto che aspetta?», chiesi imbarazzata. Mi era tornata improvvisamente paura che potesse notare il gonfiore sotto i miei occhi.
«Buongiorno Katherine. Attendo solo da pochi minuti. Ha trascorso una buona nottata? Qualche problema?».
«Tutto molto bene, grazie. Mi sono addormentata quasi subito ieri sera. Ero talmente stanca che non mi sono neppure ricordata di spegnere il televisore, si figuri. Ho dormito come una bambina per tutta la notte e stamattina mi sentivo completamente riposata», mentii, senza pudore.
«Molto bene. Strano però, i suoi occhi vorrebbero suggerirmi l’esatto contrario. Pensavo che avesse pianto. Mi fa piacere sapere che mi sbagliavo e che invece ha riposato bene».
“Dannazione!”, pensai. Il mio seno non aveva sortito alcun effetto su quell’uomo, possibile? Aveva subito notato gli occhi, gonfi come palle da tennis. Dovevo dire qualche cosa per tranquillizzarlo.
«I miei occhi? Oh John, non ci faccia caso. Sono sempre così il mattino appena alzata. Poi si sistemano da soli. Perché mai avrei dovuto piangere? Non ne ho motivo, non crede?», fu l’unica cosa che riuscii a inventarmi sul momento.
«Io questo non potevo saperlo. Sono davvero tanto felice che lei stia bene». Mi accorsi che stavo peggiorando le cose, sarebbe stato meglio spostare i nostri discorsi su altri argomenti.
«Andiamo a fare colazione? Io avrei un po’ di fame, e lei?»
«Si, andiamo. La prego», rispose, invitandomi con un braccio ad anticiparlo nel tragitto verso la sala della ristorazione. Pareva essere veramente un uomo galante. Era un uomo che io percepivo come “raro” attraverso i miei occhi e i miei sensi. Al ristorante era servita una colazione internazionale. C’erano tante di quelle cose da mangiare da poter sfamare un esercito intero quel giorno. John prese un caffè americano che macchiò leggermente con del latte freddo. Io mi gettai su qualche cosa di più sostanzioso: confetture varie con pane e burro, frutta fresca, bacon, salsicce e formaggi. Tutto ciò era accompagnato da abbondante succo d’arancia concentrato. John mi guardava sorpreso.
«Che cos’ha da guardarmi in quel modo?», chiesi mentre il calore divampava sul mio collo. Immaginavo il rossore che stava ricoprendo il mio viso in quel preciso momento. Esprimevo sempre inconsciamente le mie emozioni attraverso i riflessi incontrollabili del mio corpo. Non avevo nascosto molto della mia vita alle persone. Solo il mio segreto più grande non era mai andato oltre le mura di casa nostra, se non fosse stato per le diverse decine di strizzacervelli che avevano avuto modo di esercitare la loro scienza su di me, per pura scelta e desiderio di mia madre.
«Noto con grazia il suo apprezzamento per i piaceri e le delizie della tavola. E’ tipico per un italiano, lo sa?», mi rispose sorridendo. Si stava prendendo gioco di me, era evidente.
«Che cosa intende dire con questo? Ieri sera sono rimasta a digiuno, ho bevuto solo del caffè e poi sono andata a dormire. E’ logico, umano e fisico avere fame! E cosa c’entrano gli italiani in tutto questo?». Voleva la guerra? Ero pronta a combattere ad armi pari! La mia forchetta con un pezzo di salsiccia infilzato rimase per un bel po’ sospesa a mezz’aria, sorretta dalla mia mano che non sapeva più decidere se riportarla nel piatto o verso la bocca.
«Ieri sera, quando le chiesi se aveva già cenato, mi ha risposto che non era solita mangiare tanto prima di andare a letto. Ho preso atto delle sue parole e non mi sono permesso di insistere oltremodo per offrirle uno spuntino. Le chiedo scusa, forse avrei dovuto seguire di più il mio istinto. Riguardo agli italiani, ha presente quelle comitive che partono dalle grandi città per una vacanza fuori dalle loro mura domestiche, acquistando i pacchetti completi di vitto e di alloggio? Non lasciano cadere nemmeno una briciola di pane dalla loro tavola. Con la scusa di aver già pagato tutto, si abbuffano come porci e ingrassano al punto da non riconoscersi più al loro ritorno a casa».
Non potevo trattenere le risate mentre, nel frattempo, avevo ripreso a mangiare con gusto. Quell’uomo mi divertiva, mi sentivo bene con lui. Cominciai a pensare che forse avrei dovuto condividere con lui la mia situazione e l’obiettivo primario della mia visita. Tuttavia non avrei di certo preteso aiuto da parte sua. Così come, di certo, non l’avrei rifiutato qualora me l’avesse offerto di sua spontanea volontà.
«E lei cosa ne sa di come si comportano gli italiani? Non sono poi tutti uguali. Secondo me, caro John, lei ha in mente lo stereotipo dell’italiano zoticone e rumoroso, gran mangiatore di pizza e spaghetti, che suona il mandolino e che è pronto a fregare il prossimo alla prima svista. Dico bene?», lo stuzzicai per poi affondare il colpo di grazia, «Gli italiani poi sono grandi amatori, lo sa questo vero?». Scoppiai a ridere, mentre lui posava la sua tazza ormai vuota, mostrava uno sguardo severo.
«Che ne dice se procediamo al check-out e ci avviamo? La strada è lunga. Vedo che non ha con sé la sua valigia», rispose, piuttosto imbarazzato dalla mia ultima frecciata che, indubbiamente, doveva aver colto nel segno.
«Si John, gli italiani fanno l’amore davvero bene! Se lo ricordi questo, sempre. Vado a prendere la mia valigia, ci vediamo qui tra pochi minuti, se non incontrerò un italiano in ascensore», replicai strizzando l’occhio come farebbe una ragazzina impertinente contenta di fare un dispetto a un contendente.
«Katherine!», mi chiamò, «Dovrebbe indossare qualche cosa di più caldo, confortevole e appropriato prima di uscire. Nel Wallowa fa molto freddo, soprattutto in questi giorni, non vorrei che si ammalasse». Aveva vinto lui ancora una volta. Con la sua compostezza, con la sua serietà e gentilezza, era riuscito letteralmente a trainarmi lungo la sua strada. Ora ero io a seguirlo e lo facevo con piacere e con estrema gratitudine. Aveva pensato a me, perché io non mi ammalassi, a disprezzo delle battutacce da ragazza sboccata che avevo appena pronunciato e che, in un certo senso, dovevano averlo toccato profondamente. Dovevo riparare al mio errore. “Ma io ho fatto tutto questo per lei, John!”, fui in procinto di dire, ma mi trattenni giusto in tempo per evitarmi un’altra figuraccia, ne avevo già commesse abbastanza in una sola ora della giornata. Inoltre sapevo benissimo che l’avevo fatto principalmente per me, per nascondere un mio difetto, non c’era nessuna traccia di altruismo nel mio gesto. Con un cenno del capo confermai di aver accolto il suo suggerimento ed entrai in ascensore. John si era avvicinato e prima che le porte si richiudessero mi sorrise, mentre mi guardava con espressione rilassata e giocosa.
«Non vedo italiani nell’ascensore Katherine. Bene, allora può salire». Scoppiai a ridere e non riuscii a fermarmi se non prima di essere rientrata nella mia stanza.
Indossai il mio maglione di lana a collo alto, presi il bagaglio e tornai nella hall. John mi attendeva vicino alla porta dell’ascensore. Mi fermai lasciando la valigia per infilarmi il cappotto che portavo appeso al mio braccio, come sempre. John, senza dire nulla, prese la mia valigia e cominciò ad avviarsi, anticipandomi verso l’uscita dell’hotel.
«Aspetti, СКАЧАТЬ