Il Dono Del Reietto. Mario Micolucci
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Название: Il Dono Del Reietto

Автор: Mario Micolucci

Издательство: Tektime S.r.l.s.

Жанр: Героическая фантастика

Серия:

isbn: 9788873048893

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СКАЧАТЬ Questa era la parte più difficile, si rendeva conto di poter modificare il terreno come se fosse il suo corpo, tuttavia si sentiva come un neonato che deve ancora prendere confidenza con le proprie membra e con i movimenti. Il risultato era che riuscisse a far accadere qualcosa, ma ciò non era mai esattamente ciò che voleva ottenere. Una volta, volendo imitare l'umano, provò a evocare uno spuntone con lo scopo di infilzare una grossa tartaruga di palude. Ci riuscì parzialmente. Infatti, lo spuntone, che per fortuna non era né troppo grande né troppo duro e affilato, emerse, ma tra le sue gambe, lasciandolo senza respiro per diversi minuti.

      Quello che, invece, proprio non riusciva a fare, era scagliare le pietre come se fossero proiettili: aveva persino plasmato dei sassi fino a farli assomigliare ai dardi della sua cerbottana, ma rimanevano lì, ancorati al terreno.

      In quei giorni, venne nuovamente importunato da Kitzo e i suoi, ma vista l'esperienza precedente, attendeva sempre gli ultimi minuti per andare a caccia, in modo che lo trovassero sempre senza alcun ratto da sottrargli.

      Girk e Gork, non ottenendo nulla da mangiare, persero presto interesse per quel passatempo e Kitzo si guardò dall'affrontarlo da solo: così, per qualche tempo, Djeek fu lasciato in pace.

      Il bastone si era rivelato un ottimo strumento, non solo per far uscire i ratti allo scoperto, ma anche per scovarli: infatti, entrando in simbiosi con il suolo circostante, poteva sentire i loro passi come se si muovessero su di lui. Un giorno, proprio mentre si stava concentrando in tale operazione, avvertì dei movimenti striscianti, ma molto più pesanti. Ciò lo fece sobbalzare sul più bello e il terreno circostante si scosse insieme a lui provocando il crollo di un piccolo sperone di argilla. Nel fracasso delle zolle che impattavano l'acqua, si udì un urlo soffocato seguito da un tonfo. Che guaio! Forse, aveva inconsapevolmente fatto del male a qualcuno. Corse nella direzione del crollo. Era chino per sondare con le mani nell'acquitrino, quando sentì un dolore acuto al polpaccio che lo fece accasciare. Un istante dopo, Kitzo, emergendo dalla palude, era su di lui pronto a finirlo con un pugnale ottenuto affilando una pietra di selce. Djeek ruotò su se stesso e, mentre con la mano destra teneva ben saldo il bastone, con l'altra fece appena in tempo ad afferrare il braccio dell'avversario che stava per piantargli la rudimentale lama nella gola. Nella convulsione della lotta, guardò con repulsione quel pezzo di selce che gli aveva lacerato le carni del polpaccio e che ora era prossimo a recidergli la giugulare. Lo rigettò da sé come se fosse un boccone inappetibile. Fu in quel momento che questo schizzò frantumandosi verso il goblin che lo brandiva ferendogli la mano e colpendolo all'occhio.

      «Che tu sia dannato!» urlò Kitzo portandosi la mano al volto ormai sfigurato. Djeek si rialzò tremante e, ponendo dinanzi a sé il bastone, si preparò a fronteggiare un nuovo attacco, ma l'altro si dileguò maledicendolo: «Che tu possa marcire per sempre nel ventre del Grande Verme!».

      Il giovane goblin rimase immobile e ansimante per alcuni istanti. Ma poi, una volta assorbita l'adrenalina, il dolore al polpaccio si ripresentò insopportabile. Tirò fuori dall'acqua la gamba e constatò che il coltello lo aveva lacerato in profondità, vide colare un rivolo copioso di denso liquido nero e capì che si stava dissanguando. Raggiunse zoppicando un grosso albero marcescente, si aggrappò a una delle liane che pendevano dai suoi rami e tirò con tutta la forza finché, con un crack il legno fradicio cedette, piombandogli in testa. Imprecando contro la sua imbranataggine, prese a legarsi la gamba con il laccio rimediato, ma l'emorragia non si arrestò. “Morirò prima di raggiungere il villaggio” pensò accasciandosi a terra esausto. Chiuse gli occhi e, ponendosi in posizione fetale, strinse il bastone attendendo la fine. Sentì la terra abbracciarlo e stringerlo a sé come una madre affettuosa, avvertiva defluire il suo sangue come l'acqua che scorre nei ruscelli; sognò di arginarne il corso costruendo una piccola diga di sassi, tronchi e argilla.

      Si svegliò un paio d'ore più tardi, esaminò la ferita e vide che i suoi lembi, seppur ancora aperti, si erano induriti fino a sembrare fatti di creta essiccata; aveva problemi a deambulare, ma almeno non perdeva più sangue e il dolore si era assopito. Visto che non era nelle condizioni di digiunare, si sbrigò a completare la caccia con l'aiuto del bastone che, poi, ripose nel solito nascondiglio.

      Prima di presentarsi da Hork con il sacco, ne tirò fuori tre ratti particolarmente appetitosi e li nascose sotto un rovo che confinava con un punto remoto del cortile del vivaio: era rischioso, ma ne andava della sua sopravvivenza.

      Per una volta, il sotterfugio era andato a buon fine e Hork non si curò neanche del fatto che zoppicasse: sarebbe stata una premura inaspettata, se si fosse interessato di un suo infortunio.

      Ottenne il suo meritato boccone, ma non andò a riposare come faceva di solito: doveva completare il pasto per rimettersi in forze e doveva farlo... in compagnia.

      Il bastone gli aveva salvato la vita nell'immediato, ma non poteva lasciare la ferita in quello stato: ci voleva qualcuno che gli scrostasse la superficie pietrificata e che ricucisse lo squarcio. Nel vivaio c'era una giovane femmina di nome Griz che, viste le sue attitudini, svolgeva la mansione di aiuto fattucchiera e si prendeva cura dei feriti. Doveva quindi convincerla a uscire dalla capanna e proporgli uno scambio. A differenza dei maschi, almeno prima di divenire fertili, le femmine creavano un gruppo solidale che permetteva a molte di loro di sopravvivere alla feroce selezione nonostante la minore forza. Esse non si aggiravano mai da sole e se qualcuno faceva del male a una di loro, avrebbe, poi, dovuto fronteggiarne l'intero gruppo inferocito. Per Djeek, sarebbe stato difficile avvicinarla e ancora di più, convincerla a seguirlo, anche perché le femmine provavano ribrezzo per i più deboli, cioè per quelli che, come lui, non avevano il posto al coperto. “Mi aggirerò intorno alla baracca e, fiutando tra le fessure, individuerò il suo odore; poi, parlandole sottovoce, proverò a corromperla offrendole un bel banchetto” pensò cercando di convincersi che il suo fallace piano potesse funzionare. I dubbi, però, emersero gettandolo nell'angoscia: “Si fiderà di me? Come farò a comunicare con lei, senza farmi sentire da chi le sta vicino?”. Mentre si arrovellava il cervello in questi pensieri, vide un goblin con una benda sul lato destro della testa sbucare fuori da un cespuglio e, con fare furtivo, rientrare nella capanna: era Kitzo. Poco dopo, un'altra sagoma esile uscì silenziosa dallo stesso anfratto portando con sé una piccola sacca di cuoio. «Griz!» la chiamò sottovoce. Questa trasalì, come se l'avessero scoperta con le mani nel sacco. «Griz, sono Djeek! Stai tranquilla, voglio farti una proposta.» Ma ella, fulminea, gli balzo vicino puntandogli un rasoio affilato. «Oltre ad essere un verme, sei pure uno spione: ora, tu sparisci e dimentichi di avermi vista! Chiaro!» sibilò perentoria mostrando le zanne.

      «Ho bisogno del tuo aiuto: sono ferito!» disse il goblin con voce tremula, cercando di non guardare la lama che lo minacciava.

      «Se sei ferito? Crepa! Perché dovrei aiutarti?» gli replicò caustica.

      «Vieni con me, ho dei topi appetitosi da offrirti.»

      Due cose aiutarono Djeek: il fatto che tutti nel vivaio soffrissero la fame come condizione necessaria per crescere bramosi, e la sua reputazione di debole e innocuo smidollato. Griz decise di accettare l'invito a cena e di seguirlo: non lo temeva, era convinta di poterlo sopraffare facilmente, se le cose avessero preso una brutta piega.

      I due si infilarono in un cespuglio vicino alla recinzione. Da lì, allungando un braccio in una fessura della palizzata, il goblin estrasse tre bei roditori. Griz si lanciò ad afferrarli, ma Djeek, mandandola a vuoto, disse con fermezza: «Uno è mio. Gli altri due sono per te: prendi questo intanto, l'altro te lo darò a lavoro finito. Non ti conviene cercare di sottrarmeli: se ci azzuffassimo, ci scoprirebbero.» L'altra stava già divorando avidamente il topo. Finì il pasto, ruttò in segno di gradimento e prese a esaminargli la ferita.

      «È un brutto taglio. Ma cosa ci hai messo? La carne sembra argilla: bisogna asportare la parte morta prima di ricucire.» Estrasse dei lacci di cuoio dal suo sacchetto e disse: «Ti devo legare, prima.»

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