Название: L'Ombra Del Campanile
Автор: Stefano Vignaroli
Издательство: Tektime S.r.l.s.
Жанр: Историческая литература
isbn: 9788873044765
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«Hai molte belle idee, sei giovane e piena di entusiasmo, e ti capisco, ma la maggior parte degli accessi ai sotterranei è interdetta, in quanto si deve passare dalle cantine di palazzi privati, i cui proprietari il più delle volte negano il consenso.»
L’anziano decano scrutava la ragazza con i suoi occhi grigio verdi da dietro le lenti degli occhiali. La barba grigia non riusciva a celare il senso di disapprovazione che provava nei confronti della sigaretta elettronica, dalla quale ogni tanto Lucia aspirava una nuvola di vapore denso e biancastro, che nel giro di brevi istanti si dileguava nell’aria della stanza.
«Non è necessaria l’esplorazione fisica dei sotterranei. Si potrebbe far sorvolare la città da un elicottero per ottenere delle rilevazioni radar. La tecnica adesso è questa e dà ottimi risultati.», cercava di insistere Lucia, per veder realizzato uno dei suoi più grandi sogni.
«Chissà quanti soldi occorrerebbero per un progetto simile. Abbiamo fondi, ma sono abbastanza limitati. L’Italia non è ancora uscita dalla crisi economica che la affligge ormai da diversi anni, e tu mi vieni a proporre progetti faraonici? La cultura è bella, sono io il primo ad affermarlo, ma dobbiamo stare con i piedi in terra. Vedi quello che riesci a realizzare esplorando i sotterranei di questo palazzo. Comunicano direttamente con la cripta del Duomo, chissà che tu non riesca a tirar fuori qualcosa di interessante. Ma fallo al di fuori delle ore per cui vieni pagata. Il tuo compito qui è ben definito: riorganizzare la biblioteca!» Il decano stava per lasciare la ragazza al suo lavoro, e alla sua delusione, quando si rigirò: «E, un’ultima cosa! Elettronica o no, qui dentro non si fuma. Ti pregherei di evitare di usare quell’aggeggio mentre lavori.»
Con gesto plateale, Lucia sfilò la sigaretta elettronica dal collo cui era appesa con l’apposito cordoncino, ne spense l’interruttore e la ripose nel suo astuccio, che andò a infilare dentro la borsa. Dalla stessa prese pacchetto di sigarette e accendino e guadagnò l’androne di ingresso per andare a fumare in santa pace una vera sigaretta all’esterno.
Martedì 30 Maggio 2017 si presentava, fin dalle prime ore del mattino, una giornata serena, tersa, di tarda primavera. Il cielo era azzurro e, nonostante il sole fosse ancora basso, Lucia fu abbagliata dalla luce non appena chiuso dietro di sé il portone di casa. Aveva trovato un’ottima sistemazione, affittando un appartamento ristrutturato in Via Pergolesi, nel centro storico, a poche centinaia di metri dal suo posto di lavoro. Ma quello che era più interessante per lei era il fatto di trovarsi proprio nel palazzo che aveva ospitato, a piano terra, nel XVI secolo, una delle prime stamperie jesine, quella del Manuzi. L’enorme salone adibito a tipografia era stato nel tempo utilizzato per altri scopi, finanche come palestra e come sala riunioni di qualche partito politico. Ma questo non toglieva comunque fascino a quel luogo. Uscita dal portone e attraversato un piccolo cortile, Lucia era solita attardarsi a rimirare l’arco da cui si usciva sull’antica strada lastricata, Via Pergolesi, un tempo il Cardo Massimo dell’epoca Romana, poi chiamata Via delle Botteghe o Via degli Orefici, per le attività preminenti che vi si erano svolte nei vari periodi.
Delle splendide botteghe di un tempo, in effetti, ne erano rimaste ben poche. Molte avevano le serrande abbassate ormai da diversi anni, e quelle aperte ostentavano in vetrina beni e servizi che con l’antichità, con il fasto e lo splendore dei negozi orafi di un tempo, avevano ben poco a che spartire. Il cartello turistico imbrattato dalle cacate dei piccioni stava a indicare che l’ arco del Palazzo dei Verroni non era di origine romana, come l’aspetto poteva portare a credere, ma era stato realizzato nel XV secolo da tale Giovanni di Gabriele da Como, architetto che aveva lavorato a fianco del più noto Francesco di Giorgio Martini nella realizzazione del vicino Palazzo della Signoria. Tanto che qualcuno in passato aveva attribuito anche quell’arco al Di Giorgio Martini. Secondo Lucia, i romani non dovevano essere del tutto estranei a quell’opera, che si affacciava proprio sul Cardo Massimo. Magari gli architetti rinascimentali si erano limitati a restaurare un antico arco, le cui vestigia erano sopravvissute ai secoli e al rovinoso terremoto dell’anno 848.
Pochi passi tra gli austeri palazzi del centro storico furono sufficienti per far passare Lucia dall’ombreggiata Via Pergolesi alla luminosa Piazza Federico II. Mancava ancora qualche minuto alle otto, ora in cui doveva attaccare a lavorare. Avrebbe fatto in tempo a fumare un’altra sigaretta prima di entrare nel Palazzo, ma la sua attenzione fu attirata dalle quattro statue di marmo che sorreggevano come cariatidi il balcone del primo piano. Per un momento, ebbe l’impressione che i quattro “telamoni” fossero animati di vita propria, quasi volessero venire verso di lei per parlarle, per raccontarle storie vecchie di secoli, di cui si era persa la memoria. Ebbe come un giramento di testa, che le fece immaginare la balconata, non più sorretta dalle possenti statue, inclinarsi verso il suolo, e le riportò alla mente il sogno che ormai da parecchie notti la rendeva protagonista di una storia avvenuta cinque secoli prima, in quegli stessi giorni dell’anno e in quegli stessi luoghi. Le immagini dei sogni scorrevano nella sua mente durante il sonno come le scene di un romanzo a puntate. Erano talmente nitide che Lucia si impersonava СКАЧАТЬ