E Non Vissero Felici E Contenti. Federica Cabras
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Название: E Non Vissero Felici E Contenti

Автор: Federica Cabras

Издательство: Tektime S.r.l.s.

Жанр: Драматургия

Серия:

isbn: 9788873043843

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      «Fanculo, abbassa questa merda!»

      «Muori, maiale!» disse lei. Era mezzanotte ma aveva gli occhiali da sole. Muoveva la testa a ritmo di canzone e aveva chiuso gli occhi. Quella canzone parlava di amore e speranza; ascoltarla portava un po’ di luce nel buio di una vita vuota, senza senso.

      «Eccheccazzo, sei sempre la solita stronza!»

      «Senti,» disse lei, poco convinta «ti ho procurato la dose, sai? Quindi che vuoi da me? Minimo mi fai sentire la canzone di che cazzo mi pare…» concluse, perentoria.

      Lui mise il muso, ma lei non se ne curò.

      «Merda, c’è un cazzo di animale nella strada!»

      «Frena!» urlò lei, in preda al panico.

      Ma non ci riuscirono. Investirono quella carcassa scura. Poi, con un botto, si fermarono e scesero dalla macchina per vedere.

      Nessuno li avrebbe potuti preparare per quello che avevano davanti.

      Ester vomitò l’anima e litri di alcol su quei due corpi martoriati.

      Gli occhi di Sandi erano aperti, vuoti, freddi e la testa, girata sul lato destro, era piena di sangue. Eddie era riuscito a chiudere gli occhi, prima di frantumarsi nell’asfalto di quella strada poco trafficata. Gli arti di ambedue formavano angoli irregolari.

      «Chia, chia… Chiama… Chiama qualcuno!»

      «Ester, qui ci vuole un carro funebre.»

      «Non mi importa chi diavolo vuoi chiamare, Miguel! Chiama qualcuno… Oddio, oddio…»

      Pianse a dirotto, chinata su se stessa.

      Ancora non sapeva che quell’immagine l’avrebbe accompagnata per il resto della sua vita; non sapeva nemmeno che quella strada coincidenza degli eventi l’avrebbe salvata.

      *

      Arrivò un mare di agenti, paramedici e medici. A Ester venne data una coperta mentre Miguel giaceva svenuto in un’altra ambulanza. Ma nessuno si stupì di quel macabro ritrovamento. I corpi vennero chiusi in un telo di plastica scura e spediti all’obitorio.

      Qualche giorno dopo Ester e Miguel si fecero una promessa: che quello fosse un nuovo inizio. Soprattutto dopo aver scoperto la verità.

      PARTE PRIMA

      Si dica ciò che si vuole! Il momento più felice di chi è felice è quando si addormenta, come il momento più infelice di chi è infelice è quando si risveglia.

       Arthur Schopenhauer

      1

      Sandra Alti era una bella donna – di quelle belle donne che rimangono impresse nella mente di chi le trova nel suo cammino. Non aveva quella bellezza perfetta – stile Barbie, con capelli platino, occhi cielo e fisico asciutto – ma sapeva produrre invidia nelle donne ed eccitamento negli uomini. Procace e seducente, maliziosa in sguardi e frasi, mai ingenua – anche se sapeva fingere bene, il più delle volte, di esserlo… se non altro per attirare su di sé ancora più ammirazione – sapeva nascondere il suo egoismo dietro frasi di circostanza e finto interesse. Era sempre stata una prima donna, e mai e poi mai avrebbe ceduto trono, scettro e corona a qualcun’altra. Se non ti ascoltava non era mai perché era un po’ sorda – come talvolta sosteneva, seppur con poca convinzione, al fine di rendere le cose meno evidenti – ma perché semplicemente o non le interessavi tu o non si curava di ciò che avevi da dire. Le sue armi – infallibili e precise – erano un’estrema autostima – nessuno mai avrebbe potuto farle pensare che non valeva; chiunque ci avesse, in passato, provato, era finito in un bar malconcio a bere sulla sua stupidaggine – e un Gucci sui polsi. Non aveva un lavoro molto soddisfacente – faceva l’imballatrice presso una grossa azienda di giochi per bambini – ma aspettava, di continuo e senza mai perdere di vista l’obiettivo, la sua occasione come scrittrice. Erano anni che provava a scrivere; aveva iniziato una favola, un romanzo e un bel paio di racconti per bambini, tuttavia, puntualmente, si ritrovava a chiudere il PC e a tornare alle faccende domestiche. Le mancava quel non so che necessario per trovare l’idea vincente. Non si sarebbe arresa – «Mai!» aveva giurato a se stessa, qualche inverno prima – ma per ora si limitava a svolgere una vita annoiata e disinteressata. Suo marito Edmund Bellavista, per tutti Eddie, del resto aveva smesso di prenderla sul serio: lei non avrebbe nemmeno saputo dire perché, ancora, dopo tutti quegli anni, fossero ancora sposati, visto che l’interesse era finito da un pezzo.

      Era proprio a questo che pensava, in quell’umida mattina di fine aprile, mentre, in mano un bicchiere di vino bianco, faceva un bagno caldo nella vasca a idromassaggio.

      Pensava a quanto fosse infelice la sua esistenza. Una grande casa e due estranei che vi abitavano. Nulla di nuovo, nulla di speciale… nulla e basta. Il bagno, nei suoi colori tenui, era il luogo adatto per riflettere sul senso della vita. Un senso che, tuttavia, ora a lei sfuggiva: «Perché continuare a fingere?» concluse, stancamente. Poi pensò allo stipendio di lui – di netto superiore al suo – e tutte le soluzioni le giunsero al cervello annacquato di acqua e profumi per bagno.

      «Sono a casa!» urlò Eddie, dal piano inferiore. Lanciò la borsa nella poltrona e si diresse in cucina. Nessuna risposta, ma ci era abituato. Solo cercava di avvisarla quando entrava in quella casa che era di entrambi; se non altro per non far succedere quello che era capitato qualche tempo prima.

      Era stata una giornata faticosa in ufficio, ma era riuscito a terminarla in modo più indolore possibile. Non aveva avvisato Sandi che stava rientrando: solitamente quando faceva tardi dormiva da Sergio, suo amico e compare, ma quest’oggi, liquidata la sua solita proposta si era diretto verso casa. Aveva bisogno di un bel bagno e del suo letto.

      Entrò in casa cercando di non fare rumore e si diresse verso il frigo bar. Prese una bottiglia di Montenegro e ne versò una quantità generosa in un bicchiere pesante di vetro, con quattro cubetti di ghiaccio. Poi si stravaccò nella poltrona verde del salotto, non prima di aver sbattuto sonoramente un ginocchio nel tavolino in vetro dinanzi a sé. Pochi minuti dopo fecero irruzione in casa sua due poliziotti. Fu allora che Sandi, pallida e nervosa, fece capolino dalla scala. Era furioso.

      «Ora non posso nemmeno entrare quando mi pare in casa mia, Sandi? Vuoi sbattermi fuori?» domandò, stizzito.

      «No, è che io…», lei non riuscì a terminare la frase. Si sentiva sciocca, in quel momento. Ora capiva. Certo: un ladro non avrebbe fatto tutto quel trambusto.

      «Agenti, è mio marito, potete andare…» aggiunse, imbarazzata.

      Uno degli agenti ci mise un secondo a digerire l’informazione, e Eddie capì subito perché. Sandi aveva una vestaglia in pizzo e la biancheria, rosso fuoco, brillava al di sotto. Non si era struccata dalla sera precedente, e la sua bellezza rifulgeva di luce propria, in quella scala buia.

      «Fuori, per favore… vorrei discutere con mia moglie.» sbottò nervosamente enfatizzando, forse in modo eccessivo, la parola “moglie”.

      «Ci scusi… arrivederci.»

      «Che diavolo hai indosso? C’è un altro uomo, su con te?»

      «Che diavolo dici? La metto per sentirmi sexy, dato che tu non sei capace di darmi questa semplice soddisfazione.»

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