In faccia al destino. Albertazzi Adolfo
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Название: In faccia al destino

Автор: Albertazzi Adolfo

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ mentre io e il Biondo stavamo alla posta delle anitre, e non pensavamo che alle anitre, quel bel matto lì (e accennava a me) era spesso colla testa nelle nuvole e metteva giù lo schioppo per guardare al libro che portava in tasca. Una bella maniera d'andare a caccia! Non si sarebbe accorto d'un rinoceronte quando leggeva. Ma un giorno che ritornavamo in barca – era d'autunno inoltrato – io gli prendo il libro e glielo scaravento in mezzo all'acqua. Cosa fa lui? Spicca un volo e gli va dietro alla pesca.

      – Non fu così – interruppi fiaccamente.

      – Così! Proprio così! Il Biondo è ancor vivo e sano, e sebbene sia il tuo fittavolo, adesso, è un galantuomo capace di testimoniare la verità… Bene! noi sudammo a pescar lui, l'amico; lo tirammo su sporco e fracido come si meritava; e con la tremarella addosso. Io gli davo quanti pugni potevo, più per sfogare la rabbia che m'era venuta che per mantenergli la circolazione del sangue, e Sivori, lo credereste?, si lamentava: – Il mio libro!.. Il mio libro… Non ho capito una cosa!.. – Non vi dico altro! Quasi quasi si era affogato solo perchè non aveva capito una cosa!

      – Non è vero! – brontolai. – Era un'edizione pregevole…

      Nessuno mi badò. Ridevano tutti, e più di tutti rise il piccolo Mino, che era venuto in cerca di me. Non desiderando di meglio che sottrarmi alla filosofia del buon senso, chiesi al ragazzo che cosa voleva.

      – Se mi comperi i burattini, ti racconto una bella favola.

      Ripigliò Moser: – Sublimi poi erano le discussioni col Biondo falegname! Sivori sosteneva che ammazzare una quaglia era uno strappo all'anima universale, come diceva lui; il Biondo invece sosteneva che Domineddio non avrebbe creato le quaglie se non dovessero essere mangiate arrosto. Avevano così diversi punti di vista che Sivori con cinquanta colpi non strappava nulla, e il Biondo – lo confesso, lo ripeto – tirava meglio di me! Ma le quaglie chi le mangiava? chi le gustava di più? Ah quei bocconcini di anima universale! Altro che Spinoza eh, Sivori?

      Risero di nuovo. Finchè Mino tirandomi per la giacca mi forzò ad appartarmi con lui in un angolo. Ivi solennemente prese a raccontare:

      – «Castelli in aria»… Beppe andava per il bosco.

      Intanto udivo Learchi sentenziare, vuotato il bicchiere:

      – La filosofia sta nel seguir la volontà di Dio, ricordandosi però che lui dice: «Aiutati che t'aiuto!»; e quando la coscienza è tranquilla, tutto va bene a questo mondo!

      – Il mondo bisogna farselo! – ribatteva Moser. – Farsi una, famiglia; lavorare per la propria famiglia e non pensare ad altro!

      – Io sono fatalista – avvertiva il cavalier Fulgosi. – «Sua ventura ha ciascun dal dì che nasce…»

      Tratto dall'astuccio il piccolo pettine, il cavaliere si pareggiò i baffi, si mirò allo specchietto; poi aggiunse che io ero uno di quelli nati apposta per far camminare il mondo.

      – Senza filosofia, caro signor Learchi, il mondo non camminerebbe. È la scienza delle scienze, che innalza l'umanità. Excelsior!

      – Il mondo andrebbe benone lo stesso! – urlava Learchi. – Religione, fede per sopportare i guai; e basta!

      Mino tornò da capo:

      – … Beppe andava per il bosco, e trovò un pulcino. Lo portò a casa e lo mise a dormire nella stoppa. Beppe diceva: Quando il pulcino sarà grande, diventerà una gallina; e la gallina farà le ova e comprerò un'agnellina. E l'agnellina diventerà una pecorina, e la pecorina farà le ova…

      Le ova della pecorina? Mi sovvenne delle mie opere. Il pulcino morto nella stoppa della scienza? Il mio ingegno!.. Questa, questa, o esimio cavalier Fulgosi, questa è la morale della favola!

      … Non mi sarei dunque stancato mai d'interporre sempre, da per tutto, la mia accidia? Con stento ero entrato là nel salotto a udir parlar di me; con stento ascoltavo il ragazzo…; ma appunto perciò avrei dovuto avvertire un risveglio nella mia volontà. In me c'era già stato qualche mutamento notevole. Non seguirebbe questi mutamenti, sebbene lievi, una riscossa dell'anima? Come in un barlume riflettei su le mie impressioni e le mie azioni dei giorni innanzi.

      Già Mino era riuscito a farmi guardar il mondo attraverso un vetro color rosa e a farmi dire con lui che così il mondo era più bello; mi aveva costretto a inventare e a narrargli una favola, che ora ricambiava con: «Castelli in aria» e con le ova della pecorina. Già la timida Marcella mi aveva veduto salir più spesso a trovar la madre e a sorprender lei nell'ansietà delle faccende domestiche, la cui importanza ironicamente esageravo. Ortensia poi aveva ripresa con me tutta la confidenza d'un tempo, di quando era la mia «piccola amica». Ah se avessero potuto immaginare che fatica mi costava tutto ciò! Ma intanto io mi domandavo perchè non approfitterei del loro aiuto a ricuperare il dominio della mia volontà. Volli restar con Mino; volli vedere che facevano gli altri… Mi affacciai alla porta della sala dove la signora Fulgosi cominciava a tempestar un waltzer sul pianoforte; le ragazze e i giovani le facevan chiasso d'intorno. Quand'ecco tonò una voce gioconda.

      Era l'ingegnere preposto da Moser a dirigere la fabbrica di laterizi.

      – Arrivo! Pazienza! – egli rispose alle voci che lo chiamavano.

      Ma prima corse a consegnar delle carte a Moser, a dargli notizie, a prender ordini. Di sulla porta io l'osservavo.

      L'ingegner Roveni quando parlava d'affari era parco nelle parole, immobile, attento. Aveva risposte pronte. L'antipatia che mi separava da tutti gli estranei non poteva resistere contro di lui; anzi dal primo giorno che l'avevo visto non mi era spiaciuto quel giovane dalla fisionomia decisa: non bella per il naso breve un po' all'insù, ma abbellita da due folti baffi biondi; e dalla persona robusta e a mosse un po' dure, quasi di macchina non ben levigata e non in piena attività, eppure in un perfetto equilibrio di tutte le forze alla regola dell'arbitrio. Per una inesplicabile contraddizione non mi spiaceva quell'uomo, ambizioso, si vedeva, fin dal modo di camminare.

      Passandomi accanto egli mi salutò con un franco:

      – Buona sera, dottor Sivori! – e andò difilato a prender Anna Melvi per ballare il waltzer.

      Io mi riaccostai agli uomini seri.

      – Che fibra! – disse Claudio, che ora parlava di Roveni. – Tutto il giorno lavora per me e la notte studia per sè.

      Aggiunse che Roveni s'occupava con passione in studi d'elettricità.

      Quindi disse:

      – Io penso con dolore al giorno che dovrà abbandonarmi.

      Una risposta mi venne al pensiero e alle labbra: – «Hai un mezzo molto semplice per trattenerlo: dagli in moglie una delle tue figliole».

      Ma sarebbe stato come dire a uno che possegga un tesoro: – dallo al tale – , o almeno sarebbe stato come proporre un sacrificio intempestivo; perchè nel sereno egoismo del suo amor famigliare, Moser non s'era ancora accorto che le figliole pervenivano all'età da marito. Perciò tacqui.

      E feci bene. Rientrando poco dopo nella sala dove ballavano, scorsi d'improvviso che la maggiore delle sorelle Moser e la più adatta al Roveni (il quale era sui ventotto anni), aveva già disposto del suo cuore.

      Sì: la timida Marcella… con Guido Learchi… Mentre con Roveni ballava Anna Melvi e Ortensia con Pieruccio Fulgosi, Marcella e Guido si dicevano meno parole con le labbra che cogli occhi; vedevano СКАЧАТЬ