In faccia al destino. Albertazzi Adolfo
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Название: In faccia al destino

Автор: Albertazzi Adolfo

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ paradiso terrestre, offende me!

      Mino chiese: – Babbo, chi è Spinoza?

      Claudio lo conosceva solo di nome; tuttavia rispose pronto e feroce:

      – È un bravomo senza giudizio come Sivori! Se diventassi uno Spinoza anche tu, ti strozzerei! E voi, – aggiunse rivolto alle figlie – perchè dimenticate la consegna di non lasciare a Sivori un minuto di quiete? Tormentatelo, talpe!; fategli tutte le birichinate che vi verranno in mente!..

      Marcella si scusò dicendo che temevano disturbarmi. Più ardita, Ortensia mi fissò un istante e promise che lei e Mino mi avrebbero scovato da per tutto e me ne avrebbero fatte delle belle.

II

      La mattina dopo mi incamminavo al di là del cancello per la via montana a cercar un nuovo e più sicuro nascondiglio. Ma troppo tardi! Ortensia mi raggiunse di corsa.

      – Andiamo a salutare Giovannin?

      Andammo là, presso il muricciolo di fronte alla villa, dove ogni mattina Giovannino il cieco veniva, con lo sgabelletto sotto il braccio, l'organetto in una mano e il bastone nell'altra. Ivi, accanto al muro, sedeva ad aspettare l'elemosina mentre riprendeva dallo sfiatato strumento l'«addio, mia bella, addio!»; e intanto borbottava e sorrideva, nessuno sapeva a chi.

      Per gli occhi aperti e immoti non vedevano le spente pupille; non aspetto di cielo e di campagna o di persona tornava alla memoria di quel povero diavolo. Giovannin sorrideva, ma d'un sorriso cieco anch'esso, come per una insistente contrazione delle labbra, o per ebetudine; finchè non sopravvenivano i monellacci. Allora, giù l'organetto e su il bastone! S'alzava in piedi, ad armarsi anche dello sgabelletto, quando i nemici l'assalivano troppo da presso; e alle beffe rispondeva con parole oscene, che anch'egli aveva apprese. Senza dubbio però quell'omicciattolo dalle gambe rachitiche e storte, dalla testa enorme, su cui non bastava il cappello elemosinato, dalla fronte nera di schianze per botte contro i muri, dal dorso informe nel gabbano non proprio, dai piedi perduti in mostruose scarpe, quel miserabile aveva talvolta consolazioni per le quali sorrideva in altro modo, con un barlume di pensiero e di sentimento.

      Ortensia gli chiese:

      – Sai chi sono?

      Subito egli, tutt'allegro:

      – Ortensia di Claudio!

      Fin da bambine Ortensia e Marcella gli recavano i dolci e le frutta.

      – Mi vuoi bene?

      – Come a Dio!

      La ragazza ruppe in una risata esclamando: – Troppo! troppo! – Ma quel troppo rispondeva a una elemosina più copiosa del solito.

      Scambiate poche altre parole col cieco, Ortensia mi chiese:

      – Va a spasso?

      – Sì.

      – Buona passeggiata!

      Nient'altro ella disse; non dimostrò intenzione d'accompagnarmi, nè fece alcun accenno alle raccomandazioni paterne della sera innanzi. Fosse nel suo contegno delicatezza spontanea, o suggerita dalla madre, le scorsi in viso il sincero augurio che la passeggiata mi facesse bene. Quasi che camminando io potessi fuggir da me stesso!; quasi che io potessi non riferir la mia miseria a ogni cosa che trattenesse il mio sguardo, a ogni persona che incontrassi! Mi confrontavo a Giovannino. Ero forse men cieco di lui io che vedevo senza lume di ragione l'infinito universo e nell'infinito universo vedevo senza un perchè l'atomo del mio corpo, l'attimo della mia esistenza? Ma Giovannin almeno or s'adirava, or sorrideva. Io invece non sentivo nulla, più nulla! Oh, non potendo amare, se avessi potuto odiare! Odiare con la voluttà del despota che uccide e distrugge, con lo scherno del misantropo che nega ai credenti e agli illusi la possibilità d'esser felici! Odiare il gregge matto che pasce e si riproduce nei pascoli opimi o fra i triboli, e bela invocazioni alla felicità! Odiare l'umanità che trovò il telegrafo e perdè Dio; che rintraccia bacilli mortiferi e patisce il raffreddore; che proclama fratellanza e perfeziona la guerra; che va in chiesa e s'uccide per amore; che scrive poemi e pute!

      Ma neanche odiare potevo! Nulla! Per me al mondo non c'era più nulla! Solo quel vuoto enorme entro di me… – Buona passeggiata! – Voleva forse l'augurio che divagassi lo sguardo per i noti luoghi e ricuperassi altri ricordi?

      Ebbene: mentre salivo alla strada dell'antico convento, sulla porta della prima casupola, trovai, di poco mutata, la pallida fanciulletta che un giorno, con gli occhi nel mistero, m'aveva dimandato: – Li fa la gatta i gattini?

      Ed ecco da questo ricordo derivarne, non so come, un altro: di una faccia puerile anche più pallida. Era tra le memorie della mia gaia vita di studente l'impressione che provai un giorno, quando su la tavola anatomica vidi un compagno spolpare le gambe d'un bambino. Tranquillamente m'ero esercitato in più d'un cadavere… Eppure la vista di quel bambino… che impressione! Or dunque ascoltai se questo ricordo mi rinnovasse il senso penoso di quell'impressione antica. No. Rimase un ricordo del tutto mentale; non sentivo più nulla; e la pallida ragazzetta, riconoscendomi, stupì che non le dicessi nulla.

      – Buona passeggiata! – Poco oltre, a una seconda casupola, intravvidi il calzolaio socialista, che, un giorno, alla mia richiesta se pensasse di non dover più tirar lo spago nella sua repubblica sociale, aveva tratto dalle ginocchia una logora ciabatta, e mostrandomela aveva risposto:

      – Invece che rappezzare di queste, cuciremo scarpe nuove!

      Così il ciabattino concepiva le sorti progressive dell'umanità! Ma a rivederlo, ecco un altro ricordo: nelle sorti progressive dell'umanità io ci avevo creduto più di lui! Una fede più grande io avevo avuta!

      Ah i bei tempi quando dallo studiare il male in questo o in quell'uomo ero risalito a studiar la vita di tutti gli uomini; dalla medicina alla storia, dalla storia all'antropologia, alla biologia, alla psicologia, etcetera, e avevo distrutto dei e religioni, filosofi e sistemi, per conquistare positivamente Dio!

      Bei giorni anche quando avevo visto morire i miei con sereno dolore, con nobile rassegnazione alla necessità della vita!

      Bei giorni quando la morte non mi faceva ancora ombra all'amore e delle donne amate per brev'ora non scorgevo lo scheletro, non mi chiedevo perchè e come era viva la carne che ne rivestiva lo scheletro!

      Chi mi avrebbe mai detto in quei tempi di fede: Verrà il dì che proverai in te un male a cui non basteranno le docce, da te consigliate adesso a chi non ha la tua fede! – Altro che nervi esausti! Il cuore, il cuore era esaurito; e non di sangue; e a tal punto che…

      Meglio ridere!

      Al bivio presi la via del monte. Ci rividi Martino, cenciaiuolo e merciaiuolo, che scendeva con la biroccia e l'asino. Dei due, chi mostrava più segni del tempo trascorso nella mia assenza, non era l'asino, era Martino. Aveva la barba bianca e camminava curvo; non come una volta a lato alla biroccia, ma dietro. L'asino invece, tale e quale: nel pelo, nell'andatura, in tutto. E dei tre, il cenciaiuolo, l'asino ed io, chi più invecchiato? Io! Ma che cosa mai aveva meritato o demeritato dalla sorte in quei due anni l'onesto Martino? Così invecchiato mi appariva, che non potei non interrogarlo.

      – Nessuno al mondo è felice come voi! – io gli dissi per ridere, per divagarmi.

      Mi guardò e rise lui per rispetto; chè alle canzonature degli eguali rispondeva in altro modo.

      – No? – continuai. – Vostra moglie non sta bene?

      – Bene; grazie СКАЧАТЬ