La città del re lebbroso. Emilio Salgari
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Название: La città del re lebbroso

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ delle intenzioni del re a mio riguardo?»

      «Brutte nuove,» disse il dottore. «Voi dovete avere dei nemici potenti che esigono la vostra completa rovina. Ho saputo che il re è furibondo per la morte dell’ultimo S’hen-mheng

      «Che cosa mi consigliate di fare?» chiese Lakon-tay, con voce cupa.

      «Lottare sempre per la vostra riabilitazione.»

      «Se io facessi una denuncia al re sull’avvelenamento del S’hen-mheng

      «Chi vi crederebbe?»

      «È vero,» rispose il generale.

      «Anche se io appoggiassi la vostra denuncia, vi tratterebbero da pazzo o da visionario.»

      «Che cosa farà il re?»

      «Lo ignoro, ma temo che la vostra disgrazia, per ora, sia completa. Anche il popolo v’incolpa della morte del S’hen-mheng

      «Sarebbe stato meglio che voi mi aveste lasciato morire,» disse Lakon-tay, facendo un gesto di sconforto supremo.

      «E Len-Pra?»

      «Sì, è vero; perdonate, signore; sono stato ingrato, pronunciando quelle parole in vostra presenza.»

      Il quel momento un colpo di tam-tam echeggiò nella via, ripercuotendosi sulla veranda.

      Qualcuno, certo qualche personaggio importante a giudicarlo dalla violenza del colpo, aveva percosso la lastra di bronzo sospesa sulla porta della phe.

      Lakon-tay trasalì.

      «Chi può essere?»

      «Un paggio del re,» disse in quel momento Feng, entrando. «Ha recato per voi, mio signore, questo messaggio.»

      Nelle mani teneva un cartone di dimensioni enormi, d’un metro quadrato per lo meno, come usano i Cinesi, con delle lettere monumentali tracciate in oro. Ai due lati superiori erano disegnati due elefanti ed a quelli inferiori due figure che rappresentavano Sommona Kodom.

      «Un messaggio del re!» esclamò il generale, facendosi scuro in viso. «Annuncia la mia disgrazia?»

      «Leggete,» disse il dottore.

      «È un invito per assistere alla cremazione del S’hen-mheng,» disse Lakon-tay.

      «Che la collera del re si sia calmata?» chiese il medico.

      «Comincio a crederlo, giacché m’invita a prendere posto nella tribuna reale, assieme a mia figlia ed al portatore della mia scatola.

      Dottore, verrete con me, è vero? Già Len-Pra non ama assistere alle cremazioni.»

      «Quando si farà?»

      «Fra due ore, al tramonto del sole.»

      «È uno spettacolo che merita di essere veduto,» rispose l’europeo. «Accetto il vostro gentile invito. Che il re voglia parlarvi?»

      «Vedremo, signore. Questo messaggio reale mi pare di buon augurio,» disse Lakon-tay, il cui viso si era rasserenato. «Dottore, andate a prendere il tè con Len-Pra. Mia figlia è felice quando vi vede; la sua riconoscenza verso di voi che mi avete salvato non morrà mai nel suo cuore.»

      Un’ora dopo, Lakon-tay, che aveva indossato il costume di gala tutto in seta gialla a fiori e ricamata in oro, stretto alla cintura da una larga fascia che reggeva la catana, e l’italiano lasciavano la phe su due palanchini portati da otto robusti schiavi, preceduti da due servi che portavano l’uno la scatola d’oro, contenente il betel del generale, e l’altro un ombrello rosso, con granfe d’oro, distintivo che il re concede solamente ai grandi del regno.

      I ricchi Siamesi e così pure i Birmani e anche i Tonchinesi non escono mai senza il portatore della scatola contenente il betel, del cui miscuglio sono avidissimi, e neppure senza il portatore d’ombrello. Sono distintivi di nobiltà, che dànno loro il diritto di farsi largo dovunque.

      Procedendo di corsa, gli schiavi giunsero ben presto nei pressi del palazzo reale, dinanzi a cui, su una piazza immensa che si stendeva fino alla riva del Menam, doveva essere cremato il corpaccio del sacro elefante.

      Una folla enorme aveva già occupato la piazza, pigiandosi contro le logge destinate ai grandi dello stato e alla corte reale che erano state costruite durante la notte da migliaia e migliaia d’operai.

      Nel mezzo era già stata eretta la pira, una gigantesca piramide quadrilatera, mozza alla cima, che si alzava per ben cinquanta metri, formata da enormi tronchi d’albero, congiunti fra loro da anelli di ferro coperti di carta dorata. Da ogni lato della piramide si staccava un’ala lunga tredici metri e diretta verso uno dei quattro punti cardinali, che si congiungeva ad un’altra torre, eguale nella forma a quella centrale, ma di più modeste proporzioni.

      Diciotto parasoli, di seta gialla con frange d’oro, donati dal re al S’hen-mheng quando era ancora in vita e che rappresentavano altrettanti titoli di nobiltà, circondavano la piramide, mentre la bandiera reale sventolava sul padiglione scarlatto dell’elefante bianco.

      I Siamesi nelle loro cerimonie funebri spendono somme enormi, e le cremazioni dei grandi e dei re o delle principesse di sangue reale si fanno con un sfarzo inaudito.

      Basti dire che la sola cremazione della moglie di Tian-fa, annegatasi accidentalmente nel Menam il 31 novembre 1882, costò la bagatella di cinquecentomila sterline!

      I due palanchini portanti il generale ed il dottore, sempre preceduti dai due portatori della scatola d’oro e dell’ombrello, si apersero un solco fra quella folla che i soldati a stento trattenevano, distribuendo senza misericordia vergate tali da strappare urla di dolore, e giunsero finalmente sotto una delle logge che era già stata invasa da parecchi dignitari colle loro famiglie.

      Lakon-tay, un po’ commosso, salì la gradinata, seguito dal dottore e dai due portatori, e prese posto dietro le file dei dignitari. La sua comparsa produsse però un profondo effetto fra quegli orgogliosi mandarini, che lo credevano ormai completamente liquidato. Vi furono esclamazioni di stupore, sussurrii poco benevoli e nessun saluto.

      Anzi, i più vicini lasciarono i loro posti, come se temessero di venire contaminati dall’assassino del sacro elefante.

      Lakon-tay, assai turbato ed immerso in tristi pensieri, fortunatamente non si accorse di quelle dimostrazioni ostili. Egli aveva subito fissato gli occhi sulla loggia reale, dove, sotto un baldacchino di seta gialla con lunghe frange, circondato da ombrelli altissimi colle aste d’oro ed a più ordini, se ne stava seduto il re, fra i principi e le principesse di sangue reale.

      Il potente monarca non indossava, come il giorno innanzi, l’incomodo costume delle grandi occasioni; anzi, mentre i principi ed i dignitari facevano sfoggio di vesti ricamate d’oro e di perle e di decorazioni sfolgoranti di diamanti e rubini, portava una semplice veste di seta grigia, senza guarnizioni, stretta alla cintura da una fascia di seta azzurra, sostenente una corta sciabola in forma di scimitarra.

      Phra-Bard pareva fosse di cattivo umore e rimaneva immobile sulla sua poltrona dorata, senza porgere orecchio a ciò che gli dicevano i ministri ed i principi.

      Solamente, di quando in quando, allungava la destra verso la grande e ricchissima scatola d’oro che aveva sul coperchio lo stemma reale in rubini, per prendere qualche pizzico di betel.

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