Alla conquista di un impero. Emilio Salgari
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Название: Alla conquista di un impero

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ mossa fulminea, la statura dell’uomo e più che tutto quel certo fascino misterioso che esercitano quasi sempre gli uomini bianchi su quelli di colore, avevano arrestato lo slancio dei kaltani e di tutti gli altri indù, che stavano per prendere le difese dei loro compatriotti.

      – Uscire o mylord inglese accoppare tutti! – aveva gridato il portoghese.

      Poi, vedendo che i suoi avversari stavano lì immobili, indecisi, lasciò cadere lo scanno, trasse due magnifiche pistole a doppia canna, arabescate e montate in argento e madreperla e senz’altro le spianò, ripetendo:

      – Uscire tutti! —

      Sandokan fu il primo a obbedire. Gli altri, presi da un subitaneo panico e anche per evitare al loro governo, già non troppo ben visto dal viceré del Bengala, delle gravi complicazioni, non tardarono a battere in ritirata, quantunque tutti possedessero delle armi.

      Il proprietario della trattoria, udendo tutto quel baccano, fu lesto ad accorrere impugnando una specie di spiedo.

      – Chi sei tu che ti permetti di guastare i sonni di S. E. il ministro Kaksa Pharaum che abita sopra e che metti in fuga i miei avventori?

      – Mylord, – rispose Yanez con tutta tranquillità.

      – Mylord o contadino t’invito a uscire.

      – Io non avere ancora finita mia cena. Tuoi boy non servire me e io prendere a loro piatti.

      Io pagare e avere per ciò diritto mangiare.

      – Va’ a terminare la tua cena altrove. Io non servo gl’inglesi.

      – E io non lasciare tuo albergo.

      – Farò chiamare le guardie di S. E. il ministro e ti farò arrestare.

      – Un inglese mai avere paura delle guardie.

      – Esci? – urlò il trattore furibondo.

      – No. —

      L’assamese fece atto d’alzare lo spiedo, ma subito indietreggiò fino sulla soglia della porta.

      Yanez aveva impugnate le pistole che aveva deposte sulla tavola e gliele aveva puntate verso il petto, dicendogli freddamente:

      – Se tu fare un solo passo, io fare bum e ucciderti. —

      Il trattore chiuse con fracasso la porta, mentre i kaltani ed i ragiaputra che erano accorsi anche dalle due sale, gridavano:

      – Non lasciamolo scappare! È un pazzo! Le guardie! Le guardie! —

      Yanez era scoppiato in una gran risata.

      – Per Giove! – esclamò. – Ecco come si può procurarci una cena gratuita presso un altissimo personaggio del rajah d’Assam. Me la offrirà, non ne dubito. E Sandokan? Ah! Se n’è andato: benissimo, ora possiamo riprendere il pasto. —

      Tranquillo ed impassibile, come un vero inglese, si era seduto dinanzi ad un’altra tavola sulla quale si trovava un’altra terrina di carri, mandando giù qualche cucchiaiata.

      Non era però giunto alla terza, quando la porta si riaprì con gran fracasso e sei soldati che avevano dei turbanti immensi, delle larghe casacche fiammanti, calzoni amplissimi e babbucce di pelle rossa, entrarono puntando sul portoghese le loro carabine.

      Erano sei pezzi d’uomini, alti come granatieri, e barbuti come briganti della montagna.

      – Arrenditi, – gli disse uno di loro che aveva piantata sul turbante una penna d’avvoltoio.

      – A chi? – chiese Yanez, senza cessare di mangiare.

      – Noi siamo le guardie del primo ministro del rajah.

      – Dove condurre me mylord?

      – Da S. E.

      – Io non avere paura di S. E. —

      Si rimise nella cintura le pistole, si alzò con tutta flemma, depose sul tavolo un gruzzoletto di rupie pel taverniere e s’avanzò verso le guardie, dicendo:

      – Mylord degnare S. E. di vedere me grande inglese.

      – Da’ le armi, mylord.

      – Io non dare mai mie pistole: essere regalo di graziosissima regina Vittoria mia amica, perché io essere grande mylord inglese.

      Io promettere non fare male a ministro. —

      Le sei guardie si interrogarono cogli sguardi, non sapendo se dovevano forzare quell’originale a consegnare le pistole; ma poi, temendo di commettere qualche grossa corbelleria, trattandosi di un inglese, lo invitarono senz’altro a seguirli presso il ministro.

      Nella vicina sala s’erano radunati tutti gli avventori, pronti a prestare man forte alle guardie del ministro.

      Vedendolo comparire, una salva d’imprecazioni lo accolse:

      – Fatelo impiccare!

      – Gettate dalla finestra l’inglese!

      – È un ladro!

      – È un furfante!

      – È una spia! —

      Yanez guardò intrepidamente quegli energumeni, che facevano gli spavaldi perché lo vedevano fra sei carabine e rispose alle loro invettive con una clamorosa risata.

      Uscite dalla trattoria, le guardie entrarono in un vicino portone e fecero salire al prigioniero una marmorea gradinata che era illuminata da un lanternone di metallo dorato, in forma di cupola.

      – Qui abitare ministro? – chiese Yanez.

      – Sì, mylord – gli rispose uno dei sei.

      – Io avere fretta cenare con lui. —

      Le guardie lo guardarono con stupore; ma non osarono dire nulla.

      Giunti sul pianerottolo lo introdussero in una bellissima sala, arredata con eleganza, con molti divanetti di seta fiorata, grandi tende di percallo azzurro e leggiadri mobili, leggerissimi ed incrostati d’avorio e di madreperla.

      Uno dei sei indiani s’appressò ad una lastra di bronzo sospesa sopra una porta e la percosse replicatamente con un martelletto di legno.

      Il suono non erasi ancora dileguato, quando la tenda fu alzata ed un uomo comparve, fissando subito i suoi occhi, più con curiosità che con stizza, su Yanez.

      – S. E. il primo ministro Kaksa Pharaum, – disse una delle guardie. – Saluta.

      – Aho! – fece Yanez, togliendosi il cappello e porgendo la destra, come per stringere la mano al potentissimo ministro.

      Kaksa Pharaum era un uomo sui cinquant’anni, piccolo, magro come un fakiro, colla pelle assai abbronzata, il naso adunco come il becco degli uccelli da preda, che si nascondeva in buona parte entro una foltissima barba che gli saliva fino quasi agli occhi.

      Aveva deposto il ricco costume di corte, perché indossava СКАЧАТЬ