L'innocente. Gabriele D'Annunzio
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Название: L'innocente

Автор: Gabriele D'Annunzio

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ tra me e mia madre, e si gittò nelle mie braccia, sul mio petto, abbandonandosi con tutto il suo peso, sussultando come se singhiozzasse. Ella rideva, invece, un poco soffocata dall›ansia; e, come ella non portava busto, le mie mani la sentirono tutta esile e pieghevole a traverso la stoffa, il mio petto la sentì tutta palpitante e morbida, le mie nari aspirarono il profumo dei suoi capelli, i miei occhi rividero sul suo collo il piccolo segno bruno.

      – Ho avuto paura – ella diceva interrottamente, ridendo e ansando – ho avuto paura di cadere.

      E, come ella arrovesciava la testa verso mia madre per guardarla, senza staccarsi da me, io scorsi un poco della sua gengiva esangue e il bianco degli occhi e qualche cosa di convulso in tutto il viso. E conobbi che tenevo fra le braccia una povera creatura inferma, profondamente alterata dall›infermità, con i nervi indeboliti, con le vene impoverite, forse insanabile. Ma ripensai la sua trasfigurazione in quella sera del bacio inaspettato; e l›opera di carità e d›amore e d›ammenda, a cui rinunziavo, ancóra una volta m›apparve bellissima.

      – Conducimi tu alla poltrona, Tullio – ella diceva.

      Sostenendola col mio braccio alle reni, io la condussi piano piano; l›aiutai ad adagiarsi; disposi su la spalliera i cuscini di piume, e mi ricordo che scelsi quello di tono più squisito perché ella vi appoggiasse la testa. Anche, per metterle un cuscino sotto i piedi, m›inginocchiai; e vidi la sua calza di colore gridellino, la sua pianella esigua che nascondeva poco più del pollice. Come in quella sera, ella seguiva tutti i miei movimenti con uno sguardo carezzevole. E io m’indugiavo. Accostai un piccolo tavolo da tè, sopra ci posai un vaso di fiori freschi, qualche libro, una stecca d’avorio. Senza volere, mettevo in quelle mie premure un po’ di ostentazione.

      L’ironia ricominciò. «Molto abile! Molto abile! È utilissimo quel che fai, sotto gli occhi di tua madre. Come potrà ella sospettare, dopo avere assistito a queste tue tenerezze? Quel po› di ostentazione, anche, non guasta. Ella non ha la vista troppo acuta. Séguita, séguita. Tutto va a meraviglia. Coraggio!»

      – Oh come si sta bene qui! – esclamò Giuliana con un sospiro di sollievo, socchiudendo i cigli. – Grazie, Tullio.

      Qualche minuto dopo, quando mia madre uscì quando rimanemmo soli, ella ripeté, con un sentimento più profondo:

      – Grazie.

      E alzò una mano verso di me, perché io la prendessi nelle mie. Essendo ampia la manica, nel gesto il braccio si scoperse fin quasi al gomito. E quella mano bianca e fedele, che portava l›amore, e l›indulgenza, la pace, il sogno, l›oblio, tutte le cose belle e tutte le cose buone, tremò un istante nell›aria verso di me come per l›offerta suprema.

      Credo che nell›ora della morte, nell›attimo stesso in cui cesserò di soffrire, io rivedrò quel gesto solo; fra tutte le imagini della vita passata innumerabili, rivedrò unicamente quel gesto.

      Quando ripenso, non riesco a ricostruire con esattezza la condizione nella quale mi trovai. Posso affermare che anche allora io comprendevo l›estrema gravità del momento e lo straordinario valore degli atti che si compivano ed erano per compiersi. La mia perspicacia era, o mi pareva, perfetta. Due processi di conscienza si svolgevano dentro di me, senza confondersi, bene distinti, paralleli. In uno predominava, insieme con la pietà verso la creatura che io stava per colpire, un sentimento di acuto rammarico verso l›offerta ch›io stava per respingere. Nell›altro predominava, insieme con la cupa bramosia verso l›amante lontana, un sentimento egoistico esercitato nel freddo esame delle circostanze che potevano favorire, la mia impunità. Questo parallelismo portava la mia vita interna ad una intensità e ad una accelerazione incredibili.

      Il momento decisivo era venuto. Dovendo partire al dimani, non potevo temporeggiare più oltre. Perché la cosa non sembrasse oscura e troppo subitanea, era necessario in quella mattina stessa, a colazione, annunziare la partenza a mia madre e addurre il pretesto plausibile. Era necessario anche, prima che a mia madre, dare l›annunzio a Giuliana perché non accadessero contrattempi pericolosi. «E se Giuliana prorompesse, alfine? Se, nell›impeto del dolore e dello sdegno, ella rivelasse a mia madre la verità? Come ottenere da lei una promessa di silenzio, un nuovo atto di abnegazione?» Fino all›ultimo io discussi, dentro di me. «Comprenderà sùbito, alla prima parola? E se non comprendesse? Se ingenuamente mi chiedesse la ragione del mio viaggio? Come risponderei? Ma ella comprenderà. È impossibile che ella non abbia già saputo da qualcuna delle sue amiche, da quella signora Tàlice, per esempio, che Teresa Raffo non è a Roma.»

      Le mie forze cominciavano già a cedere. Non avrei potuto più a lungo sostenere l›orgasmo che cresceva di minuto in minuto. Mi risolsi, con una tensione di tutti i miei nervi; e, poiché ella parlava, desiderai che ella medesima mi offrisse l›opportunità di scoccare la freccia.

      Ella parlava di molte cose specialmente future, con una volubilità insolita. Quel non so che di convulso in lei, già da me notato prima, mi pareva più palese. Io stavo ancóra in piedi, dietro la poltrona. Fino a quel momento avevo evitato il suo sguardo movendomi ad arte per la stanza, sempre dietro la poltrona, ora occupato a fermare le tende della finestra, ora a riordinare i libri nella piccola scansia, ora a raccogliere di sul tappeto le foglie cadute da un mazzo di rose disfatto. Stando in piedi, guardavo la riga dei suoi capelli, i suoi cigli lunghi e ricurvi, la lieve palpitazione del suo petto, e le sue mani, le sue belle mani che posavano su i bracciuoli, prone come in quel giorno, pallide come in quel giorno quando «soltanto le vene azzurre le distinguevano dal lino».

      Quel giorno! Non era trascorsa neppure una settimana. Perché pareva dunque tanto remoto?

      Stando in piedi dietro di lei, in quella tensione estrema, come in agguato, io pensai che forse ella sentiva per istinto sul suo capo la minaccia; e credetti indovinare in lei una specie di vago malessere. Ancóra una volta mi si strinse il cuore, intollerabilmente.

      A un punto, infine, ella disse:

      – Domani, se starò meglio, tu mi porterai su la terrazza, all’aria…

      Io interruppi:

      – Domani non sarò qui.

      Ella si scosse al suono strano della mia voce. Io soggiunsi, senza attendere:

      – Partirò.

      Soggiunsi ancóra, con uno sforzo per snodare la lingua, raccapricciato come uno che debba iterare il colpo per finire la vittima:

      – Partirò per Firenze.

      – Ah!

      Ella aveva compreso a un tratto. Si volse con un moto rapido, si torse tutta su i cuscini per guardarmi; e io rividi, per quella torsione violenta, il bianco de’ suoi occhi, la sua gengiva esangue.

      – Giuliana! – balbettai, senza sapere che altro dirle, chinandomi verso di lei, temendo ch’ella venisse meno.

      Ma ella abbassò le palpebre, si ricompose, si ritrasse, si restrinse in sé stessa, come presa da un gran freddo. Rimase così qualche minuto, con gli occhi chiusi, con la bocca serrata, immobile. Soltanto la pulsazione visibile della carotide nel collo e qualche contrazione convulsiva nelle mani davano indizio della vita.

      Non fu un delitto? Fu il primo dei miei delitti; e non il minore, forse.

      Partii, in condizioni terribili. La mia assenza durò più di una settimana. Quando tornai e nei giorni che seguirono il mio ritorno, io stesso mi meravigliavo della mia sfrontatezza quasi cinica. Ero posseduto da una specie di malefizio che aboliva in me ogni senso morale e mi rendeva capace delle peggiori ingiustizie, delle peggiori crudeltà. Giuliana anche questa volta mostrava una forza prodigiosa; СКАЧАТЬ