Dialoghi Senza Fine / Бесконечные диалоги. Габриэле Ломбардо
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СКАЧАТЬ style="font-size:15px;">      La compassione, che si riversa sulla fragilità umana corporea, espressa ad esempio nelle opere di misericordia, tra le quali "vestire gli ignudi, sfamare gli affamati, visitare i carcerati" e, ancor più, si riversa sul male morale di cui l'uomo è responsabile, non è forse l'amore autentico o, comunque, una sua componente essenziale? Sembrerebbe, almeno nel nostro mondo segnato dalla fragilità, persino più appropriato chiamarla "compassione amorosa", al posto che amore compassionevole, tanto è la sua non solo immancabile presenza nell'esperienza dell'amore umano, in quanto la vicinanza umana si evidenzia proprio nel riconoscimento della comune fragilità, ma anche la sua concretezza, a differenza del termine amore, cui spesso si attribuiscono significati vari e vaghi. L'uomo difficilmente è capace di un amore scevro da egoismo, cioè di un amore disinteressato, divino, mentre della compassione ha una comprensione più immediata ed è un'esperienza concreta, che egli, nel dolore che ci accomuna, spesso fa. L'amore compassionevole non è una tipologia di amore, ma è l'Amore, e la compassione ne è una componente sempre presente. E la bellezza risalta maggiormente al nostro sguardo, nella nostra esperienza umana, proprio nel momento in cui ci appare manifesta la nostra fragilità. E' proprio questo contrasto che, manifestandosi, apre ancor di più i nostri occhi interiori alla visione della bellezza del reale.

      In fondo, nell'ambito dell'esperienza cristiana, come già accennato, sembrerebbe che l'uomo possa amare Dio solo quando lo conosce e lo incontra in Gesù, nel suo essere uomo di un'umanità molto compiuta, armoniosa, bella, ma anche, allo stesso tempo, fragile e, addirittura, umiliata, derisa, percossa, quale è manifestata in particolare alla fine della vita terrena del Figlio di Dio, sulla via cioè della croce. Questo Dio che "si è fatto uomo", umiliato moralmente e fisicamente, è raffigurato in modo chiaro, ad esempio, nelle immagini medievali dell'Ecce homo о nell'immagine impressa sulla sacra Sindone di Torino. Lo sguardo sul Cristo umiliato e trafitto, mancante di compassione, fu quello rivoltogli dai capi del popolo e dai sacerdoti, i quali non videro in lui Dio che si fa uomo tra gli uomini, accettando persino, in fila con i peccatori, il battesimo di conversione di San Giovanni ma, al contrario, lo accusarono dicendo che Lui, un semplice uomo, esalta se stesso sino ad affermare di essere Dio. Ciò è evidente nel seguente brano evangelico, nel quale i capi del popolo Gli dicono: "Non ti lapidiamo per un'opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio" (Giovanni, 10,33). La fragilità, anche di Dio, può però suscitare nel cuore indurito dell'uomo l'amore. A tal proposito, c'è un passo del Vangelo di San Luca in cui due discepoli di Gesù, tristi per la Sua recente morte, si recano da Gerusalemme ad un villaggio di nome Emmaus. Questi due viandanti, tristi per la recente morte del loro maestro, che avevano creduto fosse il Messia, malgrado la profonda delusione, si rivolgono con affetto ad un viaggiatore solitario, che si era affiancato loro e che intende proseguire il cammino quando ormai è giunta la sera, dicendoGli: "resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino " (Le. 24,29), invitandoLo ad entrare in una locanda e rimanere, per trovare riparo dai pericoli della notte. C'è, in quel momento di grande delusione e di solitudine disperata, per aver seguito un profeta che era stato poi condannato a morte ed ucciso, un senso di pietà umana da parte di questi due viaggiatori verso un altro uomo, solo, che aveva camminato con loro, e lo vogliono proteggere dai pericoli della notte. Il Vangelo acuisce questo senso di vicinanza umana, specificando che il viandante solitario, giunto alla locanda del villaggio, fa come per procedere oltre, va avanti nel suo cammino, pericoloso perchè è ormai quasi buio, e così facendo suscita la compassione dei due discepoli, che lo esortano a fermarsi e rimanere con loro. Inoltre, andando avanti nel cammino, non li costringe a stare alla Sua presenza, ma li lascia liberi di decidere se rimanere soli о condividere il tempo con Lui.

      Pare inoltre interessante notare come, nel giorno della morte di Gesù, quando quindi non era ancora risorto, Egli abbia comunque intorno a sé l'amore, о quantomeno l'imperfetto affetto umano, di molte persone. Certamente c'è stata la vergogna provata dai discepoli verso un maestro che si consegnava ai suoi carnefici, con il correlativo senso di sconfitta e di umiliazione, ma Giuseppe di Arimatea, un membro del Sinedrio, ossia un uomo colto e in vista nella società ebraica del tempo di Gesù, chiede il corpo di quest'ultimo, che viene poi ricoperto di unguenti, avvolto in un telo e, infine, viene deposto in una tomba nuova. Dopo la Pasqua ebraica, ossia la domenica successiva al venerdì in cui Gesù era stato ucciso, al mattino presto, le donne che erano state con Lui, accompagnandoLo nel cammino durante i tre anni in cui aveva insegnato, guarito i malati e scacciato i demoni, si recano alla Sua tomba con profumi, al fine di onorare il corpo di un uomo da loro ancora molto amato. A seguito di una morte così infamante, da fuorilegge, tutti si sarebbero dovuti allontanare delusi, ma non è così… Probabilmente, a quel punto, apparve chiaro che l'atteso Messia non era Gesù di Nazareth, il quale era stato condannato a morte, ma rimane nel cuore degli amici una vicinanza compassionevole, un amore autenticamente "umano", ossia in fondo divino, che lega tra loro queste persone che si erano conosciute. E' l'amore che abita nel cuore dell'uomo, la "pietas" romana che lega da sempre tra loro gli uomini, come ha legato tra loro Adamo ed Eva dopo il peccato; infatti, i due progenitori, subito dopo la disobbedienza al comando di Dio, scoprono di essere nudi e si accusano reciprocamente per allontanare da sé la colpa che pesa sul loro cuore, ma continuano comunque a vivere insieme, a nutrire un intenso affetto reciproco, pur imperfetto, ed anche affetto per i loro figli. Essi provano compassione per il buon Abele ucciso come, probabilmente, anche per Caino, l'omicida. I progenitori generano una stirpe segnata dal peccato, come anche loro lo sono, ma la loro compassione si stende sui loro figli e sulle future generazioni, che sono capaci di benedire. Nel Vangelo di Marco viene citato un centurione romano il quale, visto Gesù morire in croce, credette che quell'uomo fosse figlio di Dio. Difficile dire la ragione della convinzione di quel soldato romano che proprio quel condannato a morte di nome Gesù fosse figlio di Dio, e per di più lo comprese proprio nel momento della sua morte, ossia dell'estrema debolezza. Forse quella esecuzione gli apparve del tutto speciale rispetto a quella di altri condannati che aveva visto morire in croce, sia per la mancanza di odio verso i suoi carnefici che di rancore verso un qualche dio da bestemmiare. Forse però, più probabilmente, la morte ravvivò in lui quella scintilla divina di compassione che abita nel cuore di ogni uomo, trasformandola in un incendio incontrollabile: si commosse di fronte alla fragilità di quel giovane mite, che muore in croce. Ciò suscitò l'amore nel cuore del soldato romano ed egli, attraverso l'amore compassionevole che aprì i suoi occhi, riconobbe la divinità di quel condannato ed esclamò: "davvero quest'uomo era figlio di Dio" (Me. 15,39). Queste parole non nascono solo dalla ragione che comprende un fatto ma, innanzitutto, da un cuore intenerito che sente. Il sentimento precede la comprensione razionale. In un cuore non totalmente indurito dal male, la morte di un uomo suscita una grande compassione. La parte conclusiva della descrizione evangelica delle tre esecuzioni capitali avvenute sul Golgota, si conclude con la constatazione che tutti i presenti, che erano andati ad osservare la crocifissione e che, forse, avevano fatto parte della folla che voleva la morte di Gesù, gridando "crocifiggiLo!" (Le. 23,21), tornarono poi alle loro case addirittura "battendosi il petto" (Le. 23,48) per il dolore ed il senso di colpa provati.

      Come detto, la Sacra sindone, conservata nella città di Torino, suscita compassione: non si vede in essa la raffigurazione di un Dio sul trono, potente ed armato, come in certe statue raffiguranti Zeus о altre divinità, ma un corpo percosso e ferito, il cui volto appare però quello di un uomo pacificato, che si abbandona alla morte come ad un sonno profondo. L'intuizione della morte e della deposizione del corpo di Gesù come un momento di abbandono fiducioso, come placida deposizione del corpo nella tomba, è presente nelle composizioni musicali sacre de " La Passione secondo Giovanni" e " La Passione secondo Matteo", entrambe di Bach, nelle quali, alle parti impetuose, esprimenti ferocia e concitazione nel momento dell'arresto e della spartizione delle vesti da parte dei soldati, fanno seguito le note basse e i ritmi lenti, che esprimono la placida consegna del Figlio nelle mani del Padre.

      Come concepire l'amore senza questa fragilità, sia fisica che morale, la quale sempre ed ovunque accompagna l'uomo, soprattutto in quanto egli è segnato da colpe personali e, in modo diverso, dalle colpe delle generazioni che l'hanno preceduto, da una fragilità fisica, psichica e morale che lo accompagna dalla nascita sino alla morte? Sant'Agostino giunse ad esclamare "Felice colpa che ci meritò un così grande redentore!" СКАЧАТЬ