Название: Tuareg
Автор: Alberto Vazquez-Figueroa
Издательство: Bookwire
Жанр: Языкознание
Серия: Novelas
isbn: 9788418811418
isbn:
«Ricorderò che non si può offendere impunemente un imohag. Questa è la differenza tra quelli della tua razza e noi, Suflem. Voi akli accettate le offese e le oppressioni e siete contenti di essere schiavi. Ve lo portate nel sangue, di padre in figlio, di generazione in generazione. E sempre sarete schiavi.» Fece una pausa e accarezzò la lunga sciabola che aveva tirato fuori dalla cassa in cui teneva riposte le cose più preziose. «Ma noi tuareg siamo una razza libera e guerriera, che è rimasta così perché non ha mai permesso un’umiliazione né un affronto.»
Scosse la testa. «E non è ora di cambiare.»
«Ma loro sono tanti», protestò. «E forti.»
«Certamente», ammise il targuf. «E così deve essere. Solo il vigliacco affronta chi sa più debole di lui. perché la vittoria mai lo nobiliterà. E solo lo stupido lotta con un suo pari, perché in questo caso solo un colpo di fortuna deciderà la battaglia. L’imohag, l’autentico guerriero della mia razza, deve affrontare sempre chi è più forte, perché se la vittoria gli sorride il suo sforzo sarà mille volte ricompensato e potrà continuare il suo cammino orgoglioso di se stesso.»
«E se ti uccidono? Cosa sarà di noi?»
«Se mi uccidono il mio cammello galopperà direttamente verso il paradiso che Allah promette, perché è scritto che chi muore in una battaglia giusta ha assicurata l’eternità.»
«Ma non hai risposto alla mia domanda», insistè il
negro. «Che sarà di noi? Dei tuoi figli, della tua sposa, del tuo bestiame, dei tuoi servi?»
Il suo gesto fu fatalista.
«Ho forse dimostrato che posso difenderli?» domandò. «Se consento che uccidano uno dei miei ospiti, non accetterò anche che violentino e uccidano la mia famiglia?» Si inchinò e con un gesto deciso lo obbligò a mettersi in piedi. «Va’ a prepararmi il cammello e le armi», ordinò. «Me ne andrò all’alba. Poi ti occuperai di smontare l’accampamento e di portare la mia famiglia lontano, al guelfa dell’Huaila, là dove morì la mia prima sposa.»
L’ALBA arrivò preceduta dal vento.
Il vento annunciava sempre l’alba nella pianura e il suo ululare nella notte si trasformava quasi in un pianto amaro un’ora prima che un raggio di luce facesse la sua apparizione nel cielo, oltre i rocciosi pendìi di Huaila.
Ascoltò con gli occhi aperti, contemplando il tetto della sua jaima con le strisce ben conosciute e gli sembrò di vedere i cespugli che correvano liberi sulla sabbia e sulle pietre, sempre di fretta, sempre in cerca di un luogo cui afferrarsi, una dimora definitiva che li accogliesse e li liberasse da quell’eterno vagare senza destino da un punto all’altro dell’Africa.
Attraverso la lattiginosa luce dell’alba, filtrata da milioni di piccoli granelli di polvere in sospensione; i cespugli apparivano dal nulla come fantasmi che volevano lanciarsi su uomini e animali per perdersi poi, come erano venuti, nell’infinito nulla del deserto senza frontiere.
«Deve esistere una frontiera da qualche parte. Sono sicuro...» aveva detto con un tono di disperata ansietà, e ora era morto.
A Gacel nessuno aveva mai parlato prima di frontiere perché non erano mai esistite tra i confini del Sahara.
«Quale frontiera può resistere con la sabbia e il vento?»
Girò il viso verso la notte e cercò di capire, ma non vi riuscì. Quegli uomini non erano criminali, ma uno era già stato sotterrato e l’altro se lo erano portato via, nessuno sa dove. Non si poteva uccidere nessuno tanto freddamente, per quanto grande fosse il suo delitto.
E ancor meno quando dormiva sotto la protezione e il tetto di un inmouchar.
C’era qualcosa di strano in quella storia, ma lui non riusciva a capire che cosa; solo un fatto era chiaro: la più antica legge del deserto era stata infranta e questo era qualcosa che un imohag non poteva accettare.
Si ricordò della vecchia Khaltoum e una mano gelata, la paura, gli si posò sulla nuca. Poi abbassò lo sguardo sugli occhi aperti di Laila che brillavano insonni nella penombra riflettendo l’ultima brace del focolare e sentì pena per lei; per i suoi quindici anni mal compiuti e il vuoto delle sue notti quando lui sarebbe partito. E sentì pena anche per se stesso per il vuoto che avrebbe riempito le sue notti quando lei non sarebbe stata al suo fianco.
Le accarezzò i capelli e lei gradì il gesto come un animale, aprendo ancor più i suoi grandi occhi di gazzella impaurita.
«Quando tornerai?» mormorò, più come supplica che come domanda.
Negò con la testa. «Non lo so», ammise. «Quando avrò fatto giustizia.»
«Che cosa significavano quegli uomini per te?»
«Niente», confessò. «Niente fino a ieri. Ma non si tratta di loro. Si tratta di me stesso. Tu non puoi capire.»
Laila capiva, ma non protestò. Si limitò ad accostarsi ancora di più a lui, come in cerca della sua forza o del suo calore, e allungò le mani neirultimo tentativo di trattenerlo quando lui si mise in piedi e s’incamminò verso l’uscita.
Fuori il vento continuava a piangere sommessamente. Faceva freddo e si avvolse nel suo jaique mentre un brivido inarrestabile gli scendeva lungo la schiena, non seppe mai se per il freddo o per lo spaventoso vuoto della notte che si apriva davanti a lui. Era come immergersi in un mare tinto di nero. In quel momento Suflem uscì dall’oscurità e gli tese le redini di R’Orab.
«Buona fortuna, padrone», disse, poi scomparve come se non fosse esistito.
Gacel obbligò l’animale a inginocchiarsi, salì sulla groppa e con il tallone lo colpì piano sul collo.
«Shiaaaaa!» ordinò. «Andiamo.»
L’animale lanciò un grido di cattivo umore, si alzò pesantemente e rimase ben saldo sulle sue quattro zampe, muso al vento, aspettando.
Il targuf lo orientò verso nordovest e conficcò di nuovo il tallone con più impeto perché cominciasse la marcia.
All’entrata della jaima si stagliò un’ombra più densa delle altre, più scura. Gli occhi di Laila brillarono nuovamente nella notte mentre cavaliere e cavalcatura scomparivano come spinti dal vento e dai cespugli.
Il vento spirava sempre più forte, sapendo che presto la luce del sole sarebbe venuta a calmarlo.
Non era ancora giorno e non c’era neanche quella penombra lattiginosa che permetteva di distinguere appena la testa del cammello, ma Gacel non aveva bisogno di nulla. Sapeva che non esisteva alcun ostacolo per centinaia di chilometri intorno a lui e il suo istinto di uomo del deserto, la sua capacità di orientarsi, perfino con gli occhi chiusi, gli indicavano la direzione anche nella notte più profonda.
Quella era una virtù che solo lui e quelli che, come lui, erano nati e cresciuti nel deserto possedevano. Come i piccioni viaggiatori, come gli uccelli migratori, come le balene nel più profondo degli oceani, il targui sapeva sempre dove si trovava e dove si stava dirigendo, come se un antichissimo senso, atrofizzato nel resto degli esseri umani, si fosse mantenuto attivo ed efficiente unicamente in loro.
Nord, sud, est e ovest; pozzi, oasi, strade, montagne, terre vuote, fiumi di dune, pianure СКАЧАТЬ