Minerva oscura. Giovanni Pascoli
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Читать онлайн книгу Minerva oscura - Giovanni Pascoli страница 8

Название: Minerva oscura

Автор: Giovanni Pascoli

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

Серия:

isbn: 4064066070755

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СКАЧАТЬ sì quella che in Cicerone (De off. I 7, 23) è chiamata ‛iniustitia’. Cicerone poi, cui Dante in quel canto aveva in pensiero più che altro autore, quasi, come latino, avesse a essere conosciuto più che ogni altro da Virgilio, dice (ib. 13, 41): ‛Cum... duobus modis, id est aut vi aut fraude, fiat iniuria’.... E Dante: ‛ed ogni fin cotale O con forza o con frode altrui contrista’. Vediamo anche in Cicerone (ib. 7, 23): ‛Fundamentum... est iustitiae fides’: la quale mancando, è chiaro che vi sarà ingiustizia o malizia, come dice Dante; ma specialmente, nel pensiero di Dante, quella che ha per fine l’ingiuria con frode, ossia il male fatto con inganno. E l’ingiuria con frode è di due specie e costituisce, fatta, due peccati di maggiore e minore gravità, secondo che l’uomo l’usa in ‛colui che ’n lui fida Ed in quei che fidanza non imborsa’, ossia in quello che non è tenuto a fidarsi. L’inganno verso chi non ha ragione di fidarsi, infrange, secondo Dante, ‛Pur lo vinco d’amor che fa natura’; quello verso chi si fida, fa obliare sì l’amor naturale, sì ‛quel ch’è poi aggiunto Di che la fede spezial si cria’. Il che torna a dire che i fraudolenti sono rei contro la Giustizia comunemente detta, mentre da chi trade è offesa la Religione e la Pietà; poi che ‛tra le parti di Giustizia (che sono la Religione e la Pietà) e la Giustizia comunemente detta è questo divario, che per esse parti si rende il debito ad alcune determinate persone, alle quali l’uomo per qualche speciale ragione è obbligato, e, per la Giustizia comunemente detta, uno rende il debito comunemente a tutti (2ª 2ae CXXII 6)’. Donde consegue che in Dante il tradere non prende sua qualità dall’inganno con cui si accompagna l’ingiuria, ma dalla persona, contro cui l’ingiuria è commessa, persona contro la quale ogni ingiuria è inganno, perchè ella si fida. Tanto dunque è dire che uno trade, e dire che usa frode in colui che in lui fida per qualche speciale benefizio fattogli, onde si crea un motivo speciale di fiducia, e dire che offende i precetti di Religione e di Pietà che comandano l’amore verso Dio e i Parenti; e dire, con Cicerone, omisit pietatem, e dire che è reo di superbia. E così mi pareva considerando i peccatori del nono cerchio e i loro peccati, poi che di quelli che sono nelle tre bocche di Lucifero, Giuda aveva tradito direttamente Cristo, e Bruto e Cassio la Monarchia, che dipende direttamente da Dio (Mon. III 15): avevano tradito, non tanto, come dissi, per il mezzo fraudolento posto in opera dall’uno e dagli altri, quanto per la persona, perchè Dio era il loro benefattore, o immediatamente, come Cristo, o mediatamente, come Cesare; e perciò Dio e Cesare avevano particolar motivo di fidarsi di loro, sì che Cristo esclamava: “Con un bacio!„, e Cesare: “Anche tu, figlio?„. Gli altri peccatori della Giudecca e della Tolomea avevano pur tradito Dio, nelle persone che per il benefizio più avevano di Dio e in quelle che per Dio erano state accolte alla mensa ospitale, e gli uni e gli altri avevano per ciò fede intera nel beneficato e nell’ospite. E anche quelli dell’Antenora avevano offeso direttamente Dio, il che, più che per altro, intendevo per la differenza tra Bocca, traditor di parte guelfa o della patria, e Camicion de’ Pazzi, uccisore d’un suo congiunto. Poi che questi non rifugge di dire il suo nome, perchè non crede il suo peccato gravissimo tra tutti, anzi aspetta un altro suo congiunto, che per la colpa di aver tradito la patria, faccia parer meno grave la sua d’aver tradito un parente. In fatti, essendo la superbia appetito di perversa eccellenza, tale appetito non si può mostrare che da chi vuol essere superiore al Sommo, cioè a Dio. Ora questo appetito si punisce in Inferno anche col desiderio del contrario, come chiaramente a Dante, che aveva domandato se volesse fama, risponde Bocca: ‛del contrario ho io brama’, e come chiaramente dimostrano gli altri peccatori della Ghiaccia. E io pensavo che ciò che dice Virgilio ad Anteo: ‛Questi può dar di quel che qui si brama’, ciò è della fama, non è detto perchè Virgilio avesse in pensiero gli altri peccatori dell’Inferno, bramosi di essere ricordati ancora nel dolce mondo; ma perchè egli sapeva di essere nel cerchio di quelli che avevano desiderato la celsitudine ‛cui si deve onore e reverenza’ (1ª 2ae LXXXIV 2), in quel grado supremo, simboleggiato nelle parole dell’Angelo “Simile sarò all’Altissimo„, e nelle parole del Serpente “Sarete come Iddii„. E il Poeta aveva adoperata, a questo luogo, la sua circoscrizione, perchè il lettore poi comprendesse che l’amor della fama nella vita terrena si volgeva nell’Inferno in altrettanto orrore di essa. Notevole mi appariva, che come, dei peccatori, Camicion de’ Pazzi non mostrava tale ribrezzo di nomarsi quale gli altri delle circuizioni più interne; così, de’ Giganti, rispondeva pronto, allo scongiuro per la fama, Anteo. Poi che Anteo non aveva menate le braccia direttamente contro gli Dei, e perciò era disciolto; e così Camicione non si era direttamente sopraposto a Dio; ma l’uno era stato superbo in quanto aveva combattuto con Ercole semidio, sebbene non fosse stato all’alta guerra; e l’altro era stato reo contro i congiunti, di quella reità che è compresa sotto l’offesa al Principio particolare del nostro essere, non veramente al Principio universale.

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      Così mi confermavo nel mio pensiero, e altre e molte considerazioni facevo, nè trascuravo di spiegarmi come e perchè il conte Ugolino si nomasse desiosamente, sebbene fosse nell’Antenora; ma io cercavo una prova manifesta, che permettesse alla mia mente di non dubitar più, sì che potessi procedere avanti: e la trovai. Sì: nella Ghiaccia era veramente punita la superbia, la quale si nascondeva sotto il nome di tradimento o di frode in chi si fida. Era superbia quella e quello, e non altro che superbia, e Dante lo aveva detto in modo così chiaro che più chiaro non si poteva desiderare. Io lessi, come ebbro, in S. Agostino (Civ. D. XIV 13): ‛È bene avere in alto il cuore; non tuttavia verso di sè, che è della superbia; ma verso il Signore, che è dell’obbedienza, che non può essere se non degli umili. Vi è adunque mirabilmente nell’umiltà qualche cosa che solleva in alto il cuore, e qualche cosa nell’elevazione, che porta il cuore a basso. Or pare un assurdo, che l’elevazione sia per in giù e l’umiltà in su’. Ecco perchè, dissi io, i peccatori della Ghiaccia tengono il viso basso, oltre che sono nell’imo. Ma non era per me una novità, nè per altri, questa. S. Agostino continuava a spiegare come gli umili si esaltavano e si abbassavano i superbi, e diceva: ‛Avviene ciò che fu scritto: “Li hai abbattuti, mentre si elevavano„. Che non dice: “Poi che si erano esaltati„, quasi che prima si elevassero e poi fossero abbattuti; ma “Mentre si elevavano„ allora furono abbattuti’. E concludeva: ‛Ipsum... extolli iam deiici est’. E tu, Dante, dei traditori avevi detto, anzi mostrato il medesimo, facendoli, così, simili al primo superbo e ai primi parenti, che furono superbi. O come non credere che superbi fossero i traditori, se ciò che nei primi avviene, avviene anche nei secondi? E avviene: tu l’avevi fatto dire a frate Alberigo[32]:

      Sappi che tosto che l’anima trade,

      Come fec’io, il corpo suo l’è tolto

      Da un demonio...

      Ella ruina in sì fatta cisterna.

      Proprio come di Lucifero dice Isaia: “ad infernum detraheris in profundum laci„. E perchè Dante, contro ogni verisimiglianza teologica, pone questo cader dell’anima in inferno, tosto che trade, se non per significare che il suo tradere è un superbire, e che ‛ipsum extolli iam deiici est’? Come Lucifero nel primo istante di sua creazione fu buono, nel secondo fu malo (1ª LXIII 6), e appena peccò, fu travolto; come Adamo ed Eva, appena mangiarono il pomo, conobbero la loro nudità, e furono puniti; così il superbo, appena ha commesso quel proprio peccato di superbia, equivalente a quello del primo Angelo e del primo Uomo, ha la sua pena eterna. Perchè il traditore da Dante si stima ‛aderire immobilmente al male che appetì’, come Tomaso (1ª LXIV 2) dice dell’Angelo peccatore. Così io riposai nel pensiero che nel nono cerchio era la superbia. Molte cose in essa mi erano ignote e molte ragioni nascoste; ma nella Ghiaccia e non altrove, sotto i Giganti, nel profondo del lago, nelle tre bocche e presso e intorno al primo superbo, sapevo già che non altri erano se non superbi.

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