Minerva oscura. Giovanni Pascoli
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Название: Minerva oscura

Автор: Giovanni Pascoli

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

Серия:

isbn: 4064066070755

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СКАЧАТЬ Dante discepolo di Virgilio conosceva già il nome: peccato carnale o vizio di lussuria (V 38 e 55) di coloro che mena il vento; colpa della gola (VI 53) di quelli che batte la pioggia; avarizia (VII 48) o spendio senza misura (42) o mal dare e mal tenere (58) degli altri che si incontran con sì aspre lingue. Sa forse anche il nome del peccato di quei della palude pingue? In essa sono l’anime di color cui vinse l’ira (VII 116), e sono anche i tristi che portarono dentro accidioso fummo (121). Il peccato è dunque duplice e contrario, come di quelli del quarto cerchio: ira e accidia. Nulla si potrebbe dire, a questo punto, di più chiaro: or come si parlava d’oscurità o d’incompiutezza? Oh! oscura è sì, e incompiuta la sposizione di Virgilio. Lasciando da parte il punto della matta Bestialità, della quale io non mi sono mai resa ragione come abbia potuto suscitar dubbi e dispute, e stringendo in poche parole il molto che si è scritto, come mai dei sette peccati capitali, due l’Invidia e la Superbia, non sono puniti nell’inferno Dantesco? O sono puniti sì, ma con altro nome e con altro sistema, dentro Dite, dove con l’Invidia e la Superbia, avrebbero la loro pena un’Ira, una Lussuria, una Cupidigia o che so io, più gravi di quelle dei cerchi primi e dello Stige? Ma perchè, se questi che sono peccati minori hanno un luogo a loro ordinato fuori di Dite e, qua e là, dentro, la Superbia e l’Invidia l’avrebbero solo dentro Dite? Non si risponda: sono più gravi; perchè di qua da Dite quella gradazione, per cui Lussuria è meno grave di Gola e Gola di Avarizia e Avarizia di Ira e Accidia, non si potrebbe trovare più osservata, se, per esempio, lussurioso è Brunetto, e iracondo, per esempio, Azzolino. E così come di questi cinque peccati, si troverebbe degli altri due. Ma può essere che questi due si trovino nello Stige, accennati appena con un aggettivo o mostrati con un atteggiamento. Può anche essere; ma allora, credendo che così sia, io dovrei sempre concludere, come concludo credendo che ciò non sia, che l’insegnamento di Virgilio è oscuro, o perchè la ragione, sebbene illuminata dalla filosofia Aristotelica, non vede assai, o perchè il Maestro vuole esercitare il discepolo e avvezzarlo a cercar da sè, o per tutte e due le ragioni insieme. Certo Virgilio stesso fa intendere l’insufficienza dei lumi filosofici, quando cita, sia pure per confermare una sentenza d’Aristotele, un libro di tutt’altra natura che l’Etica e la Fisica (la ‛tua’ Etica, la ‛tua’ Fisica: si noti): lo Genesi.

       Indice

      Utile e necessario è andare all’altra lezione che Virgilio fa a Dante, nel Purgatorio, sull’ordinamento di questo. Io osservo che, mentre nell’Inferno Virgilio ha ragionato partitamente dei tre cerchietti che avevano ancora a vedere, nel Purgatorio tace del come è tripartito l’Amore che sopra loro si piange per tre cerchi:

      L’amor ch’ad esso troppo s’abbandona,

      Di sopra noi si piange per tre cerchi;

      Ma come tripartito si ragiona,

      Tacciolo, acciocchè tu per te ne cerchi.[23]

      Ora in questi tre cerchi si espiano l’Avarizia, la Gola, la Lussuria, i quali peccati sono in Inferno puniti, non nei tre cerchietti che erano ancora da visitare, ma nei tre già visitati prima dello Stige. È in ciò una corrispondenza, dirò così, esterna, poichè nell’Inferno si parla di ciò che è da vedere e si tace, sulle prime, di ciò che si è veduto, e nel Purgatorio, al contrario, si parla di ciò che si è veduto e si tace, almeno in parte, di ciò che è da vedere. E ciò che si ha a vedere è di sopra ai parlanti, nel Purgatorio, e di sotto, nell’Inferno, e ciò che si è veduto, al contrario. Ma vi è anche una corrispondenza meno materiale e locale; poichè nel Purgatorio Virgilio non dà una particolare definizione dei tre peccati che si piangono di sopra loro, e lascia che Dante ne cerchi per sè, mentre nell’Inferno questi medesimi tre peccati Dante aveva chiaramente richiamati alla sua mente: ‛Quei... Che mena il vento e che batte la pioggia E che s’incontran con sì aspre lingue’, ossia i peccatori carnali, i rei delle colpe della gola, i rei di non misurato spendio. Ai quali sono d’aggiungere quei della palude pingue, ossia color cui vinse l’ira e che portaron dentro accidioso fummo. Non parrebbe che il Poeta volesse a noi, come Virgilio faceva a lui, dichiarare solo quello ch’era necessario, sorvolando su ciò che non era? Or dunque dichiarare più minutamente nel Purgatorio i tre peccati di Avarizia, Gola e Lussuria non era necessario? Non era, e in fatti è cosa che s’intende da tutti, come tripartito si ragiona quell’amore. Perchè? Il perchè, nell’economia del poema, non può essere, se non per il fatto che Dante rispetto a Virgilio, e noi rispetto a Dante, siamo chiariti dall’aver visto già quei tre medesimi peccati d’incontinenza nell’Inferno, e dall’averne anche appreso il nome. E solo per questo Virgilio assegna a Dante quel leggiero cómpito, quasi dicesse: Oh! vediamo se il viaggio per loco eterno ha fruttato! vediamo se tu ricordi e ciò che hai veduto e ciò che io t’ho detto. Ora, se questi tre peccati Virgilio lascia riconoscere a Dante, perchè facili a riconoscere, gli altri, di cui esso stesso dà i contrassegni e la definizione, facili a riconoscere non sarebbero stati. E perchè? perchè non visti nell’Inferno, onde a Dante manca la esperienza e l’insegnamento? Può essere, sebbene a nessuno possa venire in mente che di essi l’ira non sia stata veduta; ma può anche essere che se ne discorra ora più chiaramente, perchè allora ne fu parlato oscuramente. E, accettando per un momento quest’ultima supposizione, noi troveremmo a un tratto quella prima corrispondenza che io dissi, illuminarsi e illuminare noi: tutte e due le esposizioni hanno una parte chiara, la prima, e una parte oscura, la seconda; la prima che riguarda ciò che fu veduto, la seconda ciò che è ancor da vedere; ma poichè sono in ordine inverso tra loro, così la parte chiara della prima spiegazione getta la sua luce sulla parte oscura della seconda, e la parte chiara della seconda illumina la parte oscura della prima. E ciò condurrebbe a questo: come Dante, avendo sentito definire rei d’incontinenza quelli che aveva udito chiamare peccator carnali o di lussuria, colpevoli della gola, dannati per non misurato spendio, poteva facilmente riconoscere quelli che per tre cerchi piangevano l’amore che troppo s’abbandona al bene che non fa l’uom felice; così sentendo ora nel Purgatorio, che i superbi, gl’invidi e gl’irosi espiavano il triforme amore del male, doveva, ripensando alla spiegazione udita nell’Inferno, concludere che i peccatori dei tre cerchietti, rei di malizia, di cui ingiuria è il fine e che si distinguono in tre specie, secondo che l’ingiuria è con forza o con frode o con tradimento, erano appunto irosi, invidi e superbi. Ma poichè concludere è precoce, teniamo almeno questo per fermo: che le due esposizioni riguardano, l’una e l’altra, sette divisioni di peccatori: la prima quattro già vedute,

      quei della palude pingue,

      Che mena il vento e che batte la pioggia

      E che s’incontran con sì aspre lingue,[24]

      e tre da vedere in tre cerchietti; la seconda tre già vedute, i rei del triforme amor del male, e quattro ancora da vedere, i rei di lento amore e di amore che troppo s’abbandona; che insomma l’una ha dietro sè quattro peccati e tre innanzi, e l’altra quattro innanzi e tre dietro; e che è fuor di dubbio che alle due spiegazioni tre sono comuni di questi sette peccati. Nove sono nell’inferno i gironi, ma i peccati di cui ragiona Virgilio, sono sette. Sette e non più, sette come quelli del Purgatorio.

       Indice

      Non è dunque assurdo tenere sin d’ora che la lezione dell’Inferno lascia qualche cosa da meditare al discente. È compiuta quella del Purgatorio? No; e noi potremo da ciò confermare la nostra opinione su quella dell’Inferno. Non è compiuta; e questa volta (per qual ragione se non perchè Virgilio non è più per essere con lo scolare dopo visitato il Purgatorio?) questa volta Virgilio ne ammonisce Dante:

      Quanto ragion qui vede

      Dirti poss’io; da indi in là t’aspetta

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