Scritti editi e postumi. Bini Carlo
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Название: Scritti editi e postumi

Автор: Bini Carlo

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

Серия:

isbn: 4064066069506

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СКАЧАТЬ che al primo piano portava una mostra dipinta nelle regole con certe parole cubitali, che dicevano: Restaurateur. Come ha messo il piede sul primo scalino, ha cavato fuori una scatola, – ha preso tabacco, – ha fatto uno sternuto, – e poi s'è infilato su per le scale. E io dietro senza perder tempo. Io son l'ombra del soprastante; – non mica per nulla, vedete, – ma son curioso anch'io, – forse troppo; – già sono stato sempre, – curioso forse come una femmina.....

      Il soprastante ha aperta la bussola franco franco, come se fosse stato il padrone, o come un avventore dei buoni. Arrivato in mezzo ha dato il buon giorno, e del compare a un cert'uomo, che stava inchinato sopra una tavola a mettere in sesto non so quali vivande. Il compare s'è riscosso, – s'è rigirato in un fiat, e veduto il soprastante ha fatto subito bocca da ridere, e gli ha reso bene e meglio il buon giorno. Egli ha compreso istantaneamente di che sì trattava. Allora si sono strette le mani come due vecchie conoscenze, – hanno parlato forte, – si son bisbigliati non so che nelle orecchie. Dopo di che il trattore ha lasciato quel che aveva da fare, – si è messo in ordine, e son venuti via di conserva.

      Eccoli insieme alle carceri; – già salgono una scala, – due scale, – tre scale; eccoli sul pianerottolo. Il soprastante avanti, il trattore dietro. Ecco, che il primo mette adagio adagio la chiave, – la gira lentamente, quasi che la serratura fosse di vetro, – e prima di sospigner l'uscio ingentilisce la voce, e la manda dentro dicendo:

      — È permesso? si può passare?

      — Oh bella! se non passate voi, che avete le chiavi, chi deve passare?

      — Vossignoria ha sempre ragione; ma io conosco con chi ho da trattare, e i miei doveri non li so d'oggi.

      — Bene, bene. Che abbiamo di nuovo?

      — Son venuto a sentir quel che occorre, conducendo meco quest'uomo.

      — Avete fatto bene. Galantuomo, chi siete?

      — Sono un trattore bello e buono, ai servigi di Vossignoria.

      — Ah! siete un trattore? siete una cosa più necessaria della prigione.

      — Viva la faccia di Vossignoria! in questi luoghi vuol essere borsa, e buon umore.

      — Come vi chiamate?

      — Marco Trappolanti ai servigi di Vossignoria.

      — Avete un nome curioso.

      — Eh! Signore! che vuole? tanto il nome che il grado son cose, che bisogna portarle come Dio ce le mette adosso. Se stesse a noi lo scegliere, non andrebbe così; – io mi sarei messo un nome lungo e liscio come una coda di cavallo, e invece di cucinare per gli altri farei cucinare per me. Non so se dico bene, sono un ignorante.

      — Bisogna contentarsi. La provvidenza ha saputo quello che ha fatto. Ma veniamo al pranzo. Come mi tratterete.

      — Vossignoria di certo non vorrà stare all'ordinario, – mi parrebbe un'offesa a proporglielo. Del resto la tratterò come merita, come vuol essere servita. Non dubiti, l'arte la so fino in fondo; – com'ella vede, ci sono invecchiato. Scelga, chè io son qua tutto per lei. Vuol cucina alla Francese? alla Piemontese? la vuole all'Inglese?

      — Per non confondermi le assaggerò tutte. L'ordinario non lo voglio; – mi appresterete un pranzo a parte secondo la nota che vi darò. Pietanze sane, e in abbondanza. Vino sincero; – mi contento, che me lo diate come l'avete ricevuto. Voglio sperare, che col fatto smentirete la cattiva impressione, che produce il suono del vostro cognome. Scommetto, che siete un galantuomo. Dite di no?

      — Eh! non ho detto nulla, – e come vede io non sono in prigione.

      — Bravo! è una risposta che vale un paolo. Prendete (gli dà un paolo). Andate, – spicciatevi, – servitemi bene, – ed io penserò a voi.

      CAPITOLO V.

      Voi potete rovesciare il quadro, se il carcerato appartiene alla famiglia dei poveri. Povero! – ma sentite che voce? – La combinazione stessa delle lettere che compongono un tal vocabolo è una cosa che dà addosso; – il nome stesso è così fiacco, che non si regge ritto.

      No, – io non ci credo, – non ci credo neppure se me lo dicesse ella stessa. La Natura non ha fatto i poveri: — ella è buona, – ella è savia, – è madre, e non madrigna: siamo tutti suoi figliuoli, e vuol bene tanto al primo che all'ultimo. E se la Natura avesse mai stampato questa moneta, bisogna pur dire, che non avesse più credito, che avesse gli sbirri in casa, e dopo le prime mandate avrebbe fatto meglio a rompere il conio, – avrebbe fatto meglio a mettere in circolo degli assegnati, – avrebbe fatto meglio a fallire. Una moneta falsa è tuttavia di metallo, – ha un valor benchè minimo: — il povero è peggio, – è una moneta di fango.

      I poveri, via, non ci volevano; – essi stessi ne vanno d'accordo. — Ma come mai son diluviati in questo mondo ad ingombrare le strade, i vicoli, le piazze, in guisa che il Signore per poter passare disperatamente è costretto di andare in carrozza? Ma come mai? Io mi ci sono stillato il cervello, e non son venuto a capo del come. L'ho dimandato perfino agli stessi poveri, e mi hanno risposto chiedendomi qualche cosa per amore di Dio.

      Così è, – la storia è come io ve la narro. Le tradizioni, gli archivi, la stampa, non serbano traccia nè del come, nè del quando fosse fondata la setta dei poveri; – non serbano neppure il nome del fondatore. L'antiquaria ha cercato dappertutto, – per terra, – per mare, – per aria, ma non ha trovato nè pergamena, nè medaglia, nè altro documento, che ne desse il minimo indizio. Per avventura la setta non fu mai in grado di rizzare nè anche un tronco d'albero in memoria della sua origine. Quel poco che ne sappiamo è che la setta rimonta col suo principio verso un'epoca remota remota, le mille miglia lontana dal dominio della storia, e conta un'antichità canuta tanto da dar gelosia a chi stima di attingere un merito a questa sorgente. Un gentiluomo è sempre prudente, – ma tuttavia per le buone regole credo bene avvertirlo di non discender mai a cimento con un povero sulla primazia delle scambievoli origini. Bisognerebbe cercar nel passato, e chi sa dove lo menerebbe l'indagine. Chi l'assicura che non trovasse uno degli avi suoi in cotal luogo da fargli salire i rossori sul viso? Quando Adamo zappava ed Eva filava, dov'era allora il gentiluomo?

      Povero! – Questo nome ha un tal prestigio per me, ch'io non me ne posso staccare. E quanti sono! Trovatemi chi li sappia contare, ed io ipso facto lo dichiaro matematico più valente di Galileo. I poeti, per dare un'idea delle cose che non si possono numerare, hanno tolta l'immagine dalle arene del mare, e dalle stelle del cielo; – potevano toglierla ancora dai poveri della terra, e così avrebbero avuto un paragone di più. — Non v'è che dire, – è la più vasta setta di quante apparissero mai, – rimasta sempre in seduta permanente, – e riceve gli adepti alla rinfusa, – senza chieder loro come si chiamino, – senza guardarli neppure in faccia. Non ha misteri, – non ha sotterranei, – cospira sotto la cappa del sole, – non ha timore della Police. Ella non è una setta segreta, e qualsivoglia governo l'ammette.

      O poveri! – Voi siete ricchi di pazienza più che altri non crede. Quando di sotto ai tetti delle vostre soffitte voi vedete le stelle, chi non fosse povero bestemmierebbe, – penserebbe al freddo, – alla guazza, – alla pioggia, – al malore che gliene potrebbe incogliere. — E voi pensate invece che quegli astri scintillanti un dì saranno casa vostra, – che passerete dall'uno all'altro a vostro talento, – che avrete tutti i giorni Domenica, – che le anime vostre potranno svoltolarsi a bell'agio sull'azzurro molle del firmamento come sopra un tappeto. Così sognate ad occhi aperti, e non sentite СКАЧАТЬ