Название: Fiore di leggende
Автор: Anonymous
Издательство: Bookwire
Жанр: Языкознание
isbn: 4064066072971
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Sicché ciascun si facea maraviglia; ché chi 'l facesse non potien vedere. Guardandosi d'intorno a basse ciglia, per iscaldarsi andarono a sedere. Fra loro insieme ciaschedun pispiglia: —Se da mangiare avessimo e da bere, avventurati sarem sette tanti piú che non fûrno i cavalieri erranti!—
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Benché persona non vi si vedesse, ciò che dicien fra lor erano intesi; e tavole imbastite furon messe, fornite ben di molti belli arnesi: ceri e lumiere v'eran molte e spesse; e que' baroni per le man fûr presi. Quando a tavola furono i baroni, recate fûr di molte imbandigioni.
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Molto fûr ben serviti a quella cena, ma non vedien sergenti né scudieri; e poi, istando in cosí fatta mena, avevan sopra ciò molti pensieri; onde ciascun di lor ne stava in pena, e quasi non mangiavan volentieri. E, quando ebben cenato, e' ritornarono al fuoco, donde prima si levarono.
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Quando fu tempo d'andare a dormire, in bella zambra ciascun fu menato, e a uno bel letto, ch'io nol potrei dire. Bel Gherardin vi si fu coricato, ed una damigella, a lo ver dire, si fue spogliata di presente a lato, dicendo:—Non aver di me spavento, ch'io son colei che ti farò contento.—
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E Gherardin, che le parole intese, rassicurato fu co' lei nel letto; e la donzella fra le braccia prese, che di bellezze non avea difetto; e sopra il bianco petto si distese, baciando l'un l'altro con gran diletto. E, s'egli è vero quel che il cantar mostra, piú e piú volte d'amor feciono giostra.
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Signor', sacciate che questa donzella si faceva chiamar la "Fata bianca", e mantenea cittadi e castella con molta quantitá, se il dir non manca. Del serpente e dell'orso era sorella: delle sette arti vertudiosa e franca, contrafatti per arte gli fea stare, per poter meglio il suo signoreggiare.
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Quando ebbono assaggiato il dolce pome, avendo l'uno l'altro al suo dimino, la Fata bianca il domandò del nome, e egli rispuose:—Lo Bel Gherardino.— E po' sí le contò il perché e il come della cittá di Roma e' si partîno, e come ciò che in questo mondo avía, tutto l'avea dispeso in cortesia.
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E, quando quella damigella intese come cortese e largo egli era istato, d'una amorosa fiamma il cor l'accese, che non trovava posa in nessun lato; e Gherardino fra le braccia prese, e con bramosa voglia l'ha baciato. Ed e', veggendo la sua innamoranza, come da prima incominciò la danza.
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Come del giorno apparve alcuno albore, la Fata bianca in piè si fu levata, ed una roba d'un ricco colore a lo Bel Gherardin ebbe recata. E poi a Marco Bel, suo servidore, un'altra bella n'ebbe rapportata. E quando tempo fu, sí si levarono; vestirsi quegli, e li lor non trovarono.
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Se Gherardin parea prima giocondo ch'avesse roba di si gran valenza, ben parea poi signor di questo mondo, tanto era bella la sua appariscenza! Di zambra uscí, e Marco Bello secondo, che non v'era persona di presenza, se non quella donzella che gli guata, che nolla veggon, perché sta celata.
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Disse Bel Gherardino allo scudiere: —Andiamo un poco di fuori a sollazzo,— e uno bel palafreno ed un destriere trovâr sellati, e non v'avea ragazzo! montârvi suso, e non v'avien ostiere! Gherardin corre il destriere a sollazzo, e be' lo mena a sinistra ed a destra, e la donzella stava alla finestra.
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Quando a lor parve tanto essere stati, e' tornâro al palagio a disinare: ed ogni giorno s'erano avezzati d'uscir di fuori un poco a sollazzare; e ogni volta, quand'erano tornati, trovavan cotto per poter mangiare. Ed ogni notte, per diletto, avea Gherardin quella che il dí non vedea.
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Tre mesi e piú cotal maniera tenne Bel Gherardin con allegrezza e strada; ed una notte sí gli risovenne della sua gente e della sua contrada. E quando quella pena sí sostenne, piú non vedea quella che sí l'agrada; e' con temenza alla donzella disse che le piacesse che si dipartisse.
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E disse:—Dama, non vi sia pesanza, se contro a la tua voglia io ti parlassi; io t'adimando e cheggio perdonanza, s'alcuna cosa nel mio dir fallassi: d'andare a Roma i' ho grande disianza: di subito morrei, s'io non v'andassi. Però ti priego che tu mi contenti, ch'io veder possa gli amici e' parenti.
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E la donzella al cor n'ebbe gran doglia, ch'a gran fatica gli fece risposta. Per Gherardin tremava come foglia, considerando che da lei si scosta. Ma pur, veggendo sua bramosa voglia, sí gli rispuose, quando ella ebbe sosta: —Ben ch'il mio cor del tuo partir tormenta, po' ch'a te piace, ed io ne son contenta.—
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A la partita gli donava un guanto, e disse:—Ciò che vuogli, tu comanda; e tu l'avrai; non chiederesti tanto, cavalieri o danari over vivanda.— Queste parole gli disse con pianto; ma finalmente cosí gli comanda: —Non sia persona a cui lo manifesti, ché ciò che tu averai, sí perderesti.
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E quella gente, che tu troverai, con teco mena, ch'e' ti ubidiranno. Di me sovente ti ricorderai; ma fa' che tu ci sia in capo all'anno: in tua presenza allor mi vederai con molte dame che mi serviranno; e sposera' mi a grandissimo onore: sarò tua donna e tu siei il mio signore.—
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Perché a Roma torna volentieri, Bel Gherardin da lei prese commiato. E covertati trovò due destrieri, sí che ciascuno a cavallo è montato: e mille cinquecento cavalieri trovò fuor del castello insú in un prato; e sessanta vestiti ad una taglia, e molta salmeria, se Iddio mi vaglia.
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Siccome valoroso capitano. Bel Gherardin disse lor:—Cavalcate.— Eglin gridâr:—Viva il baron sovrano!— con molte trombe innanzi apparecchiate; ed ogni gente fuggía per lo piano. E cosí cavalcâro piú giornate, tanto che fûr nel contado di Roma, e la novella a la cittá si noma.
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Quando fûr pressi a Roma, a cinque miglia, tender vi fe' trabacche e padiglioni: e il padre santo se ne maraviglia, che non sapea di lor condizioni: montò a cavallo con la sua famiglia, con compagnia di molti altri baroni, ed altra gente molta e' suoi fratelli contra a costoro andâro per vedelli.
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E il padre santo ben lo cognoscea,
siccome egli era di grande legnaggio.
e, co' fratelli insieme, gli dicea:
—Donde avestú cotanto baronaggio?—
Ed egli a tutti quanti rispondea:
—Come Iddio volle, io ho tal signoraggio.—
E tanto non poteron domandare,
che volesse altro lor manifestare.
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